Childress: solo il primo…

Un nuovo profeta? Forse. Lo dirà  il tempo.

Doveva accadere prima o poi.
Era una naturale conseguenza che si giungesse a questo crocevia.
E doveva accadere vi fosse un “primo” ad iniziare questa strada e potesse insinuare il dubbio che c'è più di una scelta.

Era il 1967 quando per la prima volta la NBA trovava una concorrente pronta a giocarsi lo scettro di più apprezzata d'America. In quel caso non ci volle molto perchè il duello diventasse serrato, non ci volle molto perchè iniziasse una guerra e la NBA e la ABA si contendessero i pezzi pregiati del mondo cestistico americano a suon di dollari.

Un dualismo che tolse forza alla NBA sebbene vincente al termine del confronto. Troppo giovane la ABA e troppo radicata forse la cultura NBA per poter anche solo pensare di sovverchiarla.

Ci vollero nove anni per aver ragione dell'avversaria e per poterne poi rubare i segreti che l'aveva resa forse più bella della sorella maggiore.

Da allora sono trascorsi circa 30 anni.
La NBA ha vissuto periodi di splendore mai toccato prima.
Magic e Larry hanno segnato oltre un decennio di storia della lega rinvigorendola e lanciandola dopo la morte dell'ABA.

Poi venne l'era MJ preceduta da uno stuolo di giocatori dal “carisma” abbacinante oltre che dal talento. Quel “carisma” necessario per riempire le arene perchè non solo del bel gioco ci si innamora, spesso i personaggi valgono tanto quanto.

I sei titoli di MJ poi ed anche lì i vari Malone, Barkley, Olajuwon, Rodman, Payton e chi più ne ha ne metta, il calderone dei meravigliosi anni '90 resterà  sempre inesauribile.

E poi anche se in molti non vogliono ammetterlo, succede qualcosa. Inizia un ricambio generazionale, difficoltoso come mai è accaduto nella lega.
Ed inizia il decennio forse meno apprezzato della storia del gioco.

Dopo la tripletta Lakers, sqaudre talentuose ma dal basso “carisma” mediatico si ritrovano a scontrarsi per il titolo; le squadre aumentano per la felicità  delle tasche di Stern ma il talento si diluisce.

E poi arrivano le prime, primissime cocenti delusioni negli incontri internazionali dove il Dream Team, rappresentanza del meraviglioso mondo NBA, profeta di quell'olimpo incontrastato, perde.
Non solo perde, perde malissimo, cominciando a sgretolare quell'alone di invincibilità  che era costato ben 50 anni di gloriosa storia di basket a stelle e strisce.

Iniziano cosi le sequele di selezioni americane in cui si fanno veri e propri proclami, la vittoria come unico obbiettivo, nessuna sconfitta sarà  accettata e bla bla bla.
Un tempo non erano necessari proclami perchè avversari in primis, tutti sapevano che il solo traguardo raggiungibile era il secondo posto. Non c'era altro a disposizione.
Ma la storia è cosi che cambia, senza che i più se ne accorgano.

Il Dream Team non è piu cosi da sogno e si cercano tutte le scuse possibili ed inimmaginabili; gli europei vanno e spopolano nella lega; qualcuno comincia a farsi domande su cosa si possa fare per porre rimedio a questa marea ed il meccanismo che scatta non può più essere bloccato.

Alla fine anche alcuni giocatori americani, cominciano a pensare che non è più così cool giocare solo per gli States e iniziano le naturalizzazioni per giocare in nazionali straniere. Gli oriundi provenienti dall'NBA.

In fondo anche in Europa si gioca a basket e perchè no, anche io voglio andare alle Olimpiadi anche se non mi hanno chiamato nella squadra dei sogni. Che poi magari quella squadra da sogno riesco anche a batterla con un po' di rispetto in più per l'evento glorioso che andrò ad affrontare, talmente storico che la storia stessa della NBA sbiadisce al confronto.

Ma non è tutto.
I giocatori europei che prima anelavano ad un posto in una franchigia oltreoceano, iniziano a domandarsi se sia veramente necessario.

Certo la NBA è sempre la numero 1, ma in Europa si sta bene, il basket è cresciuto, ci sono competizioni meravigliose ed anche se di là  mi cercano, non vedo perchè non passare la mia vita qui nel vecchio continente.

E cosi giocatori come Navarro che di offerte ne avrebbero quante ne vogliono, decidono sia giunto il tempo di tornare indietro, perchè stavano meglio quando stavano peggio.

E cosi anche Gallinari forse per scherzo ma forse no, non è cosi felice di andarsene negli States.
Il basket europeo è piu bello dice e di là  sono disposto ad andarci solo per i soldi e solo per vivere in una delle più belle città  del mondo. Sennò chissà , me ne starei volentieri a Milano.

Inizia tutto cosi.
E la NBA comincia a perdere il suo appeal ed il suo “carisma” per quegli stranieri che sono un bacino di utenza da cui la NBA attinge a piene mani.

Ma non è tutto.
Sta per accadere l'irreparabile.

Succede che un ragazzo con un casco al posto dei capelli un giorno si sveglia per lo squillo del suo telefono e dall'altra parte il suo agente gli comunica di un'offerta proveniente da una squadra dal nome esotico, che fa quasi rima con la manifestazione che mister Kaman giocherà  oriundo o meno.
L' Olympiakos.

Che nome figo avrà  pensato il giovane Josh!
Ed è a quel punto che succede una cosa che ha dell'incredibile: il giocatore appena alzatosi che sa bene di non essere il primo americano ad aver ricevuto un'offerta di questo tipo, fa però una cosa che prima di lui nessuno ha mai fatto realmente: prende sul serio in considerazione l'offerta proveniente da quel luogo lontano.

Sta nascendo in quell'istante un profeta.
Tutte le strade sono percorse da un “primo” ed anche questa strada non può fare eccezione.

Si chiama Josh Childress, non Dee Brown, non Anthony Parker, non è uno che è stato bocciato dai grandi e che deve ripetere l'anno.

Si chiama Josh Childress ed è un talentuosissimo giovane della National Basketball Association, ha 24 anni ed è nel pieno della sua carriera cestistica.

Può solo migliorare la sua situazione perchè è Free Agent e non sono poche le squadre che lo vorrebbero a roster perchè il giocatore ci sa fare davvero e con pochi soldi si può portare a casa uno che potrebbe crescere ulteriormente, parecchio ulteriormente.

Ma Josh non la pensa cosi.
Per una volta un giocatore arriva alla conclusione che c'è possibilità  di scelta. Che l'Euro potrebbe non essere cosi diverso dal dollaro e che l'Europa potrebbe non essere cosi brutta come la dipingono.

Anche Kaman ha pensato la stessa cosa ma Josh si è spinto decisamente oltre.
Ed ha deciso che a discapito di tutte le altisonanti sirene che la NBA è pronta ad offrigli, lui, giusto o sbagliato che sia, ha per “primo” deciso di varcare l'oceano e di provare una nuova esperienza. Lunga o breve che sia.

Iniza cosi il controesodo.
Se devo essere onesto è da qualche anno che mi frulla per la mente l'idea di un mondo cestistico alla rovescia.

Vedo un futuro in cui il mondo FIBA ed il mondo NBA si contenderanno la stella di turno a suon di milioni. Non un futuro prossimo è chiaro. Probabile passeranno anni, molti, ma comuqnue vada è nato un dualismo evidente e probabilmente, me lo auspico, destinato a far parlare di se.

Era il 1967 dicevamo poco fa. Sono passati 30 anni dall'ultima volta in cui la NBA si trovò a guerreggiare con una rivale pronta a dar battaglia.

Era giovane quella, i mezzi erano minori ma ci si provò.
Mancava però il fascino, la storia, il “carisma” della NBA perchè la cosa superasse l'abbaglio della novità . E senza tifosi si sa non sopravvive alcuna lega al mondo.

La nuova ABA però si chiama FIBA.
Ha una storia lunga, molto lunga alle spalle, un passato sudato, conquistato, vissuto e valorizzato da un lavoro importante.

Che piaccia o meno questa lega non ha problemi di tifosi, perchè non sono i medesimi che mangiano hot dog alle partite e che vanno spartiti con la NBA; nella vecchia Europa al termine dell'incontro ci sono i Pub, le pizzerie, le enoteche, i ristoranti ed alle partite ci si va comunque anche senza il giocatore di turno, perchè qui ormai a differenza della ABA il “Carisma” non manca.

Sopravvivrà  e non avrà  bisogno di bruciarsi in nove anni per tentare l'assalto alla vetta.

No, potrà  prendersi tutto il tempo che vorrà  perchè ha tutto il tempo che vuole. Se l'è conquistato in questi anni. Ed ha tutti i tifosi che vuole. Se li è guadagnati in questi anni aumentando un appeal cresciuto con il tempo e giunto forse a maturazione.

L'hanno capito gli europei stessi che non saltano più l'oceano cosi volentieri.
E l'hanno capito anche gli americani, uno almeno, “il primo” a percorrere questa strada a ritroso e chissà  che fra qualche anno non venga ricordato come un precursore.

Tra qualche anno sì. La FIBA ha tutto il tempo che vuole.

NDR: Childress in effetti è il primo giocatore NBA ancora giovane, e di un certo spicco, che negli ultimi anni abbia percorso l'oceano in direzione Est per sbarcare a giocare in Europa.
Ma non è il primo in assoluto: proprio l'Italia ha una certa tradizione di “ladra” di talenti NBA, da Joe Barry Carroll alla fantastica accoppiata del Messaggero Roma 1989, Shaw e Ferry.
Brian Shaw era il futuro in posizine di playmaker per i Boston Celtics e Danny Ferry addirittura la seconda scelta assoluta del draft NBA, e giocarono una brillante stagione in Italia prima di tornare negli States.
Non soprende che periodicamente in Europa si trovi un presidente che “rompe il porcellino” per fare una follia e provare a convincere un forte giocatore NBA ad abbandonare la madre patria; la sostanziale differenza questa volta deriva dal fatto che Childress ha fatto una scelta prettamente economica, senza essere in polemica con la propria società  come lo erano Shaw e Ferry quando lasciarano gli States…

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