Finals 2008: analisi tattica

I Lakers non sono riusciti a rimanere aggrappati a questa serie.

I festeggiamenti per il ritorno a Beantown del titolo NBA sono appena cominciati, e si protrarranno per tutta l'estate: approfittando del fatto che, per il momento, le prime celebrazioni si sono affievolite, cerchiamo di rivisitare a mente fredda le Finals appena trascorse, in cui i Celtics hanno dato parecchio lavoro agli storici delle statistiche nel basket USA (ed in particolare ai massimi esperti di "numerologia" nello sport professionistico a stelle e strisce, gli enciclopedisti dell'Elias Sports Bureau).

Solo per citare alcune delle pagine dei libri dei record delle Finals che hanno dovuto essere riscritte:
-Boston è la prima squadra ad infrangere il muro dei 130 punti segnati in una gara di finale dai tempi di una delle precedenti sfide Lakers – Celtics, Gara 2 del 1987; all'epoca la storia andò esattamente al contrario, visto che furono i gialloviola a vincere le prime due gare andando poi a chiudere sul 4-2;

– Kevin Garnett è l'ottavo giocatore ad ottenere una doppia doppia in ciascuna delle sue prime 6 apparizioni nelle Finals: è in discreta compagnia, visto che gli altri sono Pettit, Baylor, Chamberlain, Abdul-Jabbar, Walton, Moses Malone e Shaq.

– KG e Pierce sono diventati la seconda “combo” nella storia a raggiungere i 500 punti a testa in una serie finale (rispettivamente 530 e 511); l'unico precedente, sempre per la serie "corsi e ricorsi", è ancora gialloviola: Shaq e Kobe nell'ultimo anno del threepeat.

– Come se non bastasse, in aggiunta ad uno dei migliori “one-two punch” della storia delle Finals, i Celtics possono pure vantare il miglior tiratore da tre nelle serie finali: grazie alle sette triple in Gara 6, Ray Allen ha eguagliato il record per tiri dalla lunga distanza in singola partita (sette, appunto, che ora condivide con Kenny Smith e Pippen), ha stracciato il precedente record per triple complessive (22, contro il 17 a cui era poggiata l'asticella), ed ha contribuito in modo sostanzioso ai 52 tiri da tre complessivamente a segno per Boston (che è un altro record).

Boston, come detto, avrà  tutta l'estate per gustarsi, oltre all'anello, anche i numerosi record raccolti qua e là  (non dimentichiamoci, ad esempio, delle 26 gare giocate nei playoffs); al momento, per chiudere definitivamente questa splendida stagione NBA, concentriamoci un'ultima volta sui temi tattici che hanno caratterizzato la serie finale.

TRIPLE POST OFFENSE vs DRIVE AND KICK

Nelle prime due gare, entrambe le squadre si sono affidate alla strategia offensiva che conoscevano meglio e su cui avevano fatto affidamento per tutta la stagione: il triangolo per Jackson, il "penetra e scarica" continuato per Rivers.

La scelta, come è evidente, ha funzionato solo per i biancoverdi: 51 canestri assistiti sui 68 segnati complessivamente nelle prime due gare (un incredibile 75%), 23 servizi in camera a fronte di sole 4 palle perse per Rajon Rondo (16 assist in Gara 2, miglior prestazione nelle Finals in questa categoria dai tempi di Magic); numeri che testimoniano della facilità  con cui i padroni di casa riuscivano a muovere la difesa gialloviola e trovare canestri comodi.

Dall'altra parte, invece, i Lakers non sono mai riusciti, con l'eccezione del primo quarto di Gara 1, a muovere la difesa di Thibodeau, una muraglia verde che ha letteralmente strangolato il miglior attacco della lega: grazie ad una esecuzione della "packline defense" semplicemente esemplare, Boston è riuscita a disinnescare il triangolo, affollando le linee di passaggio e di penetrazione, mentre gli attaccanti lontani dalla palla rimanevano fermi ed inerti, conducendo ad un attacco asfittico e facilmente contenibile da una grande difesa.

Non è possibile trovare parole migliori per descrivere in che modo Thibodeau ha annullato la triple post offense rispetto a quelle usate, dopo Gara 2, da Tex Winter in persona: "Loro confidano nel fatto che i loro avversari non sono abbastanza pazienti da leggere progressivamente lo sviluppo dell'azione, cercando di sviluppare la seconda e terza opzione all'interno del gioco: quindi mettono due o tre persone tra te e il canestro, puntando sul fatto che non avrai la pazienza di ribaltare il gioco sul lato debole e quindi nuovamente sul lato forte, permettendo loro di recuperare"

In particolare, Winter ha trovato particolarmente impressionante il lavoro di Rajon Rondo: "La sua velocità  è impressionante, è in grado di disturbare le nostre linee di passaggio più favorevoli e al tempo stesso recuperare la posizione per mettere pressione su Fisher, che contro un avversario così non riesce a trovare ritmo e le sue soluzioni offensive preferite"

"Per il successo del nostro sistema offensivo, è cruciale che i nostri giocatori rispettino la giusta spaziatura, si muovano correttamente senza palla, e soprattutto che le ali siano rapide nel ribaltare il gioco: Vlade, Luke e Lamar non si sono comportati bene, e il risultato è stato un attacco statico, senza ritmo, con Kobe a dominare la palla anziché riceverla in movimento venendo dal lato debole, che è la nostra situazione tattica preferita"

E' francamente difficile aggiungere altro: i Lakers, per tutta la serie, hanno trovato enormi difficoltà  nell'eseguire i propri schemi fino in fondo: la strategia pressante dei Celtics, unitamente alla mancanza di aggressività  dei propri giocatori, li ha costretti, costantemente, a rompere il gioco previsto nei primissimi secondi dell'azione, e una volta successo questo i quattro "non Kobe" non hanno saputo fare di meglio che fermarsi e lasciare che il 24 affrontasse la difesa di Thibodeau in 1 vs 5, con gli ovvi risultati.

ALLO STAPLES MENO RONDO E PIU' SMALL BALL

Tornati nella città  degli angeli con un pesante 0-2 da recuperare, Jackson e il suo coaching staff dovevano inventarsi qualcosa per riequilibrare tatticamente le sorti della gara, su entrambi i lati del campo: in attacco, su suggerimento dello stesso Winter, la scelta è stata quella di fare meno triangolo e più screen and roll tra Kobe e Gasol, il "piano B" a cui si erano affidati per tutta la stagione nei momenti di difficoltà  (ne parleremo in seguito).

In difesa, la mossa tirata fuori dal cilindro è stata quella di mettere Kobe su Rondo, "battezzando" il giovane play ad ogni azione, con la duplice conseguenza di negargli la penetrazione e lasciare carta bianca all'MVP per raddoppiare a suo piacimento sugli altri attaccanti.

La strategia ha funzionato egregiamente per una partita e mezza: i Celtics, non riuscendo più a muovere la difesa, si sono trovati a dover mettere palla per terra e cercare avventure contro la difesa schierata (e contro le braccia lunghe di Gasol, che se può rimanere fermo a centro area è in grado di alterare i tiri di chiunque); a questo punto, con un Rondo emotivamente fuori dalla serie (emblematiche alcune sequenze in cui rinunciava a comodi tiri dai 3-4 metri in perfetta solitudine per obbligare un compagno ad una conclusione da vari metri più indietro con l'uomo addosso), e "approfittando" anche di un apporto di Perkins inferiore alle aspettative, Rivers ha trovato la contromossa decisiva per dare scacco matto a Jackson: small ball.

House in punta, Posey da 4, "cinque fuori" continuato: confidando sulle carenze difensive, soprattutto nel passo d'arretramento, che quasi tutti i Lakers manifestano, e sull'efficacia dei suoi tiratori perimetrali (che, come detto, non lo hanno tradito, mettendo a segno il record delle Finals per triple a segno), il coach di Boston ha potuto rinunciare a Rondo a cuor leggero, ritrovando una efficacia offensiva da sogno (oltre 130 punti sui 100 possessi nel secondo tempo di Gara 4 e in Gara 6, roba da Harlem Globetrotters), che gli ha permesso di aumentare ulteriormente il suo vantaggio tattico rispetto a quanto visto nelle prime due sfide a Beantown.

IL GIOCO A DUE KOBE-GASOL

I Lakers, viste le difficoltà  a “bucare” la difesa di Thibodeau con il triangolo, a causa della pigrizia nel muoversi lontano dalla palla e nel ribaltare il gioco, si sono rifugiati, come abbiamo detto, in giochi a due insistiti tra Gasol e Bryant.

Il problema è che questa situazione, per riuscire a sfondare il fortino biancoverde, poteva funzionare solo se accompagnata da" indovinate un po', adeguati movimenti dei giocatori senza palla, in particolare sul lato debole.

Andiamo ad analizzare questa situazione tattica con l'ausilio delle" ehm" potenti conoscenze tecniche del sinceramente vostro; le immagini si riferiscono a Gara 5.


1: PnR Farmar-Gasol
Questo primo snapshot si riferisce a Gara 5; il gioco a due è tra Gasol e Farmar, anziché Kobe: siamo sul 90-88 per i gialloviola, che hanno quasi le spalle al muro.

Il #24 è sul lato debole, insieme ad Odom, e non c'è bisogno del goniometro per capire che la spaziatura non è particolarmente invitante; ci sarebbe bisogno che Fisher si portasse lungo la linea di tiro libero, per allontanare il suo marcatore dalla linea di penetrazione di Farmar, e che Odom contemporaneamente salisse al gomito per dare una “valvola di sfogo” efficace, liberare la linea di fondo ed eventualmente punire la difesa con uno dei suoi passaggi di tocco; contemporaneamente, Gasol dovrebbe attaccare con decisione il “soft spot" rappresentato dal lato destro della difesa biancoverde, completamente sguarnito.


2: Tutti fermi;
In realtà , non succede niente di tutto questo: Fisher e Gasol rimangono inchiodati sul posto, Odom si sposta non verso il gomito ma verso il centro dell'area, e il risultato è che tutte le linee di penetrazione sono impraticabili; Kobe è libero ma tagliato fuori da qualsiasi possibilità  di essere servito, Farmar è chiuso nella morsa della difesa ed ha più probabilità  di perdere il pallone che di creare qualcosa di buono.


3: Tutto come prima.
Il play dei Lakers si rifugia su Gasol per non farsi scippare della palla, ma i gialloviola si ritrovano ad aver speso metà  del tempo a loro disposizione per il tiro senza aver creato nulla rispetto all'inizio dell'azione: il catalano, fermo a 6 metri abbondanti dal ferro, tenterà  un improbabile penetrazione e scaricherà  per un ancor più improbabile tiro da 8 metri di Fisher: rimbalzo biancoverde, rapido cambiamento di fronte, e pareggio ai 90.


1: PnR Bryant-Gasol
In quest'altra immagine, tratta dal primo tempo della stessa gara, la situazione di partenza è assolutamente identica: Gasol piazza il blocco, e ha a disposizione una prateria sul lato destro della difesa celtica, mentre i due esterni sul lato debole hanno una spaziatura migliore; Odom, che si stava inizialmente dirigendo verso il post basso, fa la cosa giusta: anziché intasare l'area, si allontana decisamente dal ferro, muovendo la difesa e dando a Kobe una valida valvola di sfogo.


2: tutto bene, tranne Pau
Grazie al movimento di Odom, la spaziatura adesso è ideale, e Kobe ha un ventaglio amplissimo di opzioni: può mettersi in proprio, cercare Fisher nell'angolo, affidarsi ad Odom per il gioco alto-basso con Gasol, cercare di servire direttamente il catalano in avvicinamento a canestro; però, mentre Kobe si liberava del raddoppio, Gasol ha fatto il movimento deciso verso il canestro che gli sarebbe richiesto?

Evidentemente no; dopo aver bloccato, Gasol ha fatto si e no un passo in avanti, ma è ben lontano dalla posizione che gli competerebbe (diciamo sulla “F” di “Finals”): Kobe tenta la fucilata no look direttamente dal palleggio, alla Deron Williams, ma il pallone finisce tra i fotografi.
Giocata forse troppo difficile, Kobe avrebbe fatto meglio a cercare Odom per un passaggio intermedio ed un "assist secondario" come nell'hockey, ma in realtà , se Gasol avesse fatto il proprio movimento con più decisione, quelli sarebbero stati due punti tutta la vita.


1: Doppio blocco per Kobe;
Nel finale di gara, i Lakers sono sopra di 1 solo per grazia ricevuta, visto che i Celtics hanno appena sbagliato svariati liberi cruciali; i gialloviola aggiungono un ulteriore blocco di Odom al “classico” blocco di Gasol: da questa immagine si vede perfettamente la “packline defense” di Thibodeau, il semicerchio di maglie verdi attorno al pitturato: una morsa che blocca le linee di passaggio e di penetrazione, pronta a chiudersi inesorabilmente su Bryant.

Questa volta, però, il movimento dei bloccanti fa tutta la differenza del mondo.


2: Il movimento giusto.
Gasol, nelle rare volte in cui ne ha voglia, il movimento giusto lo sa fare, eccome: guardate come, in pochi attimi, lui e Odom abbiano preso posizione profondissima ai due lati del pitturato, regalando a Kobe due facili bersagli per lo scarico (e potrebbero essere addirittura tre, se Pierce scegliesse di triplicare lasciando libero Fisher nell'angolo); Garnett è preso in mezzo tra i due lunghi gialloviola, e nemmeno lui può nulla in questa situazione: la difesa di Thibodeau è disinnescata, e i Lakers hanno un canestro facile a loro disposizione.
In questo caso, Garnett andrà  su Gasol e Kobe troverà  Odom, che andrà  a prendersi un fallo (trasformato in due liberi a segno) sfiorando il gioco da tre punti.

L'idea di trovare soluzioni più semplici rispetto all'esecuzione continuativa del triangolo avrebbe anche potuto funzionare: anch'essa, però, era ostaggio della "cattiveria agonistica" dei gialloviola senza il #24 sulla maglia, che troppo spesso, e non solo in questa serie, nei momenti cruciali si sono limitati a restare passivi, condannando inevitabilmente Los Angeles.

MVPIERCE: COME DOMINARE UNA DIFESA

Tutte le volte che i neo-campioni del mondo hanno avuto bisogno di un canestro pesante, si sono affidati all'MVP delle Finals: si sapeva che i Lakers non avevano né un marcatore adatto a lui, né un'organizzazione difensiva che permettesse loro di sopperire a questa carenza.

In certi momenti della serie, però, PP è stato letteralmente inarrestabile nell'attaccare il ferro direttamente dal palleggio, partendo da una posizione profonda: con la sua potenza e il suo controllo del corpo, è in grado di affondare nelle difese avversarie (anche più solide di quella dei Lakers) come il proverbiale coltello nel burro, come vediamo in queste sequenze, prese sempre da Gara 5.


1: Top of the Key
Questa immagine è presa dall'inizio del secondo quarto, momento in cui PP ha letteralmente assediato il tabellone gialloviola per parecchi possessi di seguito: in un ristretto lasso di tempo, Jackson ha alternato Radmanovic, Walton, Ariza, Vujacic, addirittura Fisher, ed infine Kobe (l'unico ad ottenere qualche risultato); il nativo di Inglewood si è procurato 4 falli nei primi 2'30'' del periodo (permettendo ai Celtics di guadagnare il bonus dei liberi con una velocità  inusitata) guidando Boston ad un parzialone di 15-0 nei primi 4 minuti: all'intervallo PP è il migliore dei suoi per minuti giocati, punti, rimbalzi, assist, palle rubate; chiuderà  con 38 punti e 8 assist in un magistrale loosing effort.

In questa sequenza, l'azione viene iniziata da Cassell, che consegna palla a PP posizionato proprio sulla "top of the key", nella lunetta del tiro libero: la spread offense dei Celtics è perfettamente evidente, così come le difficoltà  che la marcatura di Posey impone a Odom, costringendolo ad onorarne il tiro da fuori ed impedendogli quindi di aiutare a centro area come vorrebbe; Pierce è marcato da Ariza, che è un signor difensore rispetto alla media degli esterni gialloviola, ma troppo leggero per PP.


2: Scacco matto.
A PSquare, infatti, basta il primo passo per spazzare via il suo difensore, e a questo punto la via verso il canestro è totalmente libera, e il #34 non può più essere fermato: Odom fa solo finta di aiutare, per non concedere una facile tripla, e Pierce andrà  tranquillamente a segnare uno dei tanti layup del suo secondo periodo di gioco in Gara 5.

Da notare, come nota di colore, che Mihm e Vujacic non solo non vanno a chiudere su Pierce, ma si sono pure completamente persi il movimento sulla linea di fondo di Tony Allen, che volendo avrebbe potuto ricevere per un comodo layup.


1: Lontano dal canestro.
Anche quando Pierce si è trovato in difficoltà , però, ha sempre trovato un valido aiuto nei compagni: come abbiamo visto, quando può attaccare il canestro direttamente dal palleggio, partendo da una posizione profonda, è inarrestabile, mentre è molto più sospetto quando costretto a mettere palla per terra a grande distanza dal pitturato, situazione che espone il suo non impeccabile controllo di palla in palleggio: i Celtics, per tutti i playoffs, hanno spesso avuto la tendenza ad affidare troppo presto la palla nelle mani del loro "closer" , costringendolo ad avvicinarsi all'area palleggiando: in questa immagine, vediamo che PP inizia l'azione dalla linea di centrocampo e ha i suoi bei problemi a tener botta contro le mani veloci di Bryant.

A differenza di quanto successo in casa gialloviola, il portatore di palla in difficoltà  trova subito l'assistenza di un compagno; KG, in particolare, è insostituibile nella sua indefessa volontà  di piazzare anche tre, quattro, cinque blocchi consecutivi nel corso di una stessa azione (molti di essi, per la verità , sono fatti in movimento e degni di un offensive tackle NFL, ma non è un tipo di fallo che i grigi fischiano con continuità ).
In questa immagine, l'MVP difensivo arriva in soccorso con un solido blocco, e così PP può andare verso il canestro: la strada da percorrere, però è troppo lunga, e persino una difesa lentissima negli aiuti come quella gialloviola ha tutto il tempo per aggiustarsi.


2: Potrei avere un aiutino?
Ed infatti Pierce si va a cacciare in un bel ginepraio: le linee di passaggio verso gli esterni sono chiuse, Gasol e le sue braccia lunghissime gli precludono il canestro, e PP è sostanzialmente privo di valide soluzioni personali; una situazione estremamente complessa, ed infatti ci vuole nuovamente un aiuto da parte di KG, che segue l'azione dopo il blocco, si piazza al gomito e toglie di prigione PP, facendosi trovare pronto per un comodo jumper a segno.


Game, set and match
Questa è la giocata che ha deciso Gara 5, e si è sviluppata nello stesso identico modo di quella vista in precedenza: Pierce, nuovamente costretto a palleggiare a grande distanza dal canestro, si è visto pizzicare da dietro da Kobe nel momento in cui "girava l'angolo" per puntare al ferro, ma si è trattato di una situazione episodica, che nulla toglie alla macroscopica differenza tra un attacco in cui i giocatori lontano dalla palla si limitano a fare da spettatori, ed uno in cui invece continuano a seguire l'azione e parteciparvi, cercando di dare una valvola di sfogo al portatore di palla che dovesse trovarsi in difficoltà .

LA GESTIONE DEL RITMO DELLA PARTITA

Se avete avuto la pazienza di leggere fin qui, prestate ancora attenzione per qualche minuto: conclusivamente, infatti, è necessario parlare di un aspetto tattico poco considerato in questa serie, ma che si è invece dimostrato determinante: la scelta del ritmo da imporre alla gara.

Molti commentatori hanno insistito su quanto sarebbe stato proficuo per i Lakers cercare di giocare ad alto ritmo, spingere forte in contropiede, impostare la serie su un numero alto di possessi; i gialloviola, effettivamente, hanno spesso tentato di giocare questa carta (in particolare nei primi quarti), iniziando fortissimo e cercando soluzioni rapide nei primi secondi dell'azione, per imporre un ritmo forsennato alla gara.

Una scelta che, in tutte le ultime gare, ha permesso loro di piazzare dei parziali sostanziosi, guadagnando cospicui vantaggi in termini di punti, ma che, come questa serie ha dimostrato più volte, si è rivelata quasi sempre un'arma a doppio taglio.

Alzare il ritmo offre la possibilità  di piazzare dei "break" corposi, ma, per definizione, espone il fianco al rischio di subire dei contro-parziali con la stessa facilità , rendendo veramente arduo gestire qualsiasi vantaggio, anche il più consistente; questo principio, vero in generale, è ancora più valido se pensiamo a come sono strutturati Celtics e Lakers: i primi hanno un attacco a metà  campo non sempre affidabile, ma una difesa in transizione straordinaria; i secondi hanno il miglior attacco a metà  campo della lega, ma accompagnato da una difesa sospetta in molti settori, e semplicemente disastrosa quando si tratta di difendere la “early offense” avversaria.

Può sembrare paradossale, ma la scelta dei Lakers di imporre un ritmo frenetico ad inizio gara si è rivelata sempre controproducente, visto che ha “costretto” i Celtics a giocare a visto aperto ed alzare a loro volta il ritmo, finendo per travolgere la ridicola difesa in transizione dei gialloviola.

Da quando si è tornati a L.A., la trama di gara ha sempre visto un alternarsi di parziali e controparziali, che però alla lunga hanno favorito gli ospiti: nel momento in cui i Celtics iniziavano a macinare punti in attacco, la loro energia aumentava, e la difesa di Thibodeau saliva ulteriormente di colpi: tra i Lakers iniziava a serpeggiare l'indecisione, arrivavano gli errori non forzati in aggiunta a quelli imposti dalla miglior difesa della lega, e in un attimo arrivava il patatrac: una volta completata la rimonta, i Celtics prendevano saldamente il controllo tattico della partita per non perderlo più.

Una conclusione praticamente inevitabile, quando si mettono a confronto una delle migliori e una delle peggiori difese in transizione della lega. Guardare per credere queste sequenze tratte dalla decisiva Gara 6, prese proprio nel momento in cui la partita era ancora in bilico e i Celtics l'hanno fatta propria, trasformando il secondo tempo in un infinito garbage time.


1: Kobe in campo aperto.
Classico "5 fuori" dei Celtics, ma Pierce non può battere Kobe in palleggio, e quindi tenta una difficile conclusione dalla lunga distanza; il #24 va su per contestargli il tiro, ma sull'inerzia del movimento si lancia direttamente in contropiede, confidando nel rimbalzo difensivo e in una pronta apertura; notate la posizione di Odom, che ha ignorato completamente Glen Davis e non avrà  difficoltà  a far suo il rimbalzo.

Ma fate attenzione anche alla posizione di Posey, che è fermo nell'angolo, pronto per uno scarico che però non può arrivare, visto che il portatore di palla non ha mosso la difesa.


2: La reazione di Posey.
Il rimbalzo è alto e lungo: Odom fa sua la palla comodamente, ma ci mette circa un paio di secondi: in questo lasso di tempo minimo, però, Posey ha già  fatto la sua mossa: nel momento in cui ha visto il suo uomo (Kobe) lanciarsi in contropiede, non si è fatto ingolosire dalla palla, lasciando perdere la possibilità  di tentare di recuperare un difficile rimbalzo offensivo, e si è invece lanciato a rotta di collo sulle piste del # 24, nonostante i metri di vantaggio che quest'ultimo poteva vantare; nel tempo impiegato da Odom per assicurarsi il controllo del pallone, Posey è già  oltre lo schermo, all'incirca a metà  campo.


3: Non si passa.
Odom lascia partire la sbracciata da quarterback, ma anziché un comodo touchdown per Kobe si ritrova un clamoroso intercetto di Posey, che infiamma il Garden.

La sua abnegazione è stata premiata da una giocata difensiva di capitale importanza, una di quelle che spezzano le partite; una giocata dettata semplicemente dalla voglia, dalla grinta, dalla capacità  di fare attenzione al proprio assegnamento difensivo a prescindere da qualsiasi circostanza esterna, anche in una situazione in cui nessuno lo avrebbe rimproverato se anche avesse lasciato libero Kobe, confidando che qualcun altro, più vicino a lui al momento dell'azione, se ne fosse occupato.

Il confronto con quanto accade ai Lakers nelle situazioni di transizione difensiva è semplicemente impietoso.


1: Pierce in campo aperto.
Posey ha appena portato Kobe su un raddoppio, generando una palla persa; Pierce se ne impossessa e parte in contropiede, ma la velocità  pura non è proprio il suo forte, e comunque ci sono tre giocatori (Radmanovic, Kobe e il velocista Farmar in basso) tra la linea del pallone e il canestro.

Una squadra dedita al gioco controllato, in questa situazione, si accontenterebbe del recupero e inizierebbe un'azione a difesa schierata, ma questa azione dimostra al meglio la strategia di "early offense" che Rivers ha chiesto ai suoi qua e là  durante la stagione, e imposto come costante in questa serie, per sfruttare le amnesie difensive dei gialloviola.

Come insegna D'Antoni, per giocare early offense in realtà  non servono necessariamente grandi atleti, perché l'obiettivo non è arrivare in fondo al campo prima dell'avversario, l'obiettivo è mettersi in posizione per il miglior tiro possibile (preferibilmente da tre) prima che la difesa si assesti; House (in basso nel teleschermo) e Posey (a centro area) si stanno preparando a fare proprio questo.

E i Lakers? Farmar rientra lungo la propria corsia per coprire House, Kobe, furioso per la palla persa, va a mettere pressione su PP; Radmanovic rimane senza un assegnamento, e dovrebbe quindi leggere la situazione e scendere in diagonale per andare ad accoppiarsi a Posey.


2: La "reazione" di Radmanovic.
Eh già , dovrebbe" mentre Glen Davis piazza un blocco a centrocampo per alleggerire la pressione sul portatore di palla, Radman continua a "rinculare" lungo la propria corsia fino a trovarsi in una zona morta, dove non c'è nessun pericolo imminente. E' l'inizio della fine.


3: Canestro facile.
Come vedete da questa foto, non è che i Lakers non siano rientrati (anche Gasol ha recuperato, e Odom è in procinto di farlo); il problema è che sono rientrati MALE, in modo confusionario e disorganizzato, senza capire dove voleva andare a parare l'attacco biancoverde.

Radmanovic, se avesse letto correttamente la situazione, ora sarebbe sulla "S" di "Finals", e Pierce non avrebbe alcuno sbocco per un tiro facile, dovendosela vedere con Kobe in prima battuta e Odom che rientra forte su di lui.

Il serbo, al contrario, rientrando senza un criterio e senza intuire qual'era l'uomo da coprire, è finito in una "terra di nessuno" lontanissima dal cuore dell'azione; Farmar, di conseguenza, è preso tra due fuochi, e finisce per essere costretto a scegliere un tiratore da coprire, lasciando inevitabilmente libero l'altro: la sua scelta cadrà  su House, e Pierce troverà  quindi Posey per una facile tripla dalla sua mattonella preferita: tripla per i Celtics, 14 punti di vantaggio: game, set and match.

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