Utah Jazz: Preview

AK47 è l'unico intimidatore sotto canestro in casa Jazz

Dopo una stagione regolare convincente, conclusasi con il miglior record della NorthWest Division (54W – 28 L), il maggior numero di partite vinte in casa nell’intera lega (37 W – 4 L), al quarto posto della super competitiva Western Conference, Utah nella post season, dopo aver battuto non senza qualche patema gli Houston Rockets, ha opposto un’orgogliosa resistenza ai successivi finalisti NBA, i Los Angeles Lakers, senza però mai dare l’idea di poterli sconfiggere in una serie di Play-off.

Da quanto di buono fatto vedere la scorsa stagione, riparte l’annata dei Jazz, che durante l’estate hanno mantenuto il nucleo di giocatori pressoché intatto, cercando i centimetri e chili che mancano sotto canestro all’interno del draft con la scelta del giovane talento da Ohio State University, Kosta Koufos.

Conference: Western Conference

Division: NorthWest Division

Arrivi: Brevin Knight ( da Los Angeles Clippers)
Partenze: Jason Hart ( a Los Angeles Clippers)
Draft: Kosta Koufos (scelta n.23), Ante Tomic (scelta n.44), Dragicevic (scelta n.53)

Head Coach: Jerry Sloan

Probabile quintetto base:
Play-maker: Deron Williams
Guardia: Ronnie Brewer
Ala Piccola: Andrei Kirilenko
Ala Grande: Carlos Boozer
Centro: Mehmet Okur

Commento

I presupposti per realizzare una squadra vincente sono stati posti sin dalla scelta nel draft del 2005 di quel giovane play-maker proveniente da Illinois che risponde al nome di Deron Williams. Intorno a lui è stata una costruita una squadra di giocatori solidi, ognuno con una sua peculiarità  e capace di completare al meglio un quintetto predisposto in particolar modo alla fase offensiva rispetto a quella difensiva.

Così si spiegano gli arrivi di Okur, vincitore l’anno precedente del titolo con i Pistons, all’interno dei quali però non aveva un ruolo da protagonista e di Carlos Boozer, giocatore solido e capace sia di catturare rimbalzi che di mettere punti a referto, ma con il grosso handicap di non avere la stessa fisicità  e altezza di tutte le altre ali grandi della Lega.

Ed è proprio in quel settore del campo, nel reparto interno, che Utah deve trovare la quadratura del cerchio per divenire finalmente una contendere per il titolo Nba. Nelle scorse semifinali di Conference, i due lunghi della squadra avversaria Gasol e Odom hanno mantenuto una percentuale realizzativa a dir poco stupefacente (56% e 58%), senza che nessuno dei ragazzi di Sloan riuscisse a trovare le contromisure necessarie per fermare i due totem che imperversavano in area.

Che Okur e Boozer non fossero due mastini sull’uomo era un fatto noto a tutti, ma è anche noto che non si arriva al titolo senza una più che discreta difesa, come hanno mostrato a tutto il mondo i Boston Celtics, freschi vincitori dell’anello, che hanno fatto dell’abnegazione e del sacrificio un proprio credo imprescindibile, coinvolgendo tutta la squadra, stelle comprese.

Certo, ci sarebbe quell’Andrei Kirilenko, che fa della fase difensiva il fiore all’occhiello del suo gioco, ma è quasi sempre impegnato a marcare l’esterno avversario più pericoloso, così non può permettersi anche di aiutare sui lunghi. Dopo aver analizzato tutti questi problemi, bisogna anche notare come Utah non abbia uno spazio salariale che gli permetta di agire con forza sul mercato: infatti è ben 6 milioni sopra il salary cap e le sue stelle hanno contratti parecchio onerosi.

Le voci di mercato che si sono rincorse durante tutta l’estate hanno riguardato i soliti noti: Carlos Boozer, vincitore della medaglia d’oro olimpica a Pechino insieme al nuovo Dream Team ( con il quale però non ha impressionato) per il quale si prospettava un futuro in maglia Heat al fianco del suo compagno di squadra in Cina Wade ed alla seconda scelta dello scorso draft Beasley; il russo Kirilenko, invece, inserito in qualsiasi scambio di mercato che coinvolga la squadra dello stato mormone da qualche anno a questa parte, ma mai seriamente sul piede di partenza nonostante la sua ormai nota volontà  di allontanarsi da Salt Lake City e da quel coach con il quale ha sempre avuto un rapporto conflittuale.

Così si è cercato di trovare la soluzione ai problemi all’interno del Draft: la chiamata era la numero 23, non esattamente una posizione privilegiata dove poter scegliere i giocatori migliori; ma in un draft così ricco di lunghi non era ancora stato chiamato un prospetto interessantissimo come DeAndre Jordan, centro verticale proveniente da Texa A&M, capace di occupare bene l’area e sul quale erano state spese parole di elogio da molti GM delle franchigie della Lega.

A sorpresa però la scelta è ricaduta su Kosta Koufos, che ricopre la stessa posizione di Jordan ma con caratteristiche completamente differenti. Il lungo proveniente da Ohio State ha mantenuto ottime medie al college (14,4 punti, 6,7 rimbalzi), ha un’altezza notevole così come la sua stazza fisica ma ricorda per caratteristiche, soprattutto nel tiro da 3, il turco Mehmet Okur di cui può essere una più che discreta riserva ma non un giocatore complementare ad esso. Per questo motivo sono arrivate pesanti critiche sulla scelta effettuata ed è sembrata più una bocciatura dell’altro lungo selezionato lo scorso anno al draft, Fesenko, che un reale potenziamento del settore interno.

Per quanto riguarda gli esterni, invece, oltre allo scontato rinnovo della stella Deron Williams che ha firmato un contratto di 3 anni ad una cifra che si aggira attorno ai 70 milioni di dollari con un’opzione per il quarto anno, ci si aspetta una netta evoluzione nel gioco della guardia titolare Ronnie Brewer, che durante la scorsa stagione solo a sprazzi ha dimostrato il suo immenso potenziale.

Nella propria metà  campo si applica con grande dedizione nella marcatura del suo avversario diretto, tant’è che nelle scorse semifinali spesso ha marcato lui l’MVP della lega Kobe Bryant per lasciare Odom nelle mani del russo; la fase offensiva, nonostante abbia mantenuto una media punti sopra la doppia cifra durante tutta la stagione, è ancora piuttosto deficitaria: in penetrazione, in particolare quando riesce a prendere la linea di fondo, sprigiona la sua micidiale esplosività , nel tiro piazzato invece ha percentuali ondivaghe e che non lasciano tranquillo il suo allenatore.

Una possibilità  per il prossimo anno è quella di alternare Brewer con un altro giovane talento, Morris Almond, fermo durante la scorsa annata a causa di un pesante infortunio ma dotato di un più che affidabile tiro da fuori.

Nel ruolo di ala scontata la presenza di Kirilenko, che sembra aver trovato la sua giusta dimensione anche in attacco dopo aver lavorato con Hornacek sul tiro piazzato, il che ha migliorato notevolmente le sue percentuali, rendendolo un discreto tiratore ed un pericolo in più per la difesa avversaria. Se continuerà  ad applicarsi come ha dimostrato di saper fare, aggiungerà  un notevole apporto offensivo ad una squadra che possiede un vero e proprio arsenale pronto ad essere utilizzato.

Passando alla panchina, il sesto uomo di grandissimo lusso che siede sul pino dei Jazz è Kyle Korver, tiratore mortifero nonché perfetto inserimento in un sistema collaudato come quello di Sloan. La difesa rimane sempre una lacuna piuttosto evidente nel suo gioco, poichè ha difficoltà  a marcare le ali piccole perché molto più veloci di piedi rispetto a lui, per non parlare delle guardie sparse nella lega. Ricoprirà  permanentemente il ruolo di primo cambio ed avrà  sempre un numero di minuti importanti su cui contare.

L’unico movimento di mercato piuttosto rilevante che ha coinvolto Utah durante l’estate è stato lo scambio di play di riserva con i Clippers, che ha riportato il non utilizzato Jason Hart in California, facendo giungere alla corte di Sloan Brevin Knight, per il quale gli anni migliori della carriera sono ormai passati ma che si è sempre dimostrato valido elemento in tutte le squadre in cui ha giocato. Dividerà  i suoi minuti in campo con Price che lo scorso anno nelle vesti di vice-Williams non ha convinto affatto, ma che potrà  imparare molto da un veterano come Knight.

Le prospettive future per una squadra così giovane non possono che essere più che positive, soprattutto perché negli ultimi due anni hanno sempre centrato il Play-off con discreta facilità  raggiungendo una volta le finali di Conference e l’altra le semifinali.

Resta il dubbio di come si possano far coesistere due lunghi come Boozer e Okur che non fanno della difesa la propria arma principale, correndo il rischio che a questi Jazz capiti la stessa disgrazia che capitò ai tempi di Stockton e Malone: una squadra ben costruita, che gioca un ottimo basket ma incapace di vincere il titolo Nba.

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