L'intensità di KG, che in gara1 ha guardato i Lakers dall'alto.
Nell'articolo di presentazione tattica della partita avevamo proposto un parallelismo tra Thibodeau e Hannibal Smith dell'A-Team, e dopo gara uno non c'è che dire: il piano è ben riuscito, gli è riuscito benissimo: i Celtics hanno fatto esattamente quello che si erano proposti di fare, costringendo i Lakers ad adattarsi alle loro situazioni tattiche predilette, e non viceversa, e sostanzialmente eseguendo in modo impeccabile su due lati del campo.
Iniziamo l'analisi dalla difesa, com'è ovvio, visto che le fortune di Boston nascono da quello che succede nella propria metà campo.
Nella prima metà di gara sono stati gli ospiti a fare la partita, senza che la difesa dei padroni di casa sembrasse in grado di metter loro la museruola, come successo quasi sempre su questo campo; il motivo?
Quella che gli americani chiamano “overreaction”, un eccesso di adrenalina nei muscoli e di voglia di spaccare il mondo nella mente, una ricerca eccessiva, spasmodica, troppo energica della giocata difensiva che costringa l'attacco all'errore: i Lakers sono abilissimi nello sfruttare questo tipo di situazione tattica, le difese "troppo attive" (vedi Jazz), con rapidi passaggi di tocco, portando poco il pallone e sfruttando tagli incisivi dal lato debole.
Il risultato? 48% dal campo e 14 canestri assistiti su 17 per i gialloviola nelle prime due frazioni.
Nel secondo tempo, però, la situazione è cambiata: i Celtics hanno eseguito con più calma la "packline defense" attesa alla vigilia, adottandone una versione più controllata e "passiva", puntando a mettere gli avversari in situazioni tattiche che non gradiscono, volta ad aspettare l'errore dell'avversario piuttosto che provocarlo.
I Lakers, a fronte di questa strategia difensiva (eseguita, peraltro, in modo assolutamente perfetto quanto a tempi tecnici, specie da quando è entrato PJ Brown) hanno adottato l'approccio peggiore possibile: Kobe, Odom e Gasol si sono accontentati dei tiri in sospensione dalla media o lunga distanza, in cui non sono particolarmente efficaci, e che i Celtics sono ben disposti a concedere a questo attacco; 9/26 alla fine per il Mamba, ma solo tre conclusioni nel pitturato e ben 23 dai quattro metri in su, mentre il catalano ed il figlio del Queens, che non sono a loro agio in situazioni di piazzato piedi per terra, non sono riusciti a trovare ritmo offensivo, uscendo ben presto dalla partita.
La fluidità offensiva dei Lakers nel primo tempo è andata scomparendo alla distanza: nella seconda metà di gara si sono ridotti a tentare pick and roll insistiti, finendo tra le fauci della difesa dei padroni di casa, che è in assoluto la migliore della lega nel difendere i giochi a due; contemporaneamente, l'approcio "timido" al secondo tempo di Gasol e Odom ha permesso dei lussi tattici inattesi: il marcatore di Odom ha passato praticamente tutto il secondo tempo ad aiutare in modo sistematico, al punto che Phil Jackson, preso dalla disperazione, si è visto costretto a dare (troppi) minuti a Radmanovic e Walton nel quarto periodo, per impedire che la propria ala forte venisse sistematicamente "battezzata" in questo modo, e finendo per pagare un pegno salatissimo sotto il proprio tabellone, in difesa e a rimbalzo.
Boston, però, non si è accontentata di riuscire a mettere in pratica alla grande il gameplan studiato a tavolino nella propria metà campo; anche in attacco sono riusciti a fare quello che amano fare: tiri rapidi in transizione (le due triple di Pierce in un minuto hanno letteralmente spezzato in due la partita, non solo emotivamente ma anche tatticamente), palla a KG nelle sue mattonelle, "drive and kick" dopo aver attirato le attenzioni della difesa.
Uno degli elementi cruciali, però, è stata la supremazia a rimbalzo offensivo: coach Riley ama ripetere "no rebounds, no rings", ed effettivamente, dopo le finali dell'Ovest, i Celtics temevano l'impatto a rimbalzo offensivo dei Lakers; la realtà è stata diametralmente opposta, visto che Boston ha difeso in modo eccellente i propri tabelloni, andando poi a banchettare letteralmente sotto quello dei californiani, gravemente deficitari nel tagliafuori.
I Celtics, in questi playoffs, hanno sempre visto calare in modo drastico la propria efficacia nel quarto periodo; gara 1, in realtà , non ha fatto eccezione, visto che hanno tirato con un misero 31% dal campo (1/6 per Garnett): quello che gli ha permesso di chiudere la partita, oltre ovviamente alla grande difesa, è stata l'efficacia a rimbalzo offensivo, le seconde chance, trasformate direttamente o a mezzo dei liberi, che hanno letteralmente tarpato le ali agli ospiti.
Non va dimenticato, infine, l'apporto delle rispettive panchine: ci si attendeva che le "seconde unità " potessero dare un significativo vantaggio ai Lakers, ma le prestazioni monumentali di PJ e Posey, e l'apporto solidissimo dell'idolo del Garden Powe, unitamente alla serata infelice al tiro di Vujacic, Turiaf e Walton (4/14 complessivo, 1/7 nel quarto periodo), hanno invece trasformato un ipotetico punto di forza degli ospiti in un ulteriore elemento che ha distanziato le due formazioni.
Gara 1, come abbiamo visto, ha fornito delle indicazioni piuttosto nette, e tutte a favore dei padroni di casa: quali aggiustamenti, quali variazioni sul tema dobbiamo aspettarci da gara 2?
Per quanto riguarda i Celtics, c'è solo da continuare sulla falsariga del secondo tempo, visto che è veramente difficile fare meglio di così: Thibodeau e Rivers hanno fatto la loro apertura, che si è rivelata efficacissima, ora spetta a Jackson e Winter mettere sulla scacchiera le adeguate contromosse; volendo essere pignoli, si potrebbe chiedere più gioco in post e meno tiri in sospensione da KG (ma, come saprete benissimo, questo è un problema annoso), e magari vedere più House e meno Cassell in campo, visto che quello che Sam I Am ha tolto (in termini di scelte sbagliate e tiri non andati a bersaglio) è stato più di quello che ha dato.
In casa Lakers, ovviamente, c'è da rimboccarsi le maniche: nella propria metà campo, l'imperativo categorico ed imprescindibile è proteggere il tabellone; fatto questo, i gialloviola dovranno imparare a non farsi attirare nella trappola del "penetra e scarica" bostoniano, centellinando gli aiuti e i raddoppi, e sfidando qualsiasi Celtic che non sia Paul Pierce a batterli nell' 1vs1, obbligando in particolare Allen e KG a mettere palla per terra.
Il lavoro più gravoso, però, li attende in attacco: i Lakers non possono permettersi di lasciarsi costringere a fare quello che la difesa vuole vedergli fare, devono prendere l'iniziativa e tentare di far saltare il piano difensivo di Thibodeau.
Per farlo, dovranno ritrovare i movimenti senza palla e la selezione di tiro che li ha caratterizzati per tutto l'anno, e soprattutto trovare, nella rosa sconfinata di alternative che la corretta esecuzione del triangolo consente, soluzioni per "bucare" il fortino che Garnett e i suoi hanno eretto attorno al pitturato: si dice che PJax durante gli allenamenti abbia proposto ripetizioni ossessive di ricezioni di Kobe in post medio spalle a canestro.
Una reminescenza dei giorni dei Bulls, quando la palla in post a MJ era un toccasana per i momenti in cui l'attacco rossonero faticava, una contromossa potenzialmente molto intrigante per disinnescare la packline defense.