Tim Duncan, anima dei San Antonio Spurs
I tifosi passeggiano sul riverwalk osservando le imbarcazioni che solcano l'acqua senza fretta, e che scarrozzano una parte di quei 20 milioni di turisti che ogni anno si recano in visita all'Alamo.
San Antonio, Texas: una tranquilla giornata di fine giugno anche per gli appassionati e i fans degli Spurs.
Le Finals, contrariamente a quanto accaduto l'anno passato, non sono state affar loro.
Avrebbero potuto esserci, da squadra coriacea, determinata e ben guidata qual è quella texana, ma troppe cose non hanno funzionato, soprattutto nel finale di stagione.
Per un'altra squadra, con simili risultati, l'annata sportiva appena trascorsa andrebbe in archivio con un bilancio assolutamente positivo, ma non penso che tutti, a San Antonio, vedano il bicchiere mezzo pieno.
L'obiettivo, mai nascosto, era di riempire quel vuoto nella casella "titoli consecutivi vinti", come se questa fosse una caratteristica così determinante per parlare di dinastia.
Quella degli Spurs targati Tim Duncan, che ereditò i gradi di uomo-franchigia da David "The Admiral" Robinson, è stata una vera dinastia, con quattro titoli Nba vinti tra il 1999 e il 2007, arricchiti dagli innumerevoli riconoscimenti assegnati a molti giocatori della squadra spesso, a vario titolo, tra i migliori della Lega nei rispettivi ruoli.
Però "Tempus fugit" diceva Virgilio, e il tempo passa anche per coloro che hanno contribuito a scrivere una significativa pagina della storia Nba.
La stagione
La regular season si era chiusa a 56- 26, ottima performance ma comunque inferiore, anche se di poco, ai bilanci delle ultime otto stagioni. Un primo, piccolo segnale di un cambiamento ormai in atto.
L'aggiustamento in corsa dei roster di alcune franchigie all'Ovest, ha modificato gli equilibri che si erano creati nelle ultime stagioni, per alcune squadre decisamente in meglio (Lakers), per altre non proprio (Dallas).
I San Antonio Spurs si sono così trovati a dover lottare in una Conference ulteriormente rinforzata, una lotta serrata per accaparrarsi la miglior posizione in griglia e l'eventuale fattore campo.
Con il suo solito basket, che bada alla concretezza prima che allo spettacolo, i texani hanno conquistato il terzo posto nel Western side della Nba, dopo una stagione comunque buona.
Con l'innesto di Kurt Thomas e del rientrante Brent Barry, il quintetto di coach Popovich si è presentato ai nastri di partenza dei playoffs 2008 forte della sua consolidata esperienza in post-season, messa subito in mostra al primo turno, con il primo accoppiamento da scintille contro i Phoenix Suns.
Ma quando arriva aprile gli Spurs cambiano pelle; i texani hanno liquidato il run & gun di D'Antoni senza grandi affanni, con Parker e Ginobili ad aprire in due la difesa dei Suns ed il solito Duncan a predicare basket.
Più equilibrata la semifinale di conference contro i frizzanti Hornets di Chris Paul; gli Spurs sono andati sotto prima 2-0, poi 3-2, prima di rimontare ed acciuffare l'ennesima finale di conference.
Bella serie, come bella si presentava quella contro i Lakers di Kobe, passati 4-1 con un'autorità che forse in pochi si aspettavano.
L'intervento di Fisher su Barry nei due secondi finali di gara-5 farà discutere a lungo, ma i californiani hanno dimostrato di avere qualcosa in più. Se non altro nelle gambe.
Con l'eliminazione, e dunque la preclusione di centrare almeno una volta un "repeat", ora per gli Spurs potrebbe aprirsi una nuova era. Ad Ovest Los Angeles è tornata contender affidabile, New Orleans cresce e ambisce ad ambiziosi traguardi, i Suns proveranno subito a vincere con il nuovo coach. E poi ci sono sempre gli Utah Jazz e le altre texane, Houston e Dallas.
Insomma, non sarà facile, e per gli Spurs ci sono almeno tre questioni da affrontare e risolvere, prima di presentarsi al via della prossima stagione.
I problemi
Uno su tutti. Inutile nascondersi: qualcosa va cambiato in uno dei roster dall'età media più alta della Nba.
E se da un lato è vero che spesso l'esperienza è l'ingrediente principale nella ricetta per vincere un titolo, è anche vero che in ogni stagione arriva un momento in cui devi poterti guardare alle spalle e sapere di poter contare su forze fresche, ma soprattutto affidabili.
Con l'innesto di Kurt Thomas gli Spurs hanno inserito un cambio importante per il reparti lunghi della squadra, ma tra gli esterni, per esempio, servono nomi nuovi.
Si riparte dai Big three dell'Ovest (Parker- Ginobili- Duncan) , ma a San Antonio l'esigenza di cambiamento è evidente.
Ovviamente si guarda innanzitutto al mercato dei free agents, poi eventualmente si penserà se e quali trades imbastire.
Il nome più gettonato negli ultimi giorni era quello di Corey Maggette, in uscita dai Los Angeles Clippers.
L'ala da Duke potrebbe poteva essere l'innesto ideale per lo starting five degli Speroni, il 3 adatto a sostenere fisicamente il lavoro dei lunghi, con punti importanti nelle mani (22 di media nell'ultima stagione) per garantire un contributo offensivo di tutta sostanza.
Gli Speroni sembravano effettivamente in prima fila per Maggette, unrestricted free agent e dunque libero di accordarsi, e che alla fine ha scelto l'offerta dei Warriors, complessivamente per 50 milioni di dollari.
Le ultime voci, adesso, danno San Antonio sulle tracce di James Posey, ma qui bisognerà vincere una folta concorrenza.
Buford e soci, intanto, si guardano intorno: si pensa all'ex Pistons e Raptors Delfino, che tuttavia potrebbe tornare in Europa, ma anche a JR Smith o Roger Mason da Washington.
E poi c'è da riflettere sulla rosa attuale: Kurt Thomas dovrebbe restare, Brent Barry e Robert Horry probabilmente no, con il primo conteso da diverse franchigie ed il secondo che probabilmente sceglierà di giocare ancora un anno, ma non con gli Spurs.
Incertezza anche per Michael Finley, il cui contratto con San Antonio è scaduto: la guardia, 2 volte All Star, dopo 13 stagioni di Nba, ha chiuso il suo terzo anno con la casacca bianconera, a poco più di 10 punti a partita, senza aver saltato una sola gara nelle ultime due regular season.
Finley, 21° scelta assoluta al draft 1995, avrebbe preso tempo, in attesa di valutare eventuali altre offerte, compresa quella che lo riporterebbe alla corte di coach Popovich, dove la sua esperienza potrebbe ancora fare molto comodo per tentare subito un altro assalto all'anello.
L'unica sicura novità , al momento, riguarda lo staff dirigenziale: è l'addio di Russ Bookbinder, Organization's Executive Vice President and Business Operations, in pratica uno degli uomini che hanno contribuito a rendere sempre più nota ed appetibile, anche in termini di merchandise, la franchigia texana, dopo 21 anni di lavoro a San Antonio.
Adesso bisognerà pensare ad un sostituto anche dietro la scrivania.
Draft
Non che ci si attendesse molto, per la verità , dalla serata newyorkese del 26 giugno.
Gli Spurs avevano tre chiamate. Con la prima si sperava di portare a San Antonio Nicolas Batum, finito sì in Texas ma con la maglia dei Rockets, che hanno chiamato con la 25 proprio un attimo prima degli Spurs.
Al draft, dunque, la prima è stata spesa per George Hill, scelta inedita, promettente guardia da Indiana Purdue che ha chiuso la sua carriera universitaria a 17 punti di media.
Non sarà sicuramente lui a risolvere i problemi degli Spurs, uno dei quali resta sempre il principale cambio di Parker.
Tuttavia, conoscendo la capacità del coaching staff texano di tirare fuori il meglio da ogni giocatore, ed in particolare da quelli chiamati al draft, non è illogico aspettarsi di vedere presto una guardia affidabile.
Con le altre due chiamate a disposizione (45-57), al secondo giro San Antonio ha scelto James Gist, fisicata ala da Maryland, e Goran Dragic, guardia slovena dell'Olimpija, anche se le probabilità che nessuno dei due farà parte del roster di partenza della prossima stagione sono effettivamente alte.
Al draft sono strettamente legate anche le situazioni di altri due giocatori, il centro Tiago Splitter, prima scelta degli Spurs lo scorso anno e che resterà in Spagna, e del lituano Robertas Javtokas, centro di 2.10 che in Europa ha già vinto di tutto, e per il quale San Antonio detiene sempre i diritti da draft, dopo averlo chiamato scelto con la 56° chiamata nel 2001.
Per questo potrebbe diventare importante l'inserimento di Ian Mahinmi, 21enne ala-centro francese che ha disputato l'ultima stagione in D-League con gli Austin Toros, ma che si appresta a disputare le summer leagues con la maglia degli speroni.
Lo staff dovrà lavorare molto su di lui, ma sembra probabile che a ottobre inizierà il campionato nel roster di San Antonio.
Che succederà ?
Per quanto, secondo chi scrive, potrebbero essere necessari almeno 3-4 cambiamenti importanti in rosa per puntare subito al titolo, è assolutamente possibile che R.C. Buford e il suo staff scelgano la strada della continuità .
La situazione, al momento, è tutta da definire, con alcuni giocatori (eventualmente) da rifirmare e un roster da riorganizzare. Dopo, al limite, si può mettere in piedi qualche scambio. Ma nessuna pretesa.
Sul riverwalk sembrano tutti tranquilli: finchè c'è Tim, c'è speranza.