E' da giocatori come Terry che ora ci si aspetta una reazione di carattere…
Tutto è cominciato quel fatidico 13 giugno 2006: mancavano poco meno di 7 minuti alla conclusione di gara -3 delle Finals NBA, Terry portava a +13 la squadra ospite, i suoi Dallas Mavericks ed oramai tutti quanti i telecronisti cominciavano ad organizzare mentalmente il loro ritorno in patria anticipato, mentre i detrattori degli Heat preparavano lunghi discorsi per spiegare al mondo intero come avevano intuito che i biancorossi non sarebbero riusciti ad arrivare in fondo.
Nella mente di Shaq trovava un pertugio il pensiero di ritirarsi e godersi finalmente tutti i milioni di dollari guadagnati fino a quella stagione e Wade sarebbe rimasto un ottimo giocatore in una compagine da ricostruire.
Pat Riley chiamava time-out, più per disperazione che reale convinzione di cambiare lo scontato esito della gara. Al ritorno in campo, i Mavs sembravano quei guerrieri che dopo lunghe ed intensissime battaglie, intravedono la fine della guerra, Miami invece un piccolo gruppo di formiche che sta per essere schiacciato da enormi elefanti.
Ma, si sa, le formiche non sperperano mai le loro forze inutilmente e così, grazie alle poche energie residue rimaste, avvenne il miracolo: Wade, preso da ispirazione divina, segna 5 punti consecutivi, poi tocca a Posey, Haslem, Shaq (2/2 ai liberi, e poi non si deve parlare di intrusione celeste") e ancora una volta Wade che conclude un parziale di 17-5 e distrugge i vani sogni di gloria del biondo tedesco e dei suoi compagni.
Proprio in quella partita è cominciata la "maledizione" di Dallas, squadra dal grandissimo potenziale, fornita di ottimi giocatori in tutti i reparti, ma completamente incapace di mettere a segno le giocate decisive e quindi, in buona sostanza, di vincere.
La scorsa stagione ricordiamo tutti cosa sia successo, un team praticamente imbattibile in regular season che schiera in campo l'MVP stagionale, in grado di collezionare un record di 67 W e 15 L, spazzato via da un ex allenatore con il dente avvelenato ed una squadra di nani da giardino, che aveva raggiunto i play off solo nel finale di stagione, ma capace di correre in campo aperto come un giaguaro nella savana e di mandare completamente in tilt il sistema di gioco e celebrale dei texani.
Così in vista di questa stagione si è cercato di cambiare registro, di trasformare il proprio leader nel giocatore che non è e snaturare parecchio una chimica di gioco ben rodata: l'idea ad inizio anno era di rendere Nowitzki una strong forward di post basso, capace di attirare su di sé i raddoppi avversari, in modo da allargare il campo e colpire con i vari tiratori posti sul perimetro.
I risultati a cui ha condotto questa nuova strutturazione sono stati piuttosto alterni, non sembrava che i giocatori avessero compreso appieno le disposizioni del coach e gli ottimi risultati delle stagioni passate tardavano ad arrivare.
Intanto nelle zone alte della società si cercava di individuare la chiave del problema: forse stravolgere completamente il gioco del tedesco non era stata questa grande idea, visto che, nonostante sia nella sua migliore stagione per assist serviti (3,7 APG), Dirk è soprattutto un realizzatore, forse il problema reale risiedeva in cabina di regia, in cui il pur ottimo Devin Harris non era in grado di azionare con costanza le numerose armi offensive, non puniva i raddoppi con continuità e soffriva in difesa le guardie più alte e più grandi di lui.
La dead line del 21 febbraio intanto si stava avvicinando, pochi erano stati i movimenti effettuati sul mercato dalla dirigenza, se non firmare giocatori per allungare le rotazioni dalla panchina, ed uno solo l'uomo disponibile capace di invertire il trend negativo delle ultime stagioni: Jason Kidd. Giasone nostro era da parecchio tempo in aperto contrasto con la stanza dei bottoni dei Nets, accusata di non aver costruito una squadra che puntasse immediatamente al titolo, scegliendo la linea verde nel settore lunghi e firmando free agent poco adatti alla modalità di gioco dei compagni (vedi Magloire).
Ebbene, dopo una trade non andata in porto per il "gran rifiuto" posto da George grazie ad una clausola contrattuale, lo scambio è avvenuto ed ha riportato Kidd nella squadra che lo aveva scelto al draft 13 anni or sono, mentre compivano il viaggio opposto Harris, Diop e parecchia "pizza fredda" (tra cui l'inutilizzabile ed inutilizzato Van Horn, pagato non poco per scaldare il posto a sedere ai compagni).
L'innesto non coincideva esattamente con il prototipo di play-maker che girovagava nella mente del coach, più propenso a situazioni di gioco ben strutturate (proprio come quelle da lui ideate quando era in campo) piuttosto che a fantastiche visioni di un singolo, create dal nulla ma per lo più estemporanee; a causa però la mancanza sul mercato dell'esemplare richiesto, Avery si è dovuto accontentare (ed è stato un più che discreto accontentarsi) dell'uomo che aveva portato alle Finals NBA nel 2003 New Jersey.
Dopo un movimento di questa portata non ci sarebbero dovute più essere giustificazioni per non portare a casa il tanto sospirato anello, anche se la squadra non girava ancora a dovere e il record negativo contro le squadre che hanno una percentuale di vittoria sopra il 50% non era precisamente di buon auspico. Ma proprio mentre la tanto sospirata chimica di squadra cominciava a delinearsi sullo sfondo, il fato crudele si è accanito ancor di più.
L'adeguamento tra le due stelle della squadra, Kidd e Nowitzki appunto, procedeva di buon grado verso una coesistenza più che prolifica per entrambe i giocatori: infatti Kidd sfruttava la mobilità del lungo tedesco, servendolo con assistenze al bacio durante la transizione e Dirk ringraziava, prendendosi quei tiri che tanto predilige e mostrando tutto il suo incredibile arsenale offensivo.
La sorte, però, nemmeno questa volta è stata favorevole alla compagine texana, colpendo WunderDirk proprio nel sentitissimo derby con San Antonio, infortunatosi alla gamba sinistra mentre cercava di stoppare in contropiede un lanciatissimo Udoka. La prognosi annunciata dopo attente analisi è di 2 settimane, mentre per quanto riguarda il pieno recupero della forma, i tempi di recupero si allungano inevitabilmente.
Martedì sera Avery Johnson si è pronunciato sull'accaduto in questi termini: "Sembra sia andata meglio del previsto. Questo non significa che sia andata bene in generale, ma per il tipo di infortunio sembra che siamo stati piuttosto fortunati. Spero che Dirk si riprenderà presto". Le probabilità di vedere Dallas ai Play-off ora si assottigliano notevolmente, anche perché Denver si avvicina sempre di più ad ogni partita e se i Mavericks non dovessero riuscire a trovare quella spinta dettata dall'orgoglio delle proprie stelle, pare difficile che riusciranno a conquistare una moneta per la post season.
Colui che ha subito negativamente l'ingresso del nuovo elemento in campo è Josh Howard, giocatore preciso e metodico, che aveva acquisito un ruolo realmente importante all'interno del sistema di Johnson e nella prima parte di stagione era persino diventato la prima opzione offensiva, mantenendo sempre alta la concentrazione in difesa. Ora soffre molto la mancanza delle sue classiche opzioni di tiro, anche se sta mostrando un grande impegno nel tentativo di digerire la nuova strutturazione.
Dall'altra parte Kidd è sempre più occupato a comprendere in quali posizioni voglia essere servito il suo compagno di squadra e grazie all'intelligenza cestistica che contraddistingue questi due fuoriclasse e l'odierno stato di necessità , l'adattamento al gioco l'uno dell'altro potrebbe rivelarsi molto più agevole del previsto.
Ciò che realmente però sta spingendo questo gruppo a superare tutti gli ostacoli sia mentali che tecnici che si frappongono lungo il cammino è la grande volontà di vincere del suo allenatore, più volte accusato di essere fin troppo dispotico e incapace di capire gli stati d'animo dei suoi giocatori, ma è noto come l'ex play-maker degli Spurs, nonché allievo meno prediletto di Popovich, tiri fuori il meglio di sé nei momenti di difficoltà : per ora non è ancora riuscito ad infondere la stessa forza caratteriale ai suoi uomini ed è proprio dovuta a questo l'assenza di risultati.
Infatti manca la continuità nel vincere, la monotonia di primeggiare, che contraddistingue una realtà vincente da una non. Ed è proprio questo su cui la dirigenza deve lavorare: cercare di enfatizzare il meno possibile sia le vittorie che le sconfitte, evitare continui stravolgimenti nelle rotazioni ed inseguire quella chimica che ha portato l'altra compagine texana, San Antonio, alla creazione di quella dinastia che ancora oggi domina la lega.
L'assenza di Nowitzki peserà molto sulle spalle della squadra, la panchina è stata ridimensionata parecchio dopo la partenza di Diop, soprattutto nel settore lunghi e l'unica vera speranza è quella di aggrapparsi all'orgoglio delle quattro "J" della squadra: Jason Terry, Josh Howard, Jason Kidd e Jerry Stackhouse; sono loro che decideranno il futuro di questa stagione fino al rientro del numero 41; se i risultati saranno quelli sperati da Cuban, entreranno nella fase finale a fari spenti, con l'etichetta di perdenti e magari riusciranno a togliersi qualche insperata soddisfazione"