Focus: Robert Horry

Il tiro da tre, marchio di fabbrica di Robert Horry

Chi è il giocatore in attività  con più anelli al dito? Shaquille O'Neal? Tim Duncan?
No: è Robert Horry, che di titoli ne ha vinti ben 7 (!!!), ovvero più di Michael Jordan, di Magic Johnson e di Larry Bird.

Solo fortuna? Non del tutto, se si guarda al contributo che questo giocatore ha saputo dare a ben 3 dinastie di squadre da titolo: i Rockets di Hakeem the Dream, i Lakers del combo, gli Spurs di Timmy Duncan e Popovich.

Vediamo di ricostruire come.
Keith Robert Horry nasce un martedi di agosto del 1970 (il 25) ad Hartford, Maryland, ma la città  in cui è cresciuto è Andalusia, in Alabama, dove sua madre Lelia faceva l'insegnante e suo padre Robert Sr. era sergente dell'Esercito.

Robert ha sempre riconosciuto nei propri genitori le figure di riferimento e ha anche un fratello più grande di 4 anni, Kenneth. Frequenta il Liceo della sua città  di Andalusia, in cui si segnala per le sue qualità  come cestitsta, che gli aprono le porte dell'Università  dell'Alabama.
Qui, giocando da power forward, inizierà  a conquistarsi i primi premi che lo renderanno noto agli osservatori di tutto il paese, come il premio Naismith di giocatore senior dell'anno.

Completa gli studi e, nel 1992, viene scelto all'11° posto assoluto dai Rockets di Hakeem Olajuwon in quello che ricorderà  come il giorno più bello della sua carriera cestistica, che certo non è stata priva di momenti esaltanti.

E' alto 2,06 e pesa 238 libbre e viene subito impostato nel suo ruolo naturale, che è ala grande, ma si dimostra da subito non privo di qualità  da giocatore perimetrale, in particolare di tiratore dall'arco dei 3 punti. Entra quasi subito in quintetto base con la maglia n. 25 e vince subito 2 titoli in 4 anni.

E' merito suo? Anche. Sicuramente.
Nel primo anno si piazza nel secondo quintetto dei Rookie e si segnalerà  da subito anche come efficace difensore, piazzandosi 6° di tutti i tempi nei Rockets per stoppate, con 343 in 295 gare, ma anche come mortifero tiratore dall'arco, 10° assoluto della squadra con 274 centri su 751 tentativi (con il 36,5%). Sembra bassa come percentuale, ma il fatto è che, da subito, Robert dimostra di avere il vizietto di metterla proprio nei momenti decisivi delle gare di playoff (cioè: quando conta davvero).

Il 22 maggio 2005, alle finali della Western Conference contro gli Spurs, in Gara 1 spara a 6.5 secondi dalla fine della partita il tiro (da 2), che farà  vincere ai suoi la gara per 94 a 93.
Ma è un crescendo: alle finali NBA, nella decisiva Gara 3 della serie (l'11 giugno del 1995), Robert decide l'incontro con una tripla a 14 secondi dalla sirena, che ferma il risultato di 106 a 103 in favore di Houston, che vincerà  poi il titolo.

E' ormai nata una leggenda, un clutch shooter, ed il suo nome sarà  “Big Shot Rob”.
Questo suo primato si consoliderà  anche dal punto di vista statistico, confermando che non si tratta di circostanze solo fortunate, ma di una vera e propria “esclusiva” detenuta dal giocatore.

Suo è infatti il 3° posto assoluto nella storia dell'NBA per tentativi (545) e centri (191) da 3 punti durante i playoff, dietro soltanto a Reggie Miller e Scottie Pippen (!!!). Questo record lo piazza sul podio degli specialisti in questo gesto tecnico ad alto rischio, ma ad altrettanto alto tasso di spettacolarità , che va però letto anche alla luce dei risultati conseguiti, se si pensa che killer – Miller non ha mai vinto un titolo e Pippen aveva come compagno di squadra un certo Miachael Jordan, che di titoli ne ha vinti 6.

Nel 1996 Robert conclude la sua avventura in Texas e passa in Arizona, ai Suns, come prezioso gioiello da sacrificare per ottenere in cambio Sir Charles Barkley, nel tentativo, accanto a Pippen e al solito Olajuwon, di far ripartire la dinastia (operazione che non riuscirà  più senza di lui…).

Robert, in verità , è un ragazzo tendenzialmente pigro, soprattutto al livello psicologico, dato che sono solo le gare importanti a fargli tirare fuori il meglio come giocatore.
Il suo motto tipico è sempre stato: “Non si deve sudare per le piccole cose”, emblematico del suo pensiero.

Ama molto i pomeriggi passati sul divano a gustarsi il suo show preferito, il David Letterman (al quale ha partecipato con entusiasmo varie volte come ospite), o le serie TV predilette (ultimamente: CSI), o a giocare con i videogames.

La sua vancanza ideale è poi la più classica dell'americano pigro, sdraiato al sole di Daytona Beach, in Florida, dove torna ogni anno per le vacanze.
Il suo sogno preferito sulla sua vita dopo la carriera cestistica è un placido lago di montagna in cui pescare, comodamente seduto…

Tuttavia, il nuovo contratto con i Phoenix Suns, quasi 2 milioni a stagione, gli consente di mettere su famiglia e il 5 luglio 1997, nella Harris County del Texas, sposa Kewa Develle di Tuscaloosa (nell'amata Alabama), hanno 26 anni entrambi, che gli regalerà  due figli, Robert Cameron e Ashlyn.

La stagione 96-97 non è un granchè dal punto di vista cestistico, perchè, già  a metà  anno, Robert deve traslocare a Los Angeles, ai Lakers, passando a diventare da starter a sesto uomo e cambiando il numero di maglia (5).

Con i Lakers, però, Robert ritrova entusiasmo e passioni, aiutando Kobe e Shaq a raggiungere quei tre titoli consecutivi che da soli (guarda il caso…) non erano riusciti sino a quel momento a raggiungere. Già  il 6 maggio 1997, nel suo primo anno ai Lakers, nelle semifianli della Western Conference, Robert stabilisce in Gara 2 il record assoluto nella lega per il maggior numero di triple segnate senza errori (7 su 7!!!) in una partita di playoff.

Un tale record non può essere un caso: è la sua personalità  da gatto, placido e pigro durante il giorno, lucido e sveglio nei momenti di caccia, che si risvegliano e lo portano a questi exploit. I Lakers ringraziano e nella stagione 2001-2002 gli alzano lo stipendio a più di 5 miliopni di dollari: non si butta via uno così.
Horry, dal canto suo, fa il resto.

Nelle finali 2001 contro i Sixers di Iverson e Brown, i Lakers, scioccati dalla prima sconfitta casalinga, si trovano in gara 3 (sull'1 a 1) con O'Neal in panchina per falli e meno di un minuto alla fine (10 giugno 2001): la gara è in equilibrio ed è evidentemente decisiva per l'andamento della serie. A pochi secondi dalla fine, Big Shot Rob piazza una tripla dall'angolo e porta la gara in vantaggio per i suoi, che la vinceranno grazie a questa zampata letale.

Che dire? E' solo fortuna?
Potremmo rispondere come lui ha risposto ai giornalisti, quando, in conferenza stampa, gli riportarono le parole di Divac, che diceva che la sua era solo fortuna: “Ho sempre fatto queste cose… non li legge i giornali?”.

L'anno dopo, il 28 aprile, al primo turno dei playoff in Gara 3, con i Lakers sotto e soli 10 secondi di gioco, Kobe penetra e scarica su Horry, che da oltre l'arco, con 2 soli secondi rimasti, infila la tripla del vantaggio e della vittoria per i gialloviola.

Poi arriva lo straordinario episodio dei Sacramento Kings, il 26 maggio 2002: alle finali di Conference con i Kings fortissimi di Webber Stojakovic, Bibby, Christie, Divac, Turkoglu, Bobby Jackson, Gerald Wallace, che guidano la serie 2 a 1, in gara 4 allo Staples Center, dopo una partita al comando sul punteggio, il tabellone segna 99 a 97 in favore di Sacramento con 2 secondi alla sirena.

Divac spazza via la palla dopo un layup sbagliato da Shaquille O'Neal, ma il pallone finisce nelle mani di Big Shot Rob: tripla alla sirena e vittoria dei Lakers, che ribalteranno la serie dopo aver rischiato un irrecuperabile 3 a 1: un capolavoro che ha alimentato come nessun altro la fama di clutch shooter di Horry, e che ha determinato il malaccorto commento di Vlade Divac.

Nel 2003, alla fine del Three-peat, Horry viene scambiato agli Spurs, il cui staff tecnico si dimostra ancora una volta estremamente avveduto nelle scelte di mercato.
In Texas, Horry gioca come cambio di Duncan, ma Popovich molto spesso glielo affianca nei finali di partita che contano, oppure come valido appoggio difensivo su lunghi che attirano i falli avversari. Ma Robert è anche un ottimo passatore e gli Spurs alternano al solito pick and roll ottimi giochi di scambi alto – basso tra i due lunghi.

Poi ci sono i playoff del 2005 e, giunti in in finale con i Pistons, Big shot Rob scrive un'altra pagina leggendaria nella storia delle finals. La scena, filmatissima, pare confezionata per un copione da thriller: in gara 5 delle finali NBA (il 19 giugno), su assist di Manu Ginobili (altro clutch shooter non da poco…), chiuso da un raddoppio difensivo, a 5.9 secondi dalla sirena, Horry scarica la tripla del decisivo 96 a 95.

Psicologicamente, è game, set and match: i Pistons non si riprenderanno più dopo quel finale di gara 5 e gli Spurs si aggiudicheranno il Titolo, il sesto nella carriera di Horry.

Ma non è ancora finita.
Nel 2007, dopo una stagione i cui numeri non sono di certo esaltanti, ancora una volta Horry si risveglia dal torpore nelle finali. Il 30 aprile, in gara 4 del primo turno contro Denver, con il vantaggio di un solo punto sui Nuggets, Horry spara la sua tripla dall'angolo che regala il decisivo 3 a 1 ai suoi.

Gli Spurs vinceranno quel titolo anche grazie alla sua arcigna, ma diabolica difesa sui lunghi avversari, con il suo solito contributo nei minuti finali ai danni di Elson e Oberto, che nei playoff debbono fare un passo indietro dal quintetto per cedergli il posto accanto a Duncan. Horry ha raccontato che conserva quei 7 anelli nel suo bagno di casa…

Tim Duncan l'ha ribattezzato Big Shot Bobby, ma cambia poco.
Le sue passioni nella beneficenza sono per i senzatetto e per gli istituti di educazione infantile dei poveri dell'Alabama e al suo paese gli hanno dedicato una strada con il suo nome.
Ha una collezzione di cappelli e il suo cibo preferito sono i gamberetti, mentre ama molto vestire colore blu notte.

Nel 2008, con il numero di maglia primitivo, il 25, la stanchezza di Horrry per questo gioco si è tradotta in infortuni, panchina e lista degli indisponibili per tutto l'anno, finchè, a sorpresa, non è riuscito a limitare (non sempre correttamente) l'arma principale dell'attacco degli Hornets, David West, con prestazioni difensive maiuscole, e a ricacciare indietro, con l'ennesima tripla, le ultime speranze in gara 7 dei più seri contenders alle finali di Conference, gli Hornets di Chris Paul e coach Scott.

Forse l'allenatore di New Orleans aveva previsto come marcare Duncan, ma non si aspettava più di tanto da un giocatore 38enne e dato per finito, oltre che appagato da ben 7 anelli, come Big Shot Rob….

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