Sam e Kevin di nuovo insieme?
«Dopo gara-1 in cui avevo segnato 23 punti Sam è venuto a dirmi di non preoccuparmi che in gara-2 avrei potuto riposare, perché ci avrebbe pensato lui a battere i Magic. L'ha fatto davvero!» Kenny Smith, oltre un decennio fa.
La notizia è di pochi giorni fa, Sam Cassell ha concordato con il management dei Clippers un buyout di cui non sono ancora noti i termini economici. Lascia la franchigia di Los Angeles e con tutta probabilità andrà a finire la propria carriera di giocatore nei Boston Celtics.
Il team report per playitusa.com mi ha permesso di seguire assiduamente il biennio magico dei Clippers, culminato con una sorprendente qualificazione ai playoff ed una emozionante post-season interrotta ad una tripla di Bell dalla finale di Conference.
Quei Clippers, imbattuti allo Staples Center nelle due serie di playoff '06, potevano fare affidamento su uno dei migliori giocatori della Lega, Elton Brand. Sesto nella classifica per l'MVP della stessa regular season e il meglio lo aveva tenuto in serbo per la serie contro i Suns.
Ma il leader riconosciuto, il condottiero carismatico, il vocal leader era senza dubbio Sam Cassell. In tempi non sospetti aveva iniziato a caricare i compagni e l'ambiente con dichiarazioni estremamente fiduciose su un gruppo che quasi nessuno teneva in considerazione nel breve periodo. E forse neppure nel lungo periodo.
Sam riuscì a trasmettere questo, la convinzione nei propri mezzi, ad una squadra che iniziò a vincere e costrinse molti analysts a considerare la franchigia di Sterling una contender, probabilmente per la prima volta nella sua storia californiana.
Sam ha sempre avuto questo atteggiamento, quella faccia tosta. Perfino il suo soprannome Sam I Am lascia intendere al contempo una personalità da prima donna e un carattere fiero e altezzoso.
Con il mio sguardo di appassionato tutt'altro che distaccato ho sempre visto questo signore in modo un po' differente. La sicurezza che traspare in ogni sguardo dentro e fuori dal campo ha molto più a che fare con un modo positivo di affrontare l'impegno agonistico.
Yes we can, potrebbe non essere solo il motto di Barak Obama, ma anche il credo personale di ogni stagione sportiva di Sam Cassell. La sua arma più grande, riuscire a trasmettere questa fiducia ai propri compagni.
Rimane indelebile il ricordo di Cassell che cancella con una X le partite che restano da vincere ai Clippers per conquistare l'anello. Titolo e Clippers nella stessa frase? Sembra una barzelletta, eppure la ClipperNation ci credeva davvero. In un sondaggio estivo, la maggioranza dei tifosi scelse di giudicare la stagione terminata in semifinale di Conference agrodolce a causa della precoce uscita dai playoff.
Giorni in cui Billy Crystal era più fotografato di Jack Nicholson!
Vittorie a sorpresa e risultati miracolosi erano definizioni che Sam lasciava ai giornalisti e se interrogato sulle ragioni di questo successo rispondeva con la faccia tosta di chi non capisce le ragioni di una domanda così ovvia: perché quando giochiamo come sappiamo possiamo battere chiunque.
Questo è Sam Cassell. Un giocatore che riesce ad essere spettacolare senza schiacciare, senza alley-oop o passaggi no-look, senza tanti fronzoli. Spettacolare nel mettere il canestro importante nei momenti caldi della partita, spettacolare nel suo essere vincente.
«Noi siamo l'unica squadra che non provoca, non prende in giro gli avversari, non fa del trash-talking. Abbiamo troppa classe, giochiamo e vinciamo, non c'è spazio per darsi cinque col petto».
Sam Cassell dopo il secondo anello a Houston.
Mi sento di contestare l'idea, stranamente diffusa, che non sia un uomo squadra.
Come può non essere un uomo squadra chi è capace di coinvolgere tutti i compagni, di farli sentire importanti e in grado di giocarsela contro ogni avversario?
Sempre dopo il secondo titolo dei Rockets disse: «Quando sei una riserva devi aspettare il tuo turno. Quando ti chiamano, è meglio essere pronti. Io sono il primo tifoso di Kenny Smith quando lui è in campo, lui è il mio primo supporter quando in campo ci sono io».
Sam Cassell ha vinto il titolo nei primi due anni nella Lega, fortunato lui ad essere finito a giocare nella squadra di Olajuwon, fortunati i Rockets ad aver scelto un rookie subito pronto e capace di dare un contributo determinante in entrambe le Finals.
«Abbiamo valutato bene la situazione e dopo aver parlato con Sam ci siamo convinti che questa è la cosa giusta da fare» – sono le parole con cui il g.m. Baylor ufficializza l'addio - «Sappiamo bene quanto Sam ci ha dato in questi tre anni e per questo non possiamo che augurargli le migliori fortune».
Mi dispiace che i Clippers non abbiano avuto l'opportunità di riprovare le emozioni dei playoff '06, complici alcune scelte sbagliate, ma soprattutto la sfortuna che si è accanita tenendo sempre affollata l'infermeria. Mi dispiace che Sam lasci i Clippers, ma non poteva più dare molto ad una squadra che sta cambiando pelle e non ha più energie e mezzi per tornare ai vertici nel breve termine.
Un divorzio un po' triste, ma che mi sembra significativo come primo episodio di una rubrica dal titolo Do the right thing.
Giusto che vada a giocare dove potrebbe chiudere la carriera nello stesso modo in cui l'ha iniziata, lottando per il titolo e dividendo i minuti in campo con un altro playmaker. In una squadra che non ha Olajuwon e Drexler, ma non suona male neppure giocare al fianco di Garnett, Allen e Pierce.
«Rondo è un giovane grande talento. Ci vuole qualcosa in più per vincere una partita di playoff» – puntualizza Sam Cassell - «La leadership è tutto: sapere a chi passare la palla, sapere quando alzare il ritmo, quando mettere ordine" a me non manca l'esperienza».
Chi non lo ama può trovare le sue affermazioni arroganti, chi come me è un suo fan non può che esserne rapito. Perché nel momento in cui ti sembra solo uno sbruffone, Sam te la fa pagare!
Robert Horry è un altro di quei giocatori che può occupare un ruolo marginale poi essere l'elemento determinate per la sua squadra nei playoff. Non a caso Horry e Cassell sono usciti dalla stessa esperienza vincente di Houston metà anni Novanta e hanno fatto tesoro di quanto imparato. Robert ha avuto più fortuna per aver giocato negli Spurs e nei Lakers, Sam ci ha provato con Bucks e TimberWolves, ma onestamente ci sarebbe voluto un miracolo.
Con questi Celtics avrà un'occasione vera, la sua ultima.
«La gente non si rende conto che sono entrato in questa lega da panchinaro. Qui non conta chi inizia la partita, anche se hai i tuoi due minuti di celebrità quando lo speaker urla il tuo nome. Ma come mi hanno insegnato a Baltimora, quel che conta è chi finisce la partita in campo. E in questo penso di poter dare una grossa mano».
Quasi me lo riesco ad immaginare, dopo aver messo il canestro che uccide una gara delle Finals, intervistato dal solito giornalista compiacente. La sua solita faccia, quella di chi ha fatto solo quel che sapeva di poter fare. Aiutare la sua squadra a vincere.
Stupiscici ancora, Sam!