KG esce a testa alta dallo Staples: il titolo è vicino.
La serie finale mediaticamente più attesa degli ultimi anni aveva bisogno di una partita epica per entrare nella storia, ed ecco che è arrivata Gara 4: un primo tempo perfetto per i Lakers, che sembravano aver completamente riaperto la serie, un secondo tempo più che perfetto per i Celtics, che l'hanno definitivamente chiusa.
Numericamente i Lakers hanno ancora qualche speranza di vincere il titolo, ma in realtà Boston sembra aver chiuso questa sfida una volta per tutte, da un punto di vista emotivo (impossibile riprendersi per i gialloviola, dopo essere entrati nella storia dalla parte sbagliata per aver subito la peggior rimonta di ogni tempo), tecnico-tattico (i Celtics hanno ormai dimostrato di poter superare agevolmente tutti gli aggiustamenti avversari), statistico (NESSUNA squadra nella storia delle Finals ha mai rimontato da 1-3; in generale, una rimonta del genere è riuscita solo 8 volte in 174 occasioni, e in 6 di quelle 8 occasioni la squadra che ce l'ha fatta aveva quantomeno il vantaggio del campo nelle ultime tre gare).
Andiamo quindi a vedere come si è sviluppata questa partita dai due volti, partendo dalla statistica che meglio di ogni altra riassume l'efficacia offensiva di una squadra di basket, vale a dire i punti per 100 possessi.
PRIMO TEMPO
Lakers 119,95
Celtics 82,10
SECONDO TEMPO
Lakers 79,70
Celtics 137,70
La media NBA, sia in regular season che nei playoffs, è stata 108,3, e le migliori performance sono state rispettivamente 115,8 e 113,5 (Suns e Hornets), e le peggiori 101,7 e 100,9; i numeri di Gara 4, quindi, ci dicono qualcosa che già sapevamo, ovvero che le due squadre hanno dominato, su entrambi i lati del campo, un tempo a testa; ci dicono però anche qualcosa di notevolmente più interessante sull'entità delle rispettive prestazioni.
Nel primo tempo, infatti, l'attacco dei Lakers è stato eccellente, ma non straordinario: quel 119,9 di rating è ottimo, ma i gialloviola già in Gara 2 avevano toccato cifre analoghe (117,3), ed i Celtics avevano fatto ancora meglio (122,3); è stato ben più rilevante tenere i verdi a 82,1.
Nel secondo tempo, invece, i Celtics hanno giocato una grande partita in difesa, ma che ha sostanzialmente pareggiato la performance difensiva dei gialloviola; gli ospiti, però, hanno fatto la differenza con una efficacia offensiva non solo eccellente, ma addirittura epica, leggendaria (55 punti pieni di differenza tra il primo ed il secondo tempo non è un semplice miglioramento, è una vera e propria rivoluzione).
I Lakers, per parte loro, nel primo tempo sono andati bene, anzi molto bene, in attacco, ma la differenza l'hanno fatta in difesa, e ci sono riusciti grazie ad un aggiustamento che si è rivelato alquanto complicato da digerire per i Celtics: Kobe, in marcatura fissa su Rondo gli lascia un materasso, più che un cuscino, di alcuni metri, che toglie all'avversario la sua efficacia in penetrazione, e contemporaneamente gli permette di scatenare le sue qualità di “miglior difensore in aiuto dai tempi di Scottie Pippen” (parole non di un tifoso lacustre in stato di eccitazione alcolemica, ma di Doc Rivers in persona).
Una scena già vista in alcuni frangenti di Gara 3, ma che, imposta sul lungo periodo, e combinata con una rinnovata vitalità dei padroni di casa sotto il proprio tabellone (concedendo ai Celtics un misero 16% dei rimbalzi a disposizione nell'area gialloviola), ha permesso loro di mettere la museruola agli ospiti e di poter giocare in modo sereno e lucido in attacco, sfoderando tutto il meglio del proprio repertorio fatto di movimento senza palla, passaggi di tocco, tagli del passatore; il tutto con un Bryant, come detto, Pippeniano, efficace in tutti i settori del gioco (3 rimbalzi, 5 assist, 4 palle rubate) pur senza brillare offensivamente (0/5 dal campo).
Nel secondo tempo la situazione è cambiata radicalmente, ma non da subito: un primo parziale di 8-2 per i Celtics, infatti, è stato immediatamente ribaltato da un controparziale di 8-0 per LA che fissava la gara sul +20 (68-48) a circa 20' dalla fine della gara.
A questo punto è arrivata la mossa decisiva di Rivers: un quintetto piccolissimo con Posey da 4 e House in punta al posto di Rondo, una scelta che ha rivoluzionato completamente la scacchiera preparata da Phil Jackson, ma che, in realtà , Doc aveva già provato sia in Gara 3 che nel primo quarto di Gara 4, senza risultati apprezzabili.
Quello che è cambiato rispetto alla stessa situazione tattica vista in precedenza è stato l'atteggiamento dei Big Three: nella partita precedente, senza Rondo in campo, le stelle di Boston avevano fatto fatica a battere il proprio uomo in 1 vs 1, ma nel secondo tempo di Gara 4 sono stati praticamente impeccabili.
E' stata forse la prima volta in questi playoffs in cui Pierce, KG e Ray Allen hanno viaggiato tutti e tre a pieni cilindri in attacco nello stesso tempo, battendo costantemente il proprio avversario, guadagnandosi tiri liberi, muovendo la difesa e creando le occasioni per gli scarichi su cui House e Posey si sono dimostrati killer implacabili.
Il terzo periodo è stato, come al solito, terreno di caccia di PSquare (9 punti senza errori né dal campo né in lunetta, conditi da 3 assist), ma nel quarto parziale i due canestri più importanti sono stati segnati da KG, ed entrambi in avvicinamento a canestro nel pitturato; Ray Allen, per parte sua, ha completato una incredibile partita “all around” (in cui oltretutto non si è seduto in panchina nemmeno per un secondo) con un secondo tempo Lebronesco: 10 punti immacolati, senza mai sbagliare dal campo e ai liberi, 6 rimbalzi, 3 assist, nessuna palla persa, 3 palle rubate, il tutto senza dimenticare il clamoroso, glaciale canestro sul +3 in battendo Vujacic dal palleggio a 19'' dalla fine, che ha letteralmente ucciso la partita.
Insomma, Boston ha giocato semplicemente la partita perfetta, e ci sarebbero da scrivere altre decine di pagine sul decisivo contributo di Posey, sulla freddezza di Rivers che lo ha messo in campo a 6' dalla fine nonostante i 5 falli, sui canestri pesanti di House; oltre alla meritata esaltazione dei vincitori, però, è necessario spendere qualche parola sugli sconfitti, anzi sul grande sconfitto di questa partita e di questa serie, Kobe Bryant.
Questa è la sua squadra, questa doveva essere la sua partita, e quindi è logico e naturale che in questi giorni sia lui ad avere la testa sul ceppo della ghigliottina mediatica di tutti i commentatori d'oltreoceano; però, andando ad analizzare la partita a mente fredda, è difficile trovare in lui il principale responsabile.
Nella prima parte di gara ha coinvolto i compagni, ha aiutato in difesa, ha contribuito con le piccole cose; insomma, ha fatto tutto quello che è sempre stato accusato di non fare, o di fare controvoglia; dopo l'uscita di Rondo ha dovuto dare tutto in difesa (restando sulle piste di Pierce praticamente per tutto il secondo tempo), e nel quarto periodo, quando i compagni (come successo troppe volte in questi playoffs) si sono arresi e gli hanno lasciato la palla in mano, ha comunque messo 10 punti col 50% dal campo, 3 assist, nessuna palla persa: obiettivamente è difficile fare di più in 1 vs 5 praticamente continuato contro una squadra difensivamente perfetta.
I responsabili di questa disfatta, insomma, sono altrove.
Il che ci riporta a quel famoso 68-48 a 20': 20 minuti che sono già entrati nella storia della lega, con un parziale pro-Celtics di 49 a 23, che testimonia la partita perfetta dei Celtics, ma testimonia anche un disastro epocale per i Lakers, in attacco, ma – a parere di chi scrive – ancor più eclatante in difesa; da un lato, infatti, ci potrebbe anche stare di farsi imbrigliare dalla miglior difesa della lega (per di più galvanizzata dalla grandissima rimonta), anche se è inescusabile l'aver completamente rinunciato a qualsiasi ipotesi di gioco ragionato, affidandosi quasi esclusivamente a pick and roll che facevano il gioco degli ospiti.
Molto più impressionante, ed ancor meno giustificabile, è farsi segnare 49 punti in 20', senza mettere alcuna pressione sulla palla contro una squadra senza playmaker (tutte le palle perse di Boston nel secondo tempo sono state falli in attacco), concedendo il già menzionato rating di efficienza offensiva di 137,7; il tutto in una gara decisiva, sul proprio parquet, appena dopo aver giocato il miglior primo tempo difensivo di tutti i loro playoffs.
Si potrebbe discutere, si discute e si discuterà , anche in questa occasione, delle carenze tecniche (Vujacic e Radmanovic) caratteriali (Gasol e Odom) o semplicemente anagrafiche (Fisher) che rendono quasi tutti i gialloviola a rischio di clamorose sbandate difensive; chi però non può evitare di essere messo all'indice, per una volta, è il maestro Zen Phil Jackson: nel primo tempo sembrava aver dato l'ennesimo colpo di coda di una carriera infinita, sembrava in grado di rivoltare la serie come un calzino, di poter rovesciare, per l'ennesima volta nella sua carriera, l'inerzia emotiva di una serie.
Al termine di quegli storici 20 minuti, invece, si è ritrovato letteralmente "overcoached" da Doc Rivers, che ha motivato i suoi facendo in modo che, seppur pesti e bastonati, non si arrendessero mai, e poi ha sfoderato una contromisura che è sembrata funzionare da subito, ma che Jackson ha colpevolmente sottovalutato: la sua filosofia del "non chiamo timeout e non faccio aggiustamenti affrettati se un avversario piazza un parziale" si è rivelata un harakiri di proporzioni epocali.
Col senno di poi, l'intervista a fine terzo quarto, in cui l'intervistatrice gli chiedeva come fosse stato possibile dilapidare un vantaggio di 20 punti in 5 minuti, e lui rispondeva semplicemente che avevano perso il ritmo ma lo avrebbero ritrovato, è sembrata molto la scena dell'orchestra che suona mentre il Titanic affonda, piuttosto che l'ennesima trovata di un grande motivatore.