Joe Johnson e Josh Smith, il futuro degli Hawks
Negli Stati Uniti d'America ci sono due cognomi, Smith e Johnson, che da decenni stazionano in cima alla lista dei family names più diffusi, resistendo al poderoso aumento demografico della componente ispanica.
Nel profondo sud degli Stati Uniti d'America, poi, c'è una città : Atlanta, ribattezzata Hotlanta per il clima torrido e l'umidità ai limiti della sopportazione, dove, quando si inizia a parlare di basket, non si conoscono nomi più unici e preziosi di Smith e Johnson.
Vestono le casacche numero 5 e numero 2, sono noti ai tifosi ed agli addetti ai lavori come J Smoove e JJ, ma all'appello rispondono ai nomi di Joshua Smith e Joe Marcus Johnson. Le speranze dei tifosi Hawks di tornare sotto la luce dei riflettori e di ricominciare a respirare basket anche oltre la metà di Aprile, sono nelle loro mani.
La sorte di Josh e Joe divenne comune nell'estate del 2005, con il primo, non ancora ventenne, che aveva appena chiuso il registro della sua prima stagione in maglia Hawks; ed il secondo approdava ad Atlanta nella speranza di poter riscuotere i crediti che in maglia Suns non gli potevano essere riconosciuti.
Il primo, nonostante alcune soddisfazioni personali non trascurabili, quali l'inserimento nel secondo quintetto dei rookie ed il titolo di Slam Dunk Champion, faceva parte del team con il peggior record della lega; il secondo, al contrario, era abituato a ben altri palcoscenici, avendo raggiunto con i Phoenix Suns le finali della Western Conference dei precedenti playoff, ed essendo stato uno dei principali artefici del record di Phoenix, il migliore della lega.
Profilo: Joshua
Josh Smith, nato nel Dicembre del 1985 tra le afose strade di College Park in Georgia, è stato uno tra gli ultimi high schooler a saltare il college e ad approdare giovanissimo tra i pro, prima che David Stern rendesse obbligatorio il passaggio per il college prima di accedere al draft Nba. Scelto dagli Hawks con il pick numero 17 al draft del 2004, Smith ha trovato subito minuti e
fiducia, in un team in piena rifondazione, che aveva ben poco da chiedere alla stagione.
Al termine della sua stagione da rookie, le cifre messe assieme erano più che rispettabili, con quasi 10 punti a partita, conditi da più di 6 rimbalzi e da 2 stoppate di media. I punti, gli assist e i tiri rispediti al mittente, poi, sono aumentati in ciascuna delle tre stagioni disputate da J Smoove, raggiungendo valori tali da giustificarne la candidatura per l'All Star Game 2008 di New
Orleans. Le stoppate, in particolare, sono diventate il piatto forte di casa Smith, con medie da oltre tre blocked shots a partita ed un career high di 10 stabilito a Dallas il 18 Dicembre 2004, a poco più di un mese dal suo debutto assoluto nella Nba.
Lo stile di gioco di Smith, ovviamente, non può essere solo rose e fiori: lo straordinario atletismo e la relativa inesperienza, lo portano spesso a combattere con il limite di falli, costringendo coach Woodson a limitarne non poco il minutaggio, e privando Atlanta di un arma preziosissima su entrambi i lati del campo.
Il secondo neo più evidente nel gioco dell'ala da Oak Hill Academy è indubbiamente il tiro dalla medio-lunga distanza. Le percentuali dal campo, generalmente di poco inferiori al .450, man mano che ci si allontana dal ferro, scendono sensibilmente, fatta eccezione per il tiro da tre in posizione frontale, per il quale Smith sembra essere decisamente portato.
Il miglioramento di questo fondamentale, e non la definitiva rinuncia ad esso, è indubbiamente tra le chiavi che possono Smith al livello superiore. Il livello di chi costituisce una minaccia in ogni situazione di gioco. Il livello dei leader, dei vari Melo Anthony, Gilbert Arenas o Tracy McGrady.
I margini di miglioramento ci sono, illimitati, e combinati ai suoi soli 22 anni non possono che lasciare ottimisti riguardo al futuro; nel frattempo, ogni qualvolta Smith scenderà sul parquet, gli avversari lo sfideranno di frequente a far partire il jumper, sperando, e pregando, che non trovi lo
spazio per decollare verso conclusioni ad altissima percentuale.
Profilo: Joe Marcus
Joe Johnson, di oltre quattro anni più vecchio, è un figlio di Little Rock, Arkansas, alla cui università ha donato due anni di ottimo basket giocato, prima di dichiararsi eleggibile per il draft Nba del 2001. Furono i Boston Celtics a chiamarlo con la decima scelta assoluta, nel round che tutti ricorderanno per il clamoroso abbaglio preso da Washington, che chiamò Kwame Brown con il pick numero 1.
La stagione da rookie con i biancoverdi iniziò piuttosto bene, con diverse partenze in quintetto nel corso dei primi mesi. Il minutaggio di JJ iniziò a calare man mano che l'obiettivo dei playoff si facevo più concreto; u così che, poco prima della trade deadline di Febbraio, JJ venne spedito in Arizona.
A Phoenix, Johnson, elevò in maniera impressionante il suo livello di gioco, diventando uno tra i migliori all around player della lega: la sua stazza lo rendeva una guardia tiratrice tra le più potenti della lega, con un ball handling di tutto rispetto, che rendeva il suo gioco versatile e la sua marcatura una missione quasi impossibile.
Nel giro di due stagioni la sua media realizzativa quasi raddoppiò, facendone, di diritto, una delle prime opzioni offensive di Mike D'Antoni.
Nella stagione 2004/2005 in particolare, il suo tiro dall'arco, più che rispettabile sino a quel momento, divenne pressochè letale con una percentuale del .478 su quasi quattrocento tentativi. L'annata magica proseguì nei playoff fino alle finali di conference, dove un infortunio al volto lo menomò per buona parte della serie, limitandone il rendimento e togliendo ai Suns il giocatore più in forma dell'intero roster.
L'eliminazione per mano dei San Antonio Spurs, poi vincitori del titolo Nba, fu l'ultima puntata dell'avventura di Johnson a Phoenix. Le sirene della Georgia ne avevano catturato l'attenzione, e la possibilità di diventare il punto di riferimento per una franchigia giovane e in cerca di rilancio, fecero sì che il sign and trade tra lui e Boris Diaw si concretizzò molto velocemente.
Le statistiche indivuduali di JJ benefciarono anche di questo ulteriore cambio di maglia, ma altrettanto non fecero quelle riguardanti il team, che nonostante l'incremento del numero di vittorie per due stagioni di fila, rimase ben lontanto dalla lotta per i playoff.
Le critiche dei tifosi e della stampa locale vennero rivolte in primis proprio a Johnson, accusato di non essere un vero leader sul paruqet e nello spoliatoio. I compagni e coach Woodson, ovviamente, si schierarono con Double J, che rispose nella lingua a lui più congeniale: la pallacanestro.
Nowadays
Passando in conclusione alla stretta attualità , i segnali giunti nei primi mesi di regular season sono
stati piuttosto chiari: Atlanta è pronta per il passaggio allo step successivo, il che chiaramente non sottointende la riuscita garantita del progetto, ma di certo l'arsenale di cui dispone ora Mike Woodson è completo.
La scelta estiva di Horford e l'arrivo recentissimo di Bibby hanno tolto le ultime attenuanti a coach e giocatori: l'obiettivo va centrato, e va centrato quest'anno. Il livellamento verso il basso della Eastern Conference è sicuramente un fattore che fa il gioco degli Hawks, attualmente di poco sopra al .400 di vittorie, ma a poche lunghezze dall'ottavo posto. Con 28 partite ancora in calendario la rimonta è tutt'altro che impossibile, ed in caso di finale in volata Atlanta potrà contare sulle motivazioni di due giocatori con due family names dallo scarso appeal, ma con un talento secondo solo a pochi altri.
Josh Smith e Joe Johnson sono onestamente stanchi di essere noti al grande pubblico solo per le giocate da highlight factory, vogliono fare esperienza ad alto livello, nei playoff, per guadagnare crediti e ripartire la prossima stagione con l'etichetta di mina vagante appiccicata alle nuove divise.
Chi punterà il dollaro su di loro non farà certo un investimento azzardato.