Garnett insieme a Leon Powe, la sorpresa di gara 2
I Celtics hanno vinto anche gara 2, fatto il loro dovere, e messo, in questo modo, anche una seria ipoteca sulla vittoria finale, almeno se andiamo a guardare le cifre le cifre: nella storia delle Finals, infatti, delle trenta squadre che sono andate avanti 2-0 in una serie di finale, ventisette hanno poi vinto il titolo ( con le uniche eccezioni rappresentate dai Lakers del 1969, i 76ers del 1977 e i Mavericks del 2006).
La vittoria di Boston è stata molto più netta di quanto lasci intendere il punteggio finale e, di sicuro, nell'ambiente dei Celtics non possono essere soddisfatti della gestione degli ultimi sette minuti e cinquantacinque secondi di partita: in questo periodo di tempo, infatti, sono quasi riusciti a sprecare un vantaggio di ventiquattro lunghezze, concedendo ben quarantuno punti nel solo ultimo quarto si Lakers. Coach Rivers sintetizza così l'umore nel dopo gara: "L'ho detto ai ragazzi, siamo avanti 2-0 e sono felice della vittoria, ma non sono soddisfatto del modo in cui abbiamo giocato".
La serie si sposta ora in California per almeno due partite, seguendo il contestato formato (2-3-2) che, secondo quanto dichiarato da Stern dopo gara 2, era stato proposto proprio da Red Auerbach: "Anche se non è qui per poterlo negare, Red, nel 1984, mi aveva detto che era troppo complicato giocare, viaggiare, giocare, viaggiare. Poi, negli anni successivi, mi diceva che il formato 2-3-2, che avevamo scelto, era terribile". La formula non sembra piacere all'attuale coach dei Celtics: "Non mi è mai piaciuto perché lotti per tutto l'anno per avere la quinta e la settima partita in casa, e in questo modo gara 5 ti viene tolta. E noi, nei tre round precedenti, abbiamo giocato delle grandi gara 5, ma tutte in casa".
Ed è emblematico che il fattore decisivo, per vincere le prime due partite, sia stata proprio la tanto bistrattata (nelle analisi prima della serie) panchina dei Celtics, considerata quasi unanimemente inferiore rispetto quella dei loro avversari. Powe, PJ Brown, Posey, Cassel e House si prendono anche, tragli altri, i complimenti di Garnett: "Non credo che i ragazzi vogliano un merito particolare. Ovviamente fa piacere, ma alla nostra squadra interessa principalmente scendere in campo e fare quello di cui abbiamo parlato, ogni sera. La nostra panchina, poi , è molto lunga e ricca di esperienza".
La storia della partita è evidentemente quella di Leon Powe, che ha veramente tirato fuori dal cilindro una gara che ricorderà per tutta la vita, lui che di sicuro non era atteso e, probabilmente, non si attendeva, di potere essere così importante in una partita della finale NBA, risultando molto importante proprio per quello che lo stesso Bryant ha definito come fattore sorpresa. I Lakers non si attendevano questo Powe, e lui a fine gara fa il modesto: "Coach Rivers mi ha chiamato in causa, ed io sapevo di dover rispondere, stavo solo cercando di aiutare la mia squadra. I miei compagni, poi, sono stati bravi a trovarmi nelle giusta posizione, rendendomi facili le conclusioni".
Dopo una vita a dir poco complicata, con due genitori assenti (il padre è scappato, la madre è morta a quarant'anni dopo anni in cui è entrata ed uscita dal carcere), una famiglia troppo numerosa ed essendo cresciuto sotto il controllo dei sistemi sociali della California sta avendo il suo riscatto. Ora, dopo aver lottato tutta la vita e non essendo esattamente baciato dal talento di Kobe Bryant, è riuscito comunque ad entrare nella storia di queste finali, nonostante le polemiche di Jackson: "E' una follia che Powe abbia da solo ottenuto più liberi che tutti i Lakers messi insieme"
Paul Pierce, al centro di molti discorsi pre gara per la presunta simulazione sulla gravità dell'infortunio subito, ha giocato molto bene, lui che in questi playoffs sta probabilmente facendo il salto decisivo come giocatore. Il suo ginocchio, infortunatosi in gara 1, era stato protetto con una fasciatura che ha fatto il suo dovere: "Mi sentivo abbastanza bene, non ho mai veramente pensato all'infortunio, quando scendi in campo di passa di mente, perché senti la folla e l'adrenalina inizia a scorrere".
Pierce, tra l'altro, come ormai tutti sanno, è un losangeleno doc, cresciuto idolatrando i Lakers di Magic; per lui, questa, è la miglior finale possibile: "Non potrei immaginare nulla di meglio di giocare la finale contro i Lakers, almeno non per me. E' casa mia, questo per me è il massimo, una favola". Ora torna a casa, dove di solito alza il suo livello di gioco: "Devo farlo, c'è tutta la mia famiglia, gli amici, non posso deluderli. Possono vedermi solo due volte all'anno, quando vengo ad LA, e questo aggiunge un po'di pressione, ancora di più ora che siamo in finale.". Il suo sogno, quello che lui non dice ma che i giornalisti di Boston scrivono, è proprio quello di poter festeggiare il titolo allo Staples Center, a casa sua.
Ora ci trasferiamo (sfortunatamente noi, qui in Italia, solo virtualmente) a Los Angeles, dove i Celtics (non perfetti in trasferta in questi playoffs, il record è 2-7) di sicuro dovranno attendersi una reazione d'orgoglio dei loro avversari, in un ambiente completamente diverso rispetto a quello che si respira a Boston e, probabilmente, potendo contare su fischi diversi. Stanotte vedremo come andrà a finire.