Golden State Warriors: Preview

Corey Maggette è l'uomo nuovo dei Warriors

Il Barone incarnava la “trinità  cestistica” dei Warriors: univa in sé la figura del giocatore più forte, del leader riconosciuto (insieme a Jackson) e dell’ uomo franchigia. Per una squadra che perde un elemento di questo calibro e che stravolge di conseguenza il proprio roster, gli obbiettivi principali, per la stagione che segue, diventano necessariamente la ricerca del “chi” e del “come”: capire, per esempio, chi possa prendere in mano le redini della franchigia nel presente ma soprattutto in prospettiva futura.

Quanto al “come”, dopo tutti i cambiamenti estivi, ovvio che si pongano per lo meno problemi di chimica tra i giocatori, soprattutto considerando che l’ infortunio di Ellis stravolgerà  per (almeno) tre mesi i progetti tecnici della dirigenza. Tra i “sorvegliati speciali” ci sarà  di sicuro Chris Mullin, il cui contratto scade la prossima estate e non è stato ancora rinnovato: è stato ad un passo dal rifirmare il Barone ma l’ accordo è saltato per volontà  di Robert Rowell (presidente). Mullin a quel punto per salvare la situazione ha concesso laute estensioni a Monta e Biedrins e pure il contratto allungato a Maggette sembra un po’ fuori misura.

Se tali scelte non dovessero pagare dei gratificanti dividendi, il prossimo a saltare potrebbe essere proprio lui soprattutto adesso che i suoi rapporti con Rowell si sono fatti più tesi. Occhi puntati di conseguenza su Ellis e Biedrins che dovranno giustificare le cifre dei loro accordi.

Di più: in una stagione in cui i play-offs sono con tutta probabilità  irraggiungibili e non ci sarà  pressione per i risultati, l’ obbiettivo dei Warriors sarà  quello di concedere minuti ai giovani per capirne fino in fondo le potenzialità : dovrebbe essere un anno importante per Wright ma pure Randolph, per ciò che ha mostrato in Summer League, potrebbe essere sorprendentemente molto funzionale al gioco di Nelson. Occhio al tiro letale di Anthony Morrow, più complesso invece il discorso per Belinelli.

Conference: Western Conference
Division: Pacific Division

Arrivi: Corey Maggette, Marcus Williams
Partenze: Baron Davis, Matt Barnes, Mickael Pietrus
Draft:  Anthony Randolph, Richard Hendrix
Head Coach: Don Nelson

Probabile quintetto base
Play-maker: Marcus Williams
Guardia: Corey Maggette
Ala Piccola: Stephen Jackson
Ala Grande: Al Harrington
Centro: Andris Biedrins

Dal Barone al Monta: l’ intransigenza di Rowell

Se si osservano gli stili di gioco di alcune squadre NBA nei loro principi più essenziali, si può notare come, in certi casi, si crei un collegamento profondo tra la loro interpretazione filosofica del basket e il sostrato socio-culturale delle loro città  di provenienza.

I casi di franchigie come Lakers e Detroit sono perfino troppo palesi: lo “showtime” dei Lakers di Magic ovviamente, ma più in generale il scintillante gioco offensivo che la franchigia gialloviola ha espresso in gran parte della sua storia fin ad arrivare alla più stretta attualità  incarnata da Kobe Bryant, esprimono una sostanziale continuità  con il lusso, il narcisismo e il divertimento mondano che storicamente dipingono la vita di Los Angeles.

Al contrario, lo stile fisico, roccioso, ai limiti dell’ intimidazione che per anni ha contraddistinto i “Bad boys” di Detroit non può non richiamare i valori del sacrificio e della durezza che identificano la vita degli operai che lavorano nelle industrie automobilistiche della Motown.

Anche tra la città  di San Francisco e i Warriors è possibile individuare questa soluzione di continuità : il gioco spregiudicato e libero che i Warriors hanno espresso soprattutto negli anni di Don Nelson (meno in altri momenti storici…) e che tendeva ad esaltare più il singolo che la struttura collettiva, sembra essere quasi la quinta essenza di una città  che si è spesso distinta per la sua libertà  culturale e di costumi, per il suo anticonformismo e per la sua volontà  di mettere l’ “Uomo” e la sua individualità  al centro del sistema.

Tuttavia, però, questa è solo la metà  positiva della questione; l’ altra invece è quella più oscura, più difficile e rende questo rapporto più complesso principalmente per chi vive nella città  ma anche, più banalmente, per chi tifa per questa franchigia. La metà  oscura di “The City” consiste infatti in quel continuo pericolo che grava minaccioso sulla città  e rende insicuri la sua bellezza, la sua voglia di libertà  e il suo respiro vitale: il terremoto.

Questa stessa instabilità  sembra coinvolgere anche la franchigia dei Warriors soprattutto negli ultimi quindici anni della loro storia: in questo arco temporale, infatti, i Warriors sono stati complessivamente tra le squadre più perdenti della Lega e hanno offerto pochi momenti di basket esaltante.

Tuttavia vi sono state delle annate che facevano presagire ad una prossima e possibile redenzione da tanta mediocrità  e in cui si era arrivati persino a nutrire la sensazione che rimanesse un solo ultimo gradino da scalare per diventare competitivi fino in fondo.

I Warriors dei primi anni ’90 (Mullin, Sprewell, Webber) erano ad un centro di distanza per lottare per il titolo di Conference: arrivò Seikaly che sembrava l’ uomo giusto per queste ambizioni, ma arrivarono pure i dissidi tra Webber e Nelson e le ribellioni sempre di Webber e di Spree per la cessione di Owens a Miami che polverizzarono spogliatoio e sogni di gloria.

Situazione piuttosto simile si è verificata nel presente.
E’ difficile stabilire se i Warriors degli ultimi due anni siano stati una delle squadre più belle da vedere della Lega nel senso più proprio dell’ aggettivo: troppo esagerati, a volte persino stucchevoli nella ricerca del tiro dalla lunga distanza, troppo indisciplinati in attacco, troppo poco difensivi.

Tuttavia, proprio questo tendenza all’ eccesso, questa totale e libera concessione all’ istinto individuale, li ha resi uno dei team più particolari, bizzarri e trend dell’ NBA, ma allo stesso tempo sufficientemente vincenti per raggiungere prima i play-off e far fuori Dallas nel 2007 e accumulare, quindi, 48 vittorie nel 2008.

La continuità  di risultati espressa per due anni sembrava aver nuovamente indicato la strada per una crescita tecnica e di risultati costante che avrebbe potuto idealmente completarsi con l’ aggiunta di un’ ala grande di livello come ultimo e decisivo tassello. E invece anche in questo caso, quel sinistro senso di precarietà  che tormenta la città  e che per osmosi sembra aver contagiato anche questa franchigia, ha colpito di nuovo i Warriors, confermando quindi una specie di maledizione cui già  un analyst come Buffa, in tempi non sospetti, aveva fatto un sinistro riferimento: “Anche da questi episodi si vede come questa sia una franchigia sfortunata; perdere il proprio miglior giocatore in una gara di questa importanza” (commento del Buffa sull’ infortunio subito da Baron Davis durante gara-6 della serie di play-off 2007 contro Dallas).

Ovviamente, sarebbe troppo facile e persino pretestuoso ricondurre alla semplice sfortuna o a qualche maligna forza oscura le sventure di una franchigia che vanno ricondotte anche a precisi errori di una dirigenza che ha sbagliato valutazioni su giocatori, allenatori e che non ha saputo dare stabilità  all’ interno di spogliatoio troppo spesso turbolento. Tuttavia vi è davvero la sensazione che, ogni qual volta i Warriors siano ad un passo dalla rinascita, debba poi intervenire qualcosa di non umanamente calcolabile per rimettere il tutto in discussione.

Gli episodi specifici in cui questo destino avverso si è materializzato rendendo di nuovo incerte il futuro e la basi tecniche della squadra, sono in particolare la partenza del Barone e il serio infortunio di Monta Ellis, rispettivamente il “giocatore immagine” dei Warriors in questi ultimi tre anni e quello che secondo i disegni dirigenziali avrebbe dovuto raccoglierne il testimone.

I Warriors, in sostanza si trovavano ad un giocatore di distanza dal diventare competitivi, se non proprio per il titolo, almeno per dei play-offs di alto livello; adesso invece dopo aver perso il loro simbolo e, per i prossimi tre mesi, chi dovrà  sostituirlo, la franchigia si ritrova nella condizione di ricostruire da capo.

La partenza del Barone e la sua sorprendente volontà  di rinunciare ai 17.8mln di $ garantiti dal suo ultimo anno di contratto è stato il “Loma Prieta” che ha sconvolto i Warriors durante l’ estate, privandoli del loro leader, del loro giocatore decisivo, dell’ uomo dell’ ultimo tiro.

Il Barone è stato colui che ha ridato entusiasmo e credibilità  ad una organizzazione il cui encefalogramma è stato piatto per troppi anni ed ha firmato indiscutibilmente la pagine più spettacolari e vincenti dell’ ultimo triennio. Quello tra il Barone e i Warriors di Nelson aveva tutti i crismi del matrimonio ideale perché proprio nello stile di Nelson il Barone poteva dar fuoco integralmente al suo immenso potenziale.

L’ accordo stesso infatti tra Barone e dirigenza era sostanzialmente ad un passo dal concretizzarsi per merito del Mullin che era riuscito a strappare il sì di Davis proponendogli un contratto garantito di tre anni a 13mln di $ a stagione. Un accordo che, in sostanza, poteva soddisfare tutte le parti in causa: Davis avrebbe ottenuto il prolungamento contrattuale che cercava, mentre i Warriors avrebbero trattenuto il loro uomo franchigia ad una cifra legittima visto il valore del giocatore e le quotazione di mercato delle altre point-guard di livello (Arenas, Nash).

Inoltre, da un punto di vista salariale, anche considerando le estensioni contrattuali allungate a Ellis e Biedrins, il contratto proposto a Davis avrebbe mantenuto i Warriors all‘ interno del salary cap, pur se con pochissimi margini di manovra per ulteriori mosse di mercato. Chi invece si è opposto a tali condizioni è stato Rowell che ha fatto saltare l’ accordo principalmente per la scarsa fiducia verso l’ affidabilità  fisica e caratteriale del Barone. Rowell ha imposto così il suo gran rifiuto e il Barone ha optato per i Clippers (65mln x 5 anni) garantendosi futuro e la possibilità  di curare da vicino i suoi affari cinematografici.

La decisione di Rowell è stata indubbiamente pesante per il valore del giocatore in questione e per i risvolti che porta con sé. Parlare del Barone vuol dire sicuramente parlare di un elemento difficile da gestire per la sua ingombrante personalità  e per le incertezze fisiche che hanno accompagnato gran parte della sua carriera: non sono pochi, d’ altra parte, gli analyst che nei vari siti specializzati hanno criticato proprio i Clippers per essersi impegnati così a lungo con un giocatore contraddistinto da tali punti interrogativi.

Tuttavia un contratto di tre anni non sembrava essere poi così vincolante per la franchigia, considerato soprattutto il peso specifico che Davis ha esercitato sui Warriors. Da parte di alcuni maligni, vi sarebbe poi il sospetto che il dissenso a questa operazione sia stato un messaggio cifrato che Rowell avrebbe indirizzato a Mullin per fargli percepire la sua sfiducia, la sua diversità  di opinioni e per far intuire di conseguenza al G.M. che, a fine anno, il suo contratto non verrà  prolungato. Interpretazione questa, però, che appare un po’ eccessiva dato che comunque il Mullin ha poi avuto carta bianca facendo firmare contratti pesanti a Ellis, Biedrins e Maggette.

Partito il Barone, solo lo sviluppo positivo del “progetto Ellis” avrebbe potuto giustificare fino in fondo questo tipo di operazione.

Sul rilevante contratto concesso alla giovanissima guardia era legittimo, fin dall’ inizio, sollevare qualche dubbio e perplessità  tecnica: a favore del giocatore giocano sicuramente la crescita costante nel rendimento, l’ età , i margini di miglioramento, la seconda parte della scorsa stagione addirittura sensazionale.

Ellis inoltre ha ormai chiaramente dimostrato di appartenere già  adesso all’ èlite NBA in fatto di velocità , abilità  nel concludere in contropiede e tiro dalla media (assolutamente mortifero), fondamentale tecnico sempre più raro tra i giocatori PRO contemporanei. Altre franchigie inoltre erano disposte a grossi sforzi economici per firmare la guardia dei Warriors e Mullin stesso, perso già  il Barone, non ha voluto permettersi il lusso di perdere un talento così futuribile: sarebbe stata una decisione troppo difficile tecnicamente ma sarebbe stata anche una mossa fortemente impopolare visto che Ellis è uno dei principali idoli della Oracle.

Allo stesso tempo però, il suo lauto contratto appare un po’ eccessivo per un giocatore che ha precisi limiti tecnici, in particolare nel ball-handling e nel suo range di tiro, visto che il tiro da tre punti non rientra nel suo arsenale offensivo; inoltre è una guardia undersized sul piano fisico (solo 80kg) il che aumenta ulteriormente le carenze difensive già  insite ed evidenti nel giocatore. La possibilità  stessa che Ellis possa convertirsi da guardia a point-guard è tutta da verificare e appare piuttosto problematica: la dirigenza ha posto varie volte l’ accento sui miglioramenti tecnici e nelle scelte di gioco che Ellis ha evidenziato nello scorso finale di stagione, ma in realtà  il suo trattamento di palla e la sua gestione del gioco a metà  campo appaiono ben distanti da quelle di una classica point-guard titolare. Inoltre (parere del tutto personale) la sua visione di gioco ha beneficiato notevolmente di un suo diverso utilizzo voluto da Nelson, il quale nel corso della stagione ha sottratto Ellis da compiti di regia per affidargli palla quasi esclusivamente negli ultimi secondi dell’ azione: tale impiego ha nascosto quindi i suoi limiti di play-making e ha permesso al giocatore di concentrarsi soltanto sulla fase realizzativa.

Ellis, così, ha potuto attaccare a ripetizione il canestro con la penetrazione o con il suo proverbiale tiro dalla media distanza e, in un attacco frenetico e basato sugli isolamenti in 1c1 come quello di Nelson, il suo talento esuberante è letteralmente esploso. In generale, quindi, i suoi miglioramenti nella lettura del gioco sono riconducibili probabilmente più all’ astuzia di Nellie che non ad una effettiva crescita del giocatore.

Come corollario di tutto ciò, anche su Ellis aleggia il sospetto che riguarda tanti giocatori inseriti in sistemi “particolari” come quelli di Golden State o Phoenix: il dubbio cioè che la produttività  del singolo sia quantomeno sopravvalutata da un sistema che esaspera tiri e numero di possessi e che quindi persino Ellis possa toccare certe vette di rendimento solo se inserito in un preciso contesto che ne mascheri i limiti.

La consistenza del contratto sollevava ulteriori e spinosi interrogativi se rapportata poi alla giovane età  di Ellis: è lecito chiedersi se un giocatore così giovane abbia la necessaria maturità  per gestire contratto e ruolo così importanti, piuttosto che essere schiacciato dal peso delle responsabilità  o da quel senso di arroganza e appagamento che spesso subentra in questi casi. La maniera in cui Ellis ha gestito il suo recente infortunio estivo (grave distorsione ai legamenti deltoidi della caviglia sinistra che lo terrà  fuori dei campi per un minimo di tre mesi) purtroppo conferma questi sospetti: innanzitutto l’ infortunio si è verificato in circostanze (corsa su motocicli) che sono espressamente vietate ai giocatori dal contratto collettivo, passibili di pesanti sanzioni societarie e che, a maggior ragione, dovrebbero essere evitate da un giocatore che ha appena ricevuto un’ importante investitura da parte della propria franchigia.

In secondo luogo, Ellis, resosi conto del problema, ha poi deciso poi di aggravare ulteriormente la sua complicata posizione mentendo alla dirigenza e dichiarando che l’ infortunio si era verificato durante un allenamento personale in Mississippi. La verità  poi è venuta galla e dopo alcune settimane di riflessione, Rowell ha deciso di sospendere il giocatore per trenta partite e di infliggergli una multa pari alla retribuzione di questo arco di gare (3mln di $).

Come già  per il Barone, le decisioni di Rowell hanno preso una direzione opposta rispetto ai progetti e alle idee di Mullin, il quale fin da subito si era dichiarato piuttosto scettico nei confronti di un provvedimento così rigoroso. Il G.M. infatti avrebbe preferito un trattamento più tenero verso Ellis innanzitutto per evitare pericolosi precedenti disciplinari che in futuro potrebbero scoraggiare i free-agent dal firmare per i Warriors; in secondo luogo, è probabile che l’ indulgenza del Mullin sia anche il frutto della reminiscenza dei propri errori di gioventù (alcolismo) e della disponibilità  che a suo tempo la dirigenza (Don Nelson) mostrò nei suoi confronti.
Il provvedimento di Rowell è stato invece deciso e inequivocabile:

Abbiamo firmato un grande accordo con Monta affinché possa diventare un grande giocatore, ma ora ci troviamo in una situazione in cui lui non è con noi; faremo di tutto perché ritorni ai suoi livelli ma penso che questa sia una decisone appropriata (…). Mullin fin dall’ inizio ci ha fatto capire che per lui non sarebbe stato un “grande affare”, ma io credo invece che sia un grande affare per il giocatore, per i tifosi, per i nostri soci e per tutta l’ organizzazione.

Per quanto termini come “affare, soci, denaro” rientrino con una certa frequenza nelle dichiarazioni di Rowell, tanto da indurre a credere dietro alla punizione inflitta al Monta si nasconda il tentativo di recuperare denaro per reinvestirlo all’ interno dell’ organizzazione, tale provvedimento appare “appropriato” soprattutto per questioni disciplinari: è stata punita non solo l’ immaturità  del giocatore (solo parzialmente giustificabile con l’ età ) ma la sua stessa slealtà  che lo ha spinto a mentire piuttosto che a riconoscere il suo errore.

Monta ha tradito un contratto che, in questo caso, rappresentava principalmente un’ investitura del giocatore e che sigillava perciò un legame profondo di impegno e fiducia tra le due parti: “Per un atleta professionistico, un contratto è molto più che una semplice questione economica: è una dimostrazione di rispetto e fede” (Gwenn Knapp, SF Gate)

La reazione della società  è stata quindi la diretta conseguenza di un patto violato e la volontà  di rivendicare non solo i propri diritti legali ma soprattutto una credibilità  dirigenziale e organizzativa che per molto anni è sta alquanto sospetta: la rispettabilità  di una società  si valuta anche nella misura in cui sa usare il pugno di ferro per far rispettare la disciplina senza farsi condizionare dalla statura e il peso del singolo.

E’ venuta a crearsi così una situazione complessa per i Warriors in cui il binomio “infortunio-comportamento” è stato un parametro decisionale che si è ripercosso come un boomerang sui piani della franchigia. Rowell, che non ha voluto rinnovare il contratto del Barone a causa della sua scarsa affidabilità  fisica e caratteriale, deve ora fare i conti con un grave infortunio causato dalla ingenuità  di Ellis; in secondo luogo, Rowell che ha voluto rinunciare ad un giocatore come Davis che toglieva letteralmente il fiato ai tifosi con il suo talento esplosivo, sarà  lui stesso a dover trattenere il fiato per capire i futuri sviluppi della situazione di Ellis.

L’ infortunio del giocatore, logicamente, è grave anche per questioni tecniche poiché mette fuori causa fin dall’ inizio un elemento sul quale la società  aveva deciso di ricostruire la squadra e rallenterà  la conversione in point-guard di Ellis, già  di per sé piuttosto complessa. Monta infatti salterà  tutto il training camp, la preseason e almeno i primi due mesi di regular season, ovvero un periodo che sarebbe stato essenziale per iniziare ad adattarsi al nuovo ruolo. Paradossalmente, è una situazione simile a quella verificatasi lo scorso anno quando, durante il camp prestagionale, un’ assenza dovuta ad un infortunio in allenamento, fece desistere Nelson dal tentativo di sperimentare Ellis come play.

Vista la gravità  dell’ infortunio e la lunga assenza del Monta, sarà  interessante vedere quali sviluppi potranno derivarne dato che, quando Ellis rientrerà , la squadra potrebbe già  aver trovato qualche sprazzo di equilibrio: Mullin e Nelson potrebbero comunque perseguire il loro progetto tecnico, spostandolo semplicemente nel tempo, ma potrebbero anche salvaguardare gli equilibri trovati utilizzando quindi Monta nel suo classico ruolo di guardia.

“Slower but deeper…”

Con l’ assenza di Ellis, chi in teoria potrebbe trovare più minutaggio e responsabilità  del previsto, potrebbe essere Marcus Williams prelevato inizialmente dai Nets come semplice back-up di Monta o per giocare al fianco dello stesso Ellis e schierare un quintetto con 4 esterni.

È un’ opportunità  questa che il play da Connecticut attende fin dal suo anno da rookie ma che gli è sempre stata oscurata prima da Kidd poi da Devin Harris. La chance è ovviamente notevole soprattutto per gli stimoli che il giocatore porta con sé ma, pure in questo caso, la situazione è assai problematica: Williams dovrà  prima di tutto salire di colpi a livello mentale per riciclarsi da semplice riserva a titolare (per almeno due mesi) di una squadra rinnovata e con meccanismi da costruire. Inoltre, in una prospettiva tecnica, la coesistenza tra Williams e Nelson potrebbe non essere facilissima: nel sistema di Nelson, la point-guard (Steve Nash, Baron Davis) deve aggredire il canestro, creare tiri per sé e per i compagni, tenere costantemente alto il ritmo del gioco.

Williams strutturalmente è un play diverso, più da metà  campo che da run&gun, che pensa prima a distribuire il gioco (senza però necessariamente “creare”) che a segnare. Va da sé che Williams non ha nemmeno lontanamente il talento, le doti realizzative, la creatività  del Barone, ma le sue caratteristiche potrebbero essere più funzionali e utili ai Warriors di quanto si pensi.

Lo scorso anno, infatti, uno dei principali problemi offensivi dei Warriors era la scadente circolazione di palla contro la difesa schierata dovuta sia allo stile frenetico di Nelson che alle caratteristiche di un play come il Barone che tendeva ad accentrare il gioco su di sé: ne derivava, in molti casi, una cattiva selezione di tiro, una distribuzione molto discontinua di responsabilità  in attacco e giocatori che perdevano ritmo offensivo.

Williams, in questo senso potrebbe garantire più razionalità  a difesa schierata, più coinvolgimento corale e un miglior equilibrio tra chi deve distribuire il gioco e chi invece ha compiti realizzativi: “Ci aiuterà  perché darà  ad Al (Harrington) la possibilità  di entrare in ritmo e darà  anche a Andris (Biedrins) una chance di avere responsabilità  in attacco; io stesso e Corey (Maggette) possiamo rimanere piazzati sul perimetro e ricevere scarichi per buoni tiri.” (Stephen Jackson).

Proprio per adattarsi fisicamente ai futuri ritmi di Nelson, Williams ha svolto durante l’ estate una preparazione atletica molto simile a quella che il Barone svolse due anni fa e finalizzata a migliorare la sua resistenza atletica, storicamente uno dei punti deboli. Nel frattempo però, l’ ex-play dei Nets dovrà  duellare per il posto di point-guard titolare con C.J. Watson, il quale può far valere un anno in più di esperienza nel sistema dei Warriors, più velocità  e ha lavorato specificatamente sul tiro da fuori: in questo momento sembra addirittura lui il favorito per il quintetto base.

Chi, al contrario, avrà  totale licenza di uccidere sarà  Corey Maggette, l’ acquisto tecnico (22.1 ppg nel 2007/08) ed economico (50mln x 5 anni) più significativo da parte di Mullin. Il matrimonio tra i Warriors e Maggette, in tutta onestà , non sembra essere il coronamento di un sogno poiché sia Mullin che Maggette avevano altri inizialmente progetti: Maggette puntava ad un team di altissimo livello se non addirittura da titolo (Detroit, Houston, persino Spurs e Boston) ma avrebbe dovuto accontentarsi di cifre molto inferiori (mid- level exception) a quelle offerte dai Warriors. Mullin stesso, per sostituire il Barone, aveva puntato le proprie fiches prima su Brand poi su Arenas, per trovarsi costretto in seguito a ripiegare su Maggette: la scelta dell’ ex-Clippers rappresenta la volontà  di acquistare il giocatore più forte disponibile in quel momento sul mercato e il tentativo di riguadagnare (parzialmente) punti nei confronti di una tifoseria risentita per la partenza di Davis. Tuttavia, come per Williams, a ben vedere, anche l’ arrivo di Maggette può rivelarsi molto prezioso per i Warriors poiché va a colmare un’ altra evidente lacuna che limitava i Warriors a difesa schierata: la mancanza di aggressività  a canestro che spesso limitava l’ attacco al solo tiro perimetrale.

Maggette porta grandi doti di 1c1, forza ed esplosività  fisica, con la conseguente capacità  di guadagnare molti falli e conseguenti liberi (quasi 10 t.l. di media lo scorso anno). “Mags” quindi potrà  dare un’ altra importantissima dimensione all’ attacco dei Warriors: le penetrazioni e la possibilità  di andare in lunetta, opportunità  essenziale nelle gare equilibrate e quando il tiro dalla distanza non entra con continuità . Maggette, inoltre, pur non essendo un grande passatore o rimbalzista puro, con le sue doti di penetratore potrà  creare spazi importanti per le conclusioni da fuori e, grazie al suo atletismo, potrebbe rivelarsi comunque utile a rimbalzo per una squadra che giocando spesso con un solo lungo di ruolo, necessita di esterni produttivi sotto i tabelloni.

Da non sottovalutare poi il suo impatto psicologico e di leadership nello spogliatoio: in una squadra molto giovane come i Warriors, l’ esperienza e la grande etica lavorativa di Maggette rappresentano un riferimento solido per bilanciare gli inevitabili sbalzi di rendimento dei giovani e un modello di serietà  e costanza in allenamento.

A conferma di ciò, uno degli aspetti che il giocatore ha più apprezzato nell’ organizzazione è la possibilità  di allenarsi praticamente tutto il giorno nella struttura privata dei Warriors quando invece ai Clippers gli orari era molto più rigorosi.

Ronny Turiaf è un altro acquisto di mercato che sicuramente potrà  avere un profondo impatto specifico nell’economia della squadra. Non si sta parlando di un fenomeno né tanto di quella tanto desiderata (e mancata) ala grande di talento di cui i Warriors sono alla ricerca da anni per dare consistenza interna al loro attacco: insomma, non si può di certo presentare Turiaf come l’ alter-ego di Brand.

In ogni caso, l’ex-Lakers, come Maggette, va a colmare un’ altra evidentissima lacuna spesso decisiva per Golden State: la mancanza cioè di un lungo di peso, forte fisicamente, in grado di contrastare le ali grandi avversarie e di dare contributo a rimbalzo ad una squadra che è sempre stata molto carente in questo settore. Lo scorso anno i Warriors sono stati letteralmente giustiziati dai “4” avversari atletici e potenti (Maxiell, Laundry) poiché Harrington non è abbastanza atletico mentre Biedrins manca di potenza fisica pura. Turiaf garantisce un mix di tutto ciò: è atletico, corre bene per il campo, fornisce presenza fisica all’ interno dell’ area e possiede un tiro dai 5/6 da non disprezzare che gli permetterà  di giocare eventualmente anche a fianco di Biedrins in attacco.

Il lettone sarà  uno degli altri grandi osservati speciali della stagione ventura alla luce del grasso rinnovo contrattuale (54mln x 6anni) che Mullin gli ha concesso.

Anche qui, come per Ellis, siamo di fronte probabilmente ad un contratto che esagera un po’ il reale valore del giocatore che tuttavia rimane uno dei lunghi emergenti della Lega. Biedrins è un lungo atipico nello stile di Nelson essendo totalmente privo di tiro da fuori: il lettone però corre benissimo per il campo, sta migliorando costantemente a rimbalzo e non pretende nemmeno di essere un riferimento in attacco dove in sostanza si limita a segnare sugli scarichi degli esterni.

Questo sarà  un anno decisivo per lui in cui dovrà  giustificare con precisi miglioramenti il contratto che gli è stato concesso: non si chiederà  a Beans di essere necessariamente dominante ma di cominciare a sviluppare movimenti in post-basso, di essere più pericoloso all’ interno dell’ area e di crescere ulteriormente come fattore intimidatore e a rimbalzo. I numeri del lettone nelle gare di qualificazioni europee estive sono stati promettenti (22.3ppg e il 65.6% ai t.l.) come pure lo sono stati i tabellini delle ultime gare della scorsa regular season (doppia cifra per punti in 10 delle ultime 12 gare); tali cifre comunque non devono ingannare perché derivano da situazioni tecniche o di competitività  circoscritte.

Tra i PRO, decisivi saranno i primi tre mesi in cui Beans giocherà  a fianco di un “first-pass“ play come Williams che sarà  portato a coinvolgerlo maggiormente di quanto non facesse il Barone ma non la stessa fantasia e talento (=meno assist): in quel frangente , in cui Biedrins dovrà  crearsi da solo i proprio tiri al di là  di alcuni sporadici pick&roll con Jackson, si capiranno i suoi reali margini di miglioramento offensivi o se invece certi limiti sono qualcosa di cronico e connaturati al giocatore. Per il momento la dirigenza ha già  eletto Biedrins co-capitano con Jackson: è una forma di investitura nei confronti della sua professionalità  ed etica allenamentare, ma è probabile sia pure un rimprovero velato nei confronti del comportamento poco maturo di Ellis.

Interessante poi anche la conferma di Azubuike: l’ anno scorso, “Buike”già  durante l’ assenza iniziale di Jackson aveva dato un contributo significativo in attacco che durante il proseguo della stagione avrebbe potuto più costante se solo il suo utilizzo fosse stato più regolare. É un elemento che dà  consistenza alla panchina per la sua solidità  fisica e difensiva, per la sua efficacia a rimbalzo e per un tiro da fuori in continua evoluzione: i Clippers erano fortemente intenzionati a portarlo via dalla Baia ma il Mully non ha voluto rinunciare alla sua etica lavorativa, alla sua aggressività  e alla sua versatilità .

Proprio la leadership, l’ etica lavorativa e l’ esperienza di giocatori come Azubuike, Stephen Jackson e Al Harrington saranno la fondamentale giuntura tra il passato e il futuro dei Warriors. In particolare a “Captain Step” verrà  chiesto di vestire il ruolo di leader emotivo e psicologico della squadra, ancora più dell’ anno scorso: non ci sarà  più il Barone ad innescarlo con i suoi scarichi sul perimetro e, almeno all’ inizio, con un play più controllato come Williams, probabilmente ci saranno anche meno tiri da 3p in transizione.

Tuttavia, viste le minori ambizioni societarie, il suo minutaggio sarà  inferiore permettendogli quindi di gestirsi meglio fisicamente e di essere in grado di offrire un contributo più qualitativo: spetterà  a “The Jack”, con la sua competitività  e la sua consistenza, il compito di equilibrare i “sali e scendi” dei giovani e dimostrare di essere un trascinatore anche in assenza del Barone.

Un altro fattore fondamentale per i Warriors del prossimo anno potrebbe essere rappresentato dalla versatilità  di Al Harrington, sempre ammesso che il giocatore sappia trovare un rendimento più continuo e maturo rispetto a quello incostante dello scorso campionato (e della sua carriera in generale).

Al Har è potenzialmente essenziale per gli equilibri tattici della squadra e, proprio per questo motivo, il tipo di giocatore per cui Nelson può stravedere: Har può partire tanto in quintetto quanto dalla panchina, può giocare da unico lungo in un quintetto piccolo o da “4” tattico grazie al suo tiro da fuori ed è il miglior percentualista da 3p della squadra.

In un contesto di giovani e dove le soluzioni in attacco saranno più distribuite, responsabilizzare e coinvolgere di più Harrington potrebbe essere la chiave per far valere la sua versatilità . Pure Harrington come Buike, lo scorso anno, fu uno dei più positivi e produttivi durante la squalifica di Jackson; con l’ arrivo di Turiaf e lo spazio che verrà  concesso a Wright, il fatto che Nelson voglia utilizzarlo molto più sul perimetro rispetto allo scorso anno dovrebbe ulteriormente favorire “Big Al”.

La solidità  e continuità  di questi elementi sarà  la necessaria base per far crescere il nucleo giovane della squadra costituito oltre che da Ellis e Biedrins, pure da Wright e il rookie Randolph.

Il minutaggio di Wright in particolare dovrebbe aumentare in modo consistente: le Summer League estive hanno evidenziato un tiro dalla media migliorato sia come efficacia che come raggio di esecuzione, ma rimangono comunque dubbi sulla sua forza fisica che lo limitano nel concludere al ferro e in fase difensiva. Vista la sua capacità  di far tante cose discretamente senza però essere specialista in nessun fase del gioco, Wright potrebbe essere un ottimo “collante” dalla panchina in grado di contribuire in modo diverso a seconda di casi e necessità : giocare da “4” al fianco di Biedrins utilizzando il suo tiro da fuori e formando con il lettone una coppia di lunghi leggera ma, allo stesso tempo, alta e veloce, oppure da unico lungo (vicino a Harrington) in un quintetto più perimetrale. Chi invece ha impressionato davvero molto durante l’ estate (soprattutto a Las Vegas) è Anthony Randolph.

Le prove estive vanno ovviamente valutate con molta cautela e va sempre considerato una certa ostilità  di Nelson nell’ impiegare i rookies, ma in un’annata senza obbligo di vittoria, “Randy” potrebbe trovare uno spazio sorprendente: la sua combinazione di centimetri (2m08) e agilità , il suo ball-handling, la sua capacità  di creare dal palleggio e il suo discreto arresto-tiro dal perimetro sono tutte caratteristiche permeabili alle esigenze dei Warriors e allo stile di Nellie.

La sua giovanissima età  suggerisce un talento eccitante, che può crescere in maniera esponenziale, ma proprio per questo con ampi margini di miglioramento su cui lavorare fin da subito: le sue letture di gioco sono state spesso istintive e approssimative e, pur essendo più forte fisicamente di quanto si pensi (Keith Smart lo ha definito “strong skinny guy”), la sua struttura corporea va rafforzata ulteriormente in prospettiva NBA. Tuttavia in una squadra che non abbonda di certo in fatto di trattatori di palla e di giocatori creativi, il progetto di utilizzare Randolph come possibile “point-forward” è davvero intrigante.

Complicato il discorso per Belinelli che pure in teoria dovrebbe trovare più spazio: anche in questa estate come in quella precedente ha confermato le sue doti di tiratore puro e di comprensione del gioco superiore alla media rispetto ai suoi coetanei, ma non si sono visti updates importanti sul piano difensivo e fisico. Il Beli quindi è apparso spesso in difficoltà  nel portar palla pressato dai play avversari (e si trattava solo di Summer League…), il che non aiuta di certo la sua causa pur con l’ assenza di Ellis e a rimbalzo la sua presenza è stata pressoché impalpabile; attenzione in questo senso a Morrow che, oltre a disporre di un tiro addirittura più mortifero di quello del Beli (Nelson: “È impressionante, sembra non poter sbagliare mai”; Jackson: ”Penso sia il miglior tiratore puro del nostro camp, me incluso”), ha più stazza fisica e centimetri del bolognese.

“We’re slower but deeper”: in queste parole di Nelson, poi precisate ulteriormente da Step Jack (“We're a deeper team, a bigger team. Our size was a big problem last year, so we made some good adjustments”), si racchiude l’ identità  dei Warriors per il 2008/09.

Sarà  un’ identità  da costruire nel corso della stagione visti i nuovi arrivi, i cambiamenti tattici e il grave infortunio di Ellis che condizionerà , rallentando, il tutto. La stagione dei Warriors sarà  inevitabilmente spezzata in due in coincidenza con il recupero fisico di Ellis e con evidenti ripercussioni sul piano del gioco e dell’ impostazione tecnica: per quanto Nelson cercherà  di rimanere fedele ai principi del suo gioco, i Warriors con il rientro di Ellis saranno una squadra molto più veloce e simile a quella dell’ anno scorso rispetto a quelli di inizio stagione guidati da un play più classico come Williams.

Nei primi tre mesi (forse quattro) si dovrebbe assistere ad un gioco più lento e ragionato, ad una squadra molto più da metà  campo rispetto al passato recente per le caratteristiche strutturali di certi elementi: al di là  del “caso Williams”, gli stessi Jackson e Maggette possono inserirsi bene nel run&gun di Nelson, ma per inclinazione personale non sono esattamente esterni che si nutrono di contropiede e velocità . Con Ellis poi si dovrebbero scalare molte marce in fatto di velocità  ma la partenza del Barone causerà  per forza di cose una perdita di ritmo a tutto campo.

Perso Davis, oltre al ritmo, la competitività  stessa della squadra subirà  un sensibile contraccolpo: nell’ Ovest di questi tempi, rinunciare ad un giocatore come lui, significa quasi automaticamente abbandonare le proprie speranze di play-offs e rivolgere il proprio sguardo altrove. Tuttavia, per quanto i Warriors possano calare rispetto al 2008, non per questo dovrebbero crollare miseramente come in altre circostanze: lo stesso arsenale offensivo, senza il Barone, ha meno talento puro, ma appare più vario poiché gli arrivi di Maggette, Williams ed eventualmente Randolph, possono contribuire a limare precise carenze in fatto di esecuzione a difesa schierata e aggressività  a canestro.

Il tiro da 3p sarà  quindi meno vincolante in attacco, aspetto importante per un team che lo ricercava in maniera quasi ossessiva (1° per tiri 3p tentati a gara) ma con percentuali non sempre eccelse (34.8%, 23° nella Lega), ma potrebbe guadagnarne in qualità : chi è partito combinava per un misero 33%, chi è arrivato per un più interessante 38%, e ci sono sempre da valutare Beli e Morrow.

Anche la panchina appare più affidabile e profonda: lo scorso anno il contributo dal pino si limitava ai soli Pietrus, Barnes e Azubuike, il cui impiego per di più era molto discontinuo per scelte tecniche, situazioni specifiche (problemi personali per Barnes e contrattuali per il francese) e per similitudine di ruolo che li portava a calpestarsi l’ un l’ altro.

Quest’ anno invece Azubuike, Turiaf e Williams (una volta rientrato Ellis) ricoprono ruoli diversi garantendo soluzioni diverse a seconda delle circostanze: paradossalmente proprio Williams e Turiaf sono arrivati con un anno di ritardo sulla Baia poiché con due “role player” come loro in grado, rispettivamente, di far rifiatare il Barone e dare fisicità  sotto canestro, i Warriors avrebbero probabilmente conquistato quel paio di w che alla fine sono costate gli scorsi play-offs.

Inoltre con tutte le estensioni contrattuali rilasciate dal Mullin, anche lo spogliatoio dovrebbe averne guadagnato in fatto di stabilità  e concentrazione.
“Matt (Barnes) was worried about his contract, B.D. (Baron Davis) Everyone was talking about it too much instead of talking about what we need to do to win games. It was a cancer last year”.
Step Jack, con le sue parole, in sostanza non lascia molti dubbi su quello che sembra essere stato uno dei principali problemi all’ interno dello spogliatoio nella stagione passata e che sembra aver inciso notevolmente sulla concentrazione dei giocatori: l’ incertezza relativa alla propria situazione contrattuale avrebbe condizionato tutti i giocatori in scadenza di contratto a tal punto da distogliere occasionalmente la loro attenzione dai risultati.

Quest’anno il problema non dovrebbe insinuarsi all’ interno della squadra dato che tutti i giocatori principali hanno un contratto garantito di almeno altri due anni. Ironia della sorte chi quest’ anno potrebbe creare qualche problema è proprio Jackson che ha già  fatto sapere alla dirigenza di non gradire particolarmente il fatto di esser solamente il 5° giocatore più pagato dei Warriors: anche in questo caso però le trattative per un (giusto) rinnovo sono già  iniziate.

In definitiva, le chance di pareggiare le 48w del 2007/08 sono praticamente nulle, ma un record dignitoso è tuttavia alla portata dei gialloblu: la preview di ESPN propone ad esempio un 40-42 che, considerando il livello della Western Conference, la futuribilità  della squadra e l’ opportunità  di liberare nei prossimi due anni molto spazio salariale (scadono i contratti di Foyle e Harrington per un totale di 16mln di $) non sarebbe da disprezzare e potrebbe rappresentare il punto di partenze per ambizioni future.

Sempre ammesso che, nel frattempo, non si sia ancora costretti a dover ricostruire…

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