La grinta di Manu Ginobili, una delle sue principali qualità , ma non l'unica…
Proviamo un attimo ad esaminare cosa fa di Manu Ginobili uno dei giocatori con il più alto fattore plus minus dell'nba e quale sia stata la sua evoluzione.
Al suo arrivo nella lega dei professionisti, malgrado avesse vinto già tantissimo in Europa e fosse stato scelto da uno staff notoriamente molto oculato, nessuno pensava che l'argentino avrebbe compiuto la fulminante carriera che tutti conosciamo.
Per quanto mi riguarda, lo ritengo l'MVP degli ultimi due titoli degli Spurs, anche a costo di scatenare qualche polemica su questo punto.
Ai suoi inizi, il giocatore si presentava atletico, ma decisamente leggerino per gli standard professionistici americani, con un tiro da fuori non del tutto affidabile e soprattutto non “tarato” sulla distanza dell'arco dei 3 punti nba, con una “pericolosa” tendenza a costruire il gioco offensivo da solo e al di là del complesso book tecnico del suo coach, fosse anche solo per passare la palla, o, al contrario, con una certa voglia di strafare in penetrazione con iniziative che parevano addirittura impossibili da portare a termine.
La conseguenza, come per molti team professionisti, era che il suo apporto veniva centellinato nel minutaggio e ridotto notevolmente nelle fasi “calde” del gioco. A questo si aggiungeva il non facile ambientamento del ragazzo, piuttosto maltrattato dagli avversari afroamericani, e, in una prima fase, anche troppo lontano dai suoi affetti più cari (l'eterna fidanzata in primis).
Infine, la difesa del giocatore, specialmente se paragonata a quella di “mostri sacri” come Bowen e Duncan, non poteva dirsi di certo altrettanto efficace. Per un coach come Popovich, questo fattore è addirittura determinante per mettere in campo un suo giocatore: basti pensare al fatto che spesso ha tenuto in campo contemporaneamente giocatori come Horry e Bowen, non particolarmente prolifici di punti, pur di costruire una barriera impenetrabile a difesa del proprio canestro, facendo di Duncan quasi l'unica opzione di attacco.
Partendo da queste premesse, con la volontà che lo contraddistingue, l'argentino ha iniziato a migliorare il suo gioco difensivo, in un primo tempo puntando sulla propria nevrile reattività , divenendo uno dei primi della squadra alla voce “palle recuperate”, e in seguito migliorando il lavoro di piedi ed il senso della posizione, con un enorme aumento degli sfondamenti subiti.
Si dice di lui che esageri quando subisce uno sfondamento, per convincere gli arbitri a fischiare a suo favore: se è vero, lo sa fare molto bene.
In attacco, la sua evoluzione è stata più lenta. Il giocatore risentiva di una impostazione di tipo “latino” decisamente difficile da imbrigliare nei complessi meccanismi offensivi, peraltro molto “europei”, di coach Popovich.
Questa evoluzione è passata attraverso varie fasi. Per prima cosa il ragazzo ha dovuto imparare a contenere la sua esuberanza atletica e le sue iniziative individuali, che in passato gli procuravano molti TO quando non andavano a buon fine.
Quanto al tiro, la sua crescita è stata graduale, ma costante. Avendo un range di affidabilità entro i 3 – 4 metri e una straordinaria capacità di spostarsi in aria mentre tira, il giocatore ha iniziato a lavorare su questi fondamentali e sulla alternanza tra tiro e penetrazione, costruendo il suo bagaglio offensivo migliore.
Quanto ai passaggi, certe sue “idee”, come saltare un passaggio per spiazzare gli avversari, sono state faticosamente limate costringendolo a riflettere di più. Ci sono stati anche periodi passati in cui Popovich lo ha schierato da secondo play, responsabilizzandolo sulla costruzione del gioco e letteralmente “obbligandolo” a riflettere di più. Contemporaneamente, numerose rimesse sono state costruite con lui come smistatore del pallone decisivo.
Col tempo, però, accanto a questo modellamento del giocatore sugli standard di gioco dei texani, si è verificato anche un adattamento della squadra al gioco di Manu e anche a quello del suo compagno Parker.
Nel passato, infatti, la squadra soffriva spesso di un gioco offensivo asfittico ed improduttivo, basato quasi esclusivamente su Duncan e su una circolazione di palla molto perimetrale, con poco uso anche del pick and roll.
Due “incursori” nelle aree offensive come Parker e Ginobili sono stati un toccasana, così come lo è stata la “follia” (l'imprevedibilità ) dell'argentino nelle sue scelte offensive. Quando il pivot era troppo marcato o fuori fuoco, solo i due piccoli sono riusciti in molti casi a tirare avanti la baracca, facilitando il loro uomo di punta e finalizzatore, Duncan appunto, che resta l'uomo franchigia.
Ma c'è di più. La capacità di scaricare la palla dell'argentino ha spesso sopperito alle carenze di costruzione di opportunità offensive per il lungo degli spurs. In questo costrutto si è poi inserito Finley, al quale lo staff tecnico ha subito chiesto di rispolverare le sue capacità di tiratore perimetrale, specialmente nei momenti in cui Bowen non riusciva a dare il suo consueto apporto dagli angoli, cosa che l'ex Maverick ha fatto nel migliore dei modi lo scorso anno, contribuendo non poco alla concquista del titolo.
Nella stagione in corso, poi, Manu ci ha regalato un altro decisivo miglioramento, divenendo un tiratore affidabile e preciso dall'arco dei 3 punti (immagino con chissà quanto lavoro extra…), ma soprattutto più convinto di poter contare anche su questo fondamentale di gioco, al punto che il suo coach lo ha premiato con un posto stabile in quintetto a spese proprio di Finley.
C'è poi la questione plus minus…Ciò che una volta si chiamavano “attibuti”, “grinta”, “aggressività “, “decisività “. Nelle fasi più calde del gioco, Manu è sempre stato coinvolto in azioni vincenti, ma, è importante sottolinearlo, non sempre e soltanto come finalizzatore: può essere la palla rubata, l'assist decisivo, lo sfondamento subito in contropiede o persino il rimbalzo catturato fuori dal proprio “cilindro” di salto.
In tutte queste cose Manu è davvero insuperabile. Non è un leader in assoluto, ma sa prendersi la squadra in mano, come quando, da sesto uomo, giocava come unica soluzione di attacco mentre il quintetto base riposava qualche minuto in panchina. Nondimeno, sa anche “sparire” dall'attacco e “servire” i compagni più caldi, Duncan o il tiratore perimetrale del momento, senza risentirne nel suo ego.
Quanto alla nazionale argentina, è doveroso sottolineare come Manu non si sottragga al suo compito di leader offensivo (e spesso anche difensivo…) fino a regalare alla sua Argentina l'oro olimpico.
Insomma, Ginobili è un uomo squadra come pochi e in questa sua caratteristica ricorda la definizione che Pat Riley diede di Magic Johnson: “Può fare sempre 30 punti, ma lui preferisce far vincere la sua squadra, segnando solo quando serve…”.
Ecco perchè, con Manu in campo, San Antonio ha molte più probabilità di vincere che senza.
Nella vita, poi, il ragazzo è un anti divo per eccellenza, sebbene in Argentina sia letteralmente idolatrato, tanto che molti lo hanno paragonato a Maradona (tutt'altro personaggio…!) quanto a popolarità , e molto impegnato in progetti di beneficenza a favore dei bambini poveri del suo paese (e ce ne sono davvero tanti in Argentina).
Infine, lasciatemi un po' di orgoglio nazionale nel ricordare che il ragazzo ha sempre tributato al coach Ettore Messina grandissimi meriti nell'avergli insegnato la “dimensione totale” del gioco del basket: c'è anche un po' di Italia nel plus minus di Manu Ginobili….