I Lakers, e Gasol, in Gara 3: sgradevoli, ma tosti.
A seconda che il vostro cuore sanguini biancoverde o gialloviola, Gara 3 può essere vista in due modi: i Celtics avrebbero potuto chiudere la partita (e la serie) "se solo" PP e KG avessero fatto meglio di 8/35 dal campo; i Lakers avrebbero potuto vincere più comodamente, "se solo" i quattro componenti del quintetto senza il #24 sulla maglia avessero fatto meglio di 8/28.
La verità è che è stata una brutta partita per colpa dei titolari di entrambe le squadre, che, con le notevoli eccezioni di Bryant da una parte e Allen dall'altra, hanno reso ben al di sotto delle aspettative e delle potenzialità (su Rondo andrebbe messo un asterisco, considerando l'infortunio, ma in realtà nel primo tempo non aveva affatto incantato come nelle prime due sfide).
Le serate storte, insomma, sono state tali da una parte come dall'altra, e quindi si annullano a vicenda, per definizione: i "se solo" lasciano il tempo che trovano.
La chiave della gara va ricercata altrove, e per farlo bisogna partire dal periodo della gara a cavallo tra la terza e la quarta frazione di gioco: è in quel momento che i Celtics e Rivers hanno lasciato scivolare via una partita che sembravano pronti a chiudere.
Alla fine del terzo quarto, i Lakers sembravano sul punto di gettare la spugna: statici e senza soluzioni in attacco, impotenti e sfiduciati nella propria metà campo, dove Boston stava finalmente mettendo in pratica quello che Rivers ha predicato senza successo per tutti questi playoffs: generare più gioco dal post basso, soprattutto con KG, ma anche con Perkins e Pierce, più pesanti e muscolari delle controparti in gialloviola.
Una soluzione che aveva dato nuova vita all'attacco biancoverde, consentendo un parziale di 15-3 in poco più di 5', grazie ai punti segnati direttamente dal giocatore in post (due volte KG ed una Perkins), o dai canestri sugli scarichi dopo il raddoppio obbligato dei padroni di casa.
I Lakers erano sulle ginocchia e con la guardia abbassata, era il momento del colpo del KO (proprio come in Gara 2, quando a cavallo tra terzo e quarto periodo i Celtics avevano piazzato un parzialone di 27-12): Rivers, al contrario, sceglieva inspiegabilmente di rinunciare ai giocatori che lo avevano portato in vantaggio, affidandosi ad un quintetto (House-Allen-Posey-Powe-Brown) offensivamente imbelle; di conseguenza, il punteggio è rimasto in equilibrio, fornendo ai Lakers un'occasione imperdibile per buttare il cuore oltre l'ostacolo e strappare una boccata d'ossigeno, un'altra possibilità di tenere in vita questa serie.
Ma come si è arrivati a quegli ultimi minuti?
Che partita si è vista, e che indicazioni se ne possono trarre per il futuro?
La scelta più interessante in casa Lakers è stata quella di proporre una marcatura continuativa di Bryant su Rondo, con Fisher su Allen: il Mamba attendeva il fenomenale play di Boston alla linea del tiro libero, e Rajon ha immediatamente perso efficacia nei suoi "drive and kick", la vera linfa vitale dell'attacco bostoniano; contemporaneamente, ad ogni errore degli ospiti, Rondo era obbligato a rimanere su Kobe nella transizione difensiva, un assegnamento a cui non era abituato e che la difesa di Thibodeau, ovviamente, non gradisce, con tutte le conseguenze del caso (17 punti nel primo quarto e mezzo per l' MVP, che tra l'altro, facendo il "portiere" a centro area, si stanca molto meno che non dovendo inseguire Allen dietro ai blocchi).
I Lakers, però, non sono riusciti a sfruttare appieno questa prima fase tatticamente a loro favorevole, commettendo i soliti errori che li hanno costantemente condannati in questa serie: troppo statici i giocatori lontani dalla palla, troppo precipitosi nel tentare tiri rapidi non qualitativi, troppo lenti e disorganizzati nelle rotazioni difensive, disastrosi nelle transizioni difensive.
Contemporaneamente, i Celtics tenevano saldamente il ritmo della partita sotto controllo, grazie ad una imbarazzante supremazia a rimbalzo su entrambi i lati del campo; lasciate perdere le cifre complessive, e date un'occhiata alla percentuale di rimbalzi conquistata dalle due squadre.
In media, nell'NBA, per ogni quattro palloni vaganti dopo un rimbalzo tre vanno alla difesa, ed uno all'attacco; nei primi tre quarti di gioco, i Celtics hanno conquistato il 37% dei rimbalzi a disposizione sotto il tabellone dei padroni di casa, e lasciato agli avversari soltanto un misero 18% di quelli prendibili nel proprio; un dominio impressionante, che gli ospiti non sono riusciti a tradurre in un altrettanto netto vantaggio in termini di punti a causa della scarsissima efficacia delle loro soluzioni offensive: Rondo e Pierce non sono mai riusciti a battere il proprio uomo dal palleggio, KG non ci ha nemmeno provato (accontentandosi di soluzioni dalla lunga distanza), e l'attacco rotondo e solido delle prime due gare è diventato improvvisamente asfittico.
Il che ci porta all'inizio del secondo periodo, ossia il momento in cui i Lakers, per la prima volta in questa serie, hanno messo seriamente in imbarazzo la difesa di Thibodeau per un periodo di tempo prolungato, e lo hanno fatto grazie ad un loro punto d'orgoglio che era clamorosamente venuto a mancare nelle prime due sfide: la panchina.
In Gara 2, dopo un primo tempo sostanzialmente equilibrato, Jackson aveva messo dentro la sua "second unit" in versione integrale, con tutti e cinque i panchinari in campo, sperando di mettere il turbo: si era invece buscato un pesantissimo parziale di 10-0 in 2 soli minuti, che aveva rappresentato l'inizio della fine.
Ieri notte i risultati sono stati radicalmente differenti: con Farmar, Vujacic, Walton e Turiaf, non lasciati alla deriva ma affiancati a Kobe, i Lakers sono volati fino al +11, loro massimo vantaggio nella partita e nell'intera serie; non è assolutamente un caso, e qui è necessario un piccolo inciso.
Perché, in questi playoffs, la panchina gialloviola è sempre stata un fattore?
Non certo per il valore assoluto dei suoi componenti, visto che si tratta di decenti comprimari, ma non certo baciati da un talento abbacinante, sia in generale che in rapporto ad altre formazioni; non sono particolarmente atletici, né potenti, né esperti, né dotati di tecnica sopraffina.
Il loro segreto, però sta nell'esecuzione precisa e disciplinata della triple post offense del guru Tex Winter: i panchinari dei Lakers eseguono il triangolo come è scritto nei libri, tagliano dal lato debole, dopo ogni passaggio non si fermano piantati a terra ma proseguono nel "give and go", fanno girare il pallone ribaltando in modo fulmineo dal lato forte al lato debole e viceversa.
In particolare non c'è paragone tra i movimenti lontani dalla palla di Walton e Farmar e quelli di Radmanovic e Fisher, e la differenza tra le due situazioni fa tutta la differenza del mondo: è quasi indifferente il fatto che i primi sbaglino canestri clamorosi, e quasi imbarazzanti, perché comunque l'attacco che scorre fluido muove la difesa, ne altera la posizione, permettendo più possibilità di seconde chance e meno rimbalzi difensivi "puliti" che gli avversari possano trasformare in facili transizioni.
La pietra filosofale, per i Lakers, sta tutta qui: la muraglia di Thibodeau non può essere abbattuta, però può essere aggirata; per riuscirci, i titolari dei Lakers devono giocare con la grinta e la concentrazione mostrate in Gara 3 dalle riserve; devono giocare come nel quarto periodo, quando improvvisamente Odom e Gasol, assolutamente cancellati dalla difesa ospite per tutta la partita, hanno trovato, per la forza della disperazione, l'energia che è loro mancata in tutta la serie, la grinta per attaccare il canestro senza paura, ovviamente con il pallone in mano, ma ancor più quando si trovano sul lato debole: ricordate quelle percentuali a rimbalzo nei primi tre quarti?
Bene, nell'ultimo periodo i Celtics sono scesi da 37% a 30% in attacco, e nello stesso tempo i Lakers si sono aggiudicati un clamoroso 50% dei rimbalzi a disposizione sotto il tabellone biancoverde.
E' in quel settore che i Celtics, dopo aver tenuto saldamente le redini per tutta la gara, ne hanno improvvisamente perso il controllo; da più parti sono fioccate le critiche al coaching staff biancoverde, per le tre scelte differenti operate nei tre possessi decisivi dei Lakers: raddoppio anticipato per togliere la palla dalle mani del #24, marcatura faccia a faccia, a piedi paralleli di Allen per negargli il canestro, marcatura "schermistica" per portarlo su un aiuto.
Non ha funzionato, ma era una strategia validissima: non dare punti di riferimento a Kobe, sfidarlo a fare una cosa differente in ciascuno dei possessi chiave; bravo lui perché c'è riuscito, ma era difficile fare di meglio per la difesa in quella situazione.
La partita, come detto, a quel punto era già scivolata via, perché nel quarto periodo sono stati i Lakers a dominare i tabelloni, negando seconde chance agli ospiti e sfruttando le proprie.
Non c'è da dubitare sul fatto che Thibodeau e Rivers sbatteranno questi numeri sulla faccia dei loro negli allenamenti pre-Gara4: non bisogna dimenticare, in ogni caso, che i Celtics hanno ancora il coltello dalla parte del manico, non solo e non tanto per vantaggio di 2-1, ma soprattutto perché, sui 12 periodi di gioco visti finora, hanno tenuto il pallino del gioco per almeno nove di essi (facciamo anche dieci, se consideriamo una aberrazione gli ultimissimi minuti di Gara 2).
L'organizzazione difensiva dei biancoverdi garantisce loro una continuità di rendimento sconosciuta ai Lakers, che possono mettere una valanga di punti sul tabellone quando giocano con la giusta aggressività , ma hanno troppi giocatori che, Manzonianamente, "il coraggio non se lo possono dare", e semplicemente non sono in grado di giocare con quella aggressività per una partita intera.
I Lakers sono Pantani, i Celtics Indurain: i primi hanno un potenziale ineguagliato, e su tratti brevi, nei momenti più impegnativi, possono dare degli strattoni improvvisi a cui nessuno può resistere; i secondi, in compenso, hanno dalla loro la solidità , la potenza, la capacità di imporre il proprio passo, di sfiancare l'avversario con una azione magari non esplosiva ma inesorabile, tale da scoraggiarne la rimonta anche nel momento più favorevole.
Il segreto del successo di Boston è quello di riuscire a capitalizzare su questa continuità e questa solidità , piazzando i parziali che gli garantiscano un solido "cuscinetto" contro l'esplosione dei Lakers, che prima o poi, inevitabilmente, arriva: parziali che sono arrivati in Gara 2 e Gara 1, e che invece sono venuti a mancare in Gara 3.