I Rockets entrano di diritto nella storia con una striscia vincente di 20-0!
Hello NBA fans e benvenuti ad una nuova edizione del Clutch City, rubrica dedicata a ciò che circonda gli Houston Rockets e non solo.
Partitaccia sudata quella di questa notte contro gli Hawks: non entrava niente, probabilmente un po' di pressione, ma fanno 20 ugualmente.
20 sono le vittorie consecutive degli Houston Rockets in questa incredibile seconda parte di stagione dei Texani. 20 vittorie che riscrivono la storia dell'NBA moderna, quella delle 30 squadre e delle 6 division, del tutto diversa da quella delle 33 vittorie di LA con 4 division e 17 squadre. Anno Domini 1971/72: 36 anni fa.
E la storia viene riscritta da una squadra del tutto particolare, una squadra che io stesso, tifoso dei Rockets da sempre, non esito a definire, ad oggi, modesta. Questa non è la squadra schiacciasassi di Kobe e Shaq (Lakers – 19 vittorie, '00), nè tantomeno quella di Oscar Robertson e Kareem Abdul-Jabbar (Bucks – 20 vittorie, '71), o di Chamberlain e West (LA – 33 vittorie, '72).
Questa è la squadra che ha sì, nel proprio roster, un certo Tracy McGrady e un certo Yao Ming, ma da questa striscia vincente la coppia non risulta essere significativa causa assenze, ora dell'uno, ora dell'altro.
Questa sostanzialmente è la squadra di due rookie, Luis Scola e Carl Landry, questa è la squadra di un ultra quarantenne, tale Dikembe “Still Not In My House” Mutombo.
Questa è la squadra di un play, Rafer Alston, del quale fino a gennaio tutti ne volevano la testa servita su un piatto d'argento.
Questa, se volete, è la squadra di Rick Adelman, coach che ai più, ad inizio stagione, ha fatto rimpiangere l'ex Jeff Van Gundy. E ho detto tutto…
Insomma, questa è una squadra che da questa notte aggancia gli Spurs nella Southwest e che si trova ad una sola partita dal primo posto assoluto nella Western Division: ma il perchè si trovi lì, rimane assoluto mistero.
Le ragioni del cambio di marcia di questi Rockets le abbiamo ampiamente dibattute nel numero precedente del Clutch City (che per ragioni tecniche non è andato online su playusa.it ma che può essere letto su Badrose.Com – ndr), ma da allora le cose sono cambiate nuovamente. Sono cambiate perchè Yao ha purtroppo concluso la propria stagione in netto anticipo, il che ha portato i Rockets a stravolgere nuovamente il proprio sistema di gioco, adattandosi (finalmente, dirà lui) agli schemi più congeniali a Rick Adelman.
Beneficiario numero uno di questo cambiamento, Tracy McGrady, finalmente degno di essere nuovamente chiamato superstar. Ma la storia ci insegna che non basta un uomo per vincere e, sopratutto, non basta per scriverla. Ecco che quindi viene fuori la squadra tutta, dal primo all'ultimo elemento, senza alcuna eccezione.
Ma la squadra non basta per spiegare l'inspiegabile, il 20-0.
Scola sarà pur bravo, bravissimo, ma di Scola in 30 squadre ce ne saranno pure altri, così come ci saranno altri Carl Landry, altri Battier, altri Alston, Head etc. etc. – Pochi McGrady, questo è sicuro, ma difficilmente possiamo credere che gli altri siano pezzi unici e indispensabili. E nemmeno il gioco, per quanto ad oggi sublime, può essere tanto superbo da sopperire ad eventuali mancanze tecniche.
E allora: un miracolo?
Miracolo forse no, temporaneamente miracolati forse sì.
L'unico motivo di questa incredibile striscia vincente va ricercato nella testa di tutti i giocatori. I Rockets si sono liberati di quell'opprimente peso del dover vincere a tutti i costi, peso dovuto dagli sforzi compiuti dalla società e mal ripagati nel corso di questi anni.
Dal momento stesso in cui si è infortunato Yao, nessuno, ripeto, NESSUNO, può pretendere da Houston i Playoffs, il passaggio del primo turno, tantomeno il titolo. Yao si è infortunato e tutti hanno più volte ribadito “stagione finita, peccato perchè stavate facendo bene”, e da quel momento i Rockets hanno liberato la mente da mille responsabilità e giocano compatti, grintosi in difesa, fiduciosi in loro stessi e spinti dal voler dimostrare qualcosa senza che questo qualcosa sia indispensabile.
Ogni punto, ogni vittoria, è diventata un'iniezione di fiducia. La stampa americana dice “stagione finita” e Houston allunga la striscia a 20. Charles Barkley critica apertamente McGrady e Tracy risponde con prestazioni memorabili invece di abbassare la palpebra ed ingoiare il rospo. Tutto fila via liscio alla perfezione.
E la stampa, gli opinionisti, continuano a criticare. Dicono: “E' solo fortuna” – “Favoriti da un calendario estremamente facile”. Fortuna no, favoriti da un calendario facile… Ni.
Se è vero che il calendario non è poi stato molto impegnativo, è pur vero che stiamo parlando di 20 vittorie: non 5, non 10, ma 20. E se a vincere 20 partite consecutive ci son riusciti solo i Rockets negli ultimi 36 anni, forse un po' di credito a questa squadra va dato, a maggior ragione se di queste 20 partite molte sono state giocate senza almeno uno dei tuoi uomini migliori.
A maggior ragione se invece di faticare ogni giorno di più, le vittorie sono arrivate senza il minimo problema. Forse a Dallas non piagnucolavano per l'assenza di Nowitzki per una partita (peraltro proprio contro i Rockets)? Forse gli Hornets non andavano lamentandosi dell'assenza di West? Forse gli Spurs non hanno mandato accidenti a destra e a manca per l'assenza di Parker? Qualcuno mi vuol forse dire che queste squadre, giocando e perdendo contro i Rockets, sono partite da un piano di svantaggio? Suppongo che in quel di Houston avrebbero gradito barattare 4 o 5 vittorie con la sicurezza di avere Yao e T-Mac in salute per i Playoffs. Purtroppo non sarà così e anzi, continuano a perdere i pezzi (vedi Landry).
No, non sarà così. I Rockets sono ovviamente destinati non solo ad interrompere ben presto questa meravigliosa favola, ma anche a non recitare un ruolo da protagonisti, a maggior ragione in un Ovest dove oggi sei al top, ma 3 partite dietro ci stanno 6 squadre. Oggi il tifoso dei Rockets può sognare addirittura il pimo posto: a fine marzo (Lakers, Celtics, Warriors, Suns, Spurs) potrebbe fare i conti con l'ottavo.
Ma questo non ha importanza.
Nessuno può pretendere miracoli peraltro già parzialmente in atto. Che a fine stagione si parli di titolo, di un posticino risicato nei playoffs, o addirittura di eliminazione prima di arrivarvi, io, ipercritico da sempre con una squadra che negli anni passati ha dato infinitamente meno rispetto alle proprie possibilità , quest'anno mi ritengo molto più che soddisfatto. E orgoglioso.
Orgoglioso di una squadra che nella sfortuna ha dimostrato un carattere e una grinta unici, che ha saputo divertire, far gioire e che ha scritto un pezzo di storia al quale non è certo facile assistere tutti gli anni. E che per questo merita applausi.
Ripeto: probabilmente i Rockets non saranno dei protagonisti assoluti di questo finale di stagione, lo darei pure per certo e scontato se non fosse “la fede” a farmi comunque sperare in qualcosa di diverso. Ma mettersi davanti ad un monitor ogni notte e guardarli giocare senza dover pretendere niente, magari anche prendere la prossima sconfitta con un sorriso, è comunque un'esperienza “Sit & Enjoy” quantomeno gratificante. Potrebbe mai qualcuno, anche in un'ipotetica Finale NBA, criticare un canestro sbagliato di McGrady che costasse il titolo ai Rockets?
No, perchè i Rockets lì non avrebbero mai dovuto e potuto esserci. Questo i giocatori lo sanno e questa è la loro forza. Questo è quanto gli è stato necessario per mettere tutti gli ingranaggi al loro posto e dar vita ad una macchina oliata alla perfezione, macchina pronta a far male alle terribili armate che si contenderanno il titolo.
Che la striscia si fermi venerdi contro i Bobcats, domenica contro i Lakers, o chissà quando contro chissà chi, la storia è stata scritta. E la favola continuerà fino all'ultima partita della stagione.