NBA: scambiare per vincere?

Ben Wallace e Kevin Garnett sono arrivati nelle loro nuove squadre con l'obiettivo di vincere

Volete provare a vincere?
C'è una formula facile facile da seguire, una ricetta con pochi ingredienti, tutto sommato, da utilizzare. Prendete una squadra e andate in campo: se fate male non preoccupatevi, a metà  stagione si cambia tutto. Se invece vincete, allora ok: si cambia lo stesso!

Un film visto e rivisto più volte nelle ultime stagioni Nba, ed in modo particolare in quella attualmente in corso.

Sembra proprio questa l'ultima moda di molte franchigie Nba, quella lega nella quale, un tempo, si costruiva con pazienza certosina e lunghe, ponderate valutazioni il gruppo, scegliendo le migliori promesse al draft, facendole crescere e combinando il loro talento all'esperienza dei veterani per anni, fino a trovare l'equilibrio giusto per raggiungere traguardi importanti.

Questo accade ancora, certo, e le trades sono sempre esistite. Qualche scambio, anche in passato, ha fatto discutere a lungo, da quelli che hanno spostato gli equilibri in positivo (Sheed Wallace ai Pistons, 2004), agli scambi decisamente meno fortunati (Kwame Brown ai Lakers, 2005).

Ma negli ultimi anni le cose sembrano radicalmente cambiate: le strategie a lungo termine hanno lasciato spazio alla legge del "tutto e subito".

I cambiamenti di metà  stagione

Anche nella Nba attuale provare a vincere un titolo subito, magari a discapito di una pianificazione più sul lungo periodo, sembra la linea d'azione maggiormente seguita laddove esistano insaziabili aspirazioni di gloria. Un tempo si lavorava per costruire un ciclo, anche a costo di collezionare sconfitte per un paio di stagioni. Molti ancora lo fanno, ma ora si cerca di vincere subito.

Che poi, parliamoci chiaro, non è neppure sbagliato: è semplicemente una questione di scelte, comunque ben ponderata, perché la conquista anche di un solo titolo ha i suoi bravi vantaggi , in termini di gloria e di ritorno economico, per anni.

Ma ciò che molti si sono chiesti, nelle ultime settimane, è se realmente queste rivoluzioni di mezza stagione, questo frenetico vortice di scambi, per una squadra, alla fine sia davvero tanto utile e tanto produttivo da condurre alla conquista immediata di un titolo.
Perché gli arrivi di Shaq a Phoenix o Kidd a Dallas sembrano proprio andare in quella direzione.

Due sono le scuole di pensiero, in questo caso.
Da un lato c'è chi pensa che l'affiatamento tra i compagni, veterani e rookies, rivesta per una squadra di vertice con ambizioni di successo (ma più in generale in tutte) un'importanza fondamentale.

Per comprendere meglio questa corrente di pensiero, che potremmo definire "conservatrice", si potrebbe citare l'esempio dei San Antonio Spurs. Un esempio vincente.

I campioni in carica hanno fatto dell'intesa, della sintonia, della chimica di gruppo e della continuità  le armi per conquistare 4 titoli nelle ultime 9 stagioni. E sono pienamente in corsa per il repeat, possibile quinto anello in dieci anni.

Metodo di lavoro semplice, per gli Spurs, ma efficace, talvolta senza troppe giocate spettacolari, ma sempre con una straordinaria concretezza, una difesa di ferro, ed un gruppo solido e unito, soprattutto nei momenti che contano. Sì, anche con qualche aggiustamento in corsa (vedi ingaggio di Kurt Thomas quest'anno), ma sempre e solo dove serve. Niente mosse avventate, pochi rischi.

E poi c'è chi, invece, segue una linea decisamente più aperta.
Se le chances di vittoria non mancano, si cerca l'ulteriore aggiustamento, il colpaccio per vincere subito; se invece la squadra proprio non ingrana, allora si cambia per dare una svolta alla stagione o magari ripartire da capo e ricostruire.

Quando si vuole cambiare, ultimamente si tende a farlo a stagione in corsa, con gli scambi più clamorosi che spesso si chiudono a ridosso della pausa per l'All Star Game.
Ma anche questa linea d'azione innesca, a sua volta, svariati interrogativi.

Prendiamo la trade Gasol: se ad inizio stagione a Memphis (Western Conference, Southwest division, la più dura, ndr) pensavano che con il centro spagnolo e Mike Miller, con l'ottimo sophomore Rudy Gay ed il rookie Juan Carlos Navarro si potessero raggiungere straordinari traguardi, forse sbagliavano. O no?

Forse ben prima che iniziasse la regular season, forse in estate si poteva mettere in piedi una trade più "redditizia", anche nell'ambito di un vero e proprio progetto di ricostruzione per la franchigia del Tennesse"

Cambiare per vincere subito?

Ad ogni buon conto, questa stagione passerà  alla storia come una delle più clamorose, almeno in fatto di trades.

La domanda, come dicevo prima, è semplice: si può vincere il titolo con una squadra totalmente rivoluzionata ad inizio anno o a metà  campionato?

Forse non esiste una risposta giusta a questa domanda, solo il campo sarà  in grado di emettere un giudizio, più che altro l'unico giudizio che conta.

L'impressione, e qui forse farei la felicità  del buon David Stern e di tanti nostalgici dei buoni, vecchi tempi, è che di tutte quelle che hanno cambiato, due in particolare possano cogliere davvero buoni frutti. Si è già  capito?

Uscire dalla bolgia dell'Ovest è un'impresa quasi epocale quest'anno, ma alla fine, mignolo di Kobe permettendo, potrebbero davvero spuntarla i Lakers. Che ad inizio anno, beninteso, molti non davano sicuri neppure ai play-offs. E poi" e poi è venuto fuori che Bynum comincia a recepire alla grande gli insegnamenti di maestro Kareem, che il giovane Farmar sta diventando un signor giocatore, che Fisher era il play che mancava e che tutto sommato Brown ed il giovane, pur promettente, Crittenton potevano essere sacrificati per aggiungere qualcosa al roster.

Così Kupchak ha chiuso una trade che in una frazione di secondo ha trasformato i gialloviola da buona squadra a contender di primissimo piano.

Da squadra di medio livello alla fine della passata stagione, LA ha aggiunto intorno alla sua stella proprio ciò che mancava, trovando per strada giocatori migliorati tantissimo in estate.
Aggiungete al tutto un pizzico di attacco a triangolo e 9 anelli a dare ordini in panchina, e secondo me ne viene fuori un mix potenzialmente da titolo.

Ma prima ancora, in piena estate, Boston aveva rivoluzionato la vita sull'altra costa.
Allo straordinario talento di Paul Pierce sono state affiancate l'esperienza e la classe di Allen e Garnett, ed ecco fatto il miracolo. Celtics contender assoluta ad Est, a giocarsi la possibilità  di tornare a competere per il titolo con i Pistons (altro esempio di continuità  e gestione del gruppo) e i Cavs di King James.

Fin qui due esempi di trades senza dubbio riuscite, in grado di portare concreti, immediati benefici e, soprattutto nel caso dei Lakers, la possibilità  di costruire qualcosa di duraturo per il prossimo quinquennio (almeno).

In altri casi, invece, i dubbi rimangono: sulle qualità  dei singoli giocatori coinvolti certamente no, ma sull'impatto nella nuova squadra e sulla reale possibilità  di spostare gli equilibri un po' sì.

Shaq, per esempio: il centro dominante per definizione, che ha scelto l'Arizona per vincere di nuovo e subito, nell'impianto a mille all'ora di D'Antoni, a far su e giù per il campo decine di volte in pochi minuti.

Qualcuno dice che finalmente così anche i Suns potranno alternare il run & gun con il gioco sotto, e che l'esperienza di Shaq in fase di playoff può risultare fondamentale?
Vero, ma intanto nell'Ovest di oggi basta steccare un paio di partite per ritrovarsi con una pericolosissima posizione in griglia, e rischiare di dover lottare come pazzi già  dal primo turno.
Shaq rules, ancora e nonostante età  e acciacchi, ne sono più che convinto ma i dubbi, non credo solo al sottoscritto, restano.

E poi c'è Kidd a Dallas.
Genio della regia, straordinario giocatore, Mr Triple Double arriva in un impianto dove non dovrebbe essergli difficile trovarsi e ritrovarsi. Ma per arrivare a lui i Mavs hanno accorciato la panca, e non poco. Vale lo stesso discorso fatto poco fa per Phoenix: il dubbio non è tanto se possa o no essere utile alla conquista immediata del titolo, perché è chiaro che lo potrà  essere (eccome) ma piuttosto se questo stravolgimento di metà  stagione non rischi, alle fine di tutto, di essere controproducente.

Non è per niente questione di qualità  dei giocatori coinvolti nelle trades, ma di affiatamento e chimica da trovare a tempo di record. E a questo punto dell'anno non si può sbagliare niente, ma proprio niente.

Bibby agli Hawks, soprattutto in chiave futura, sembra uno scambio che può definitivamente rilanciare Atlanta, anche se forse è presto per dirlo.
Thomas a San Antonio, invece, è il tassello ideale per completare il mosaico di coach Pop, con gli Spurs che, sornioni, si preparano alle gare che contano.

Convincenti, almeno sulla carta, gli inserimenti ai Cavs, ma anche in questo caso, a così poche settimane dalla conclusione della regular season, sembra davvero un grosso rischio.
In fondo, il play di cui tanto aveva bisogno Cleveland non è arrivato: certo che Bibby ci starebbe stato alla grande" Palla (e parola) a Lebron.

Adesso è tutto fermo, in attesa dei play-off forse più equilibrati ed incerti delle ultime due decadi. Ma l'estate si avvicina e i nomi in circolazione fanno pensare che, sul fronte mercato, sarà  un'estate lunga e caldissima.

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