Utah Jazz fra passato e futuro

In una sola foto, i Jazz di oggi e i Jazz di ieri…

In genere non è un bel segno rivangare con nostalgia i bei tempi andati, quando si giocava a pallone in mezzo alla strada, quando la frutta non era trattata, quando il formaggio era fatto col latte vero, quando l'NBA significava qualche telecronaca rubata in orari improbabili, con commenti di Dan Peterson (oh, ma quello c'è ancora!) o Sergio Tavcar (che continuava a parlare del fatto che il basket era uno sport per persone intelligenti e, da buon istriano, continuava a criticare gli italiani!). Non è un bel segno perché vuol dire che qualche annetto è trascorso.

Ancora adesso, quando discuto con qualche ventenne appassionato, esce fuori il discorso che la tecnica di un Jabbar, di un Magic, di un Bird, tanto per fare qualche nome a caso, oggi non ce l'ha nessuno, e mi sento rispondere che però una spallata di Dwight Howard o di Lebron James li spedirebbe a controllare la stuccatura del parquet da vicino, ed allora preferisco cambiare discorso perché tutto ciò mi fa venire in mente che vado ormai per i quaranta, nonostante il complesso di Peter Pan tenda a farmelo dimenticare.

Parlando però dello Stockton to Malone difficilmente riesco a contenere la nostalgia del bel gioco che fu. Diventa anche difficile spiegare il perché; oggi in Europa qualunque squadretta delle serie minori gioca con il pick & roll, tiro da tre e tanta flex, con lunghi dalle mani quanto meno decenti e cecchini sulla linea da tre; quale sarebbe la novità  o lo spettacolo di una roba simile?

Tanto per cominciare alle prime apparizioni della coppia sotto gli ordini di Jerry Sloan si giocava poco in questa maniera, anche se praticamente tutte le squadre dell'NBA giocavano sulla circolazione di palla.

Jordan era ritenuto da molti uno spocchioso egoista, capace di pensare solo alle proprie statistiche individuali ed incapace di condurre una squadra alla vittoria; tralasciando quello che fece negli anni '90, anche allora il commento era ingeneroso, tanto è vero che i grandi Bad Boys, i Detroit Pistons di Thomas, Dumars e Rodman dovettero inventarsi le cosiddette "Jordan Rules" (sostanzialmente significava riempire Jordan di mazzate distribuendo i falli fra i vari giocatori in modo da non essere sanzionati in modo eccessivo) per sconfiggere i Bulls, che allora non avevano certo i Rodman, i Kerr, gli Harper, i Kukoc che ci furono in seguito.

Contemporaneamente al mito di Jordan nasceva e cresceva quello di Stockton to Malone, in quanto questo gioco apparentemente monotono e ripetitivo, basato appunto su pick & roll e tiro da tre, diventava vario e spettacolare, grazie alle continue invenzioni di John, tuttora recordman di assist, grazie alla incredibile capacità  di smarcarsi ed attaccare il ferro di Karl, ed alla capacità  di entrambi di portare blocchi granitici, ovviamente in rapporto alla stazza, e servire l'uomo libero sugli scarichi.

Mezza NBA portava sulle costole i segni dei gomiti appuntiti di quel signore pallido col fisico di un impiegato del catasto, capace però di trasfigurarsi col pallone fra le mani.

Basta però con la nostalgia, anche perché è vero che quei due, con un supporting cast di tutto rispetto, con giocatori come Hornaceck e Russel, o l'altro Malone, Jeff, si sono sempre fermati prima del traguardo finale.

Negli occhi di tutti rimangono quei famosi ultimi minuti delle finali del 1998, quando i Jazz a pochi secondi dalla fine erano sopra ed aveva palla in mano Karl Malone, ma Jordan, come un cobra in agguato, gli strappò la palla dalle mani ed andò a segnare i punti del sorpasso. Oltre alle sconfitte contro i Bulls di Jordan vennero quelle con i Rockets, mentre Air maltrattava una mazza da baseball, o quelle con i Sonics, con Malone che sbagliava i liberi decisivi, sotto la sguardo sconsolato del compagno di merende Stockton.

Basta quindi parlare delle mezze stagioni che non ci sono più, anche perché nel cuore dello Utah, a Salt Lake City (anzi, nella città  di Utah, nel Salt Lake, come disse in una famosa gaffe Karl Malone), stiamo assistendo ad una replica, anzi, ad una edizione completamente rivista di un vecchio film. Forse che qualcuno può affermare che "Il postino suona sempre due volte" di Bob Rafelson con Jack Nicholson e Jessica Lange è un puro remake di "Ossessione" di Luchino Visconti, con Clara Calamai e Massimo Girotti?

E così nello stato dei mormoni si sta vedendo un qualcosa che ha sapore antico, si, ma resta inequivocabilmente moderno ed attuale.

Qualche tempo fa i Jazz erano allo sbando, appesi solamente alla versatilità  del russo Kirilenko, ma Jerry Sloan ebbe l'intuizione di andare a prendere due lunghi con il contratto in scadenza, strapagandoli rispetto a quello che era ritenuto il valore di mercato, Carlos Boozer e Mehemet Okur, e fece carte false per prendere al draft un play non giovanissimo ma solido, Deron Williams.

Si convinsero i Portland Trail Blazers a scambiare scelta, in modo da salire alla tre, e poi non restò che pregare che a Milwakee ed Atlanta si facessero scelte diverse. I Bucks scelsero il centro australiano Bogut, gli Hawks l'ala dal fisico statuario Marvin Williams, così Sloan potè esultare e prendersi il play tanto agognato.

In un primo momento sembrò che il buon vecchio zio Jerry fosse invecchiato ed avesse compiuto una serie di scelte sbagliate. Okur sembrava una mozzarella in mezzo all'area, nemmeno di bufala, Boozer era sempre in infermeria o in palestra a riabilitarsi, Deron Williams non sembrava forte neanche la metà  dell'altro play scelto quell'anno alla numero quattro, Chris Paul.

Poi però piano piano la cura Sloan funzionò, Deron è diventato un play con i controfiocchi, Boozer è tornato più forte di quanto sia mai stato, ed i loro compagni più importanti, Kirilenko ed Okur, sembrano aver superato i momenti difficili ed essere pronti per essere un ottimo supporting cast.

La coppia Williams/Boozer per certi versi può anche ricordare il vecchio Stockton to Malone; Deron è uno dei play più bravi in regia dell'NBA, Carlos è un'ala forte sottodimensionata, ma veloce, agile e pronta a migliorare tecnicamente di anno in anno.

Ricordiamo infatti le parole di un grande esperto della NBA, un certo signor Goat:

Limitare Malone alla sola potenza o velocità , non sarebbe giusto. Il suo merito è stato migliorare giorno dopo giorno. Ha imparato progressivamente ad allontanarsi da canestro e salire in sospensione da tre, quattro metri, non permettendo più ai difensori di lasciargli troppo spazio, cosa che prima avveniva puntualmente, per evitare che mettesse palla a terra e andasse ad attaccare il canestro, con risultati prevedibili visti la sua stazza e la sua velocità .

Cose simili, seppur ad un livello ovviamente inferiore, si possono dire anche di Carlos Boozer, il quale però in difesa ha ancora tanto da imparare dal suo celebre predecessore, e deve ancora migliorare tanto al tiro.

Deron poi è totalmente differente da Stockton; molta meno inventiva, meno rapidità , ma fisico e capacità  difensiva nettamente superiori, deve lavorare ancora sul tiro e sulla regia, ma li potrebbe già  farsi un paragone.

Inoltre a Salt Lake City di nuovo si stanno tornando a vedere i blocchi più duri ed efficaci dell'intera lega, vero marchio di fabbrica di Jerry Sloan.

Per ora il paragone è certamente esagerato, ma intanto il nuovo duo ha condotto gli Utah Jazz ad una nuova, sorprendente, finale di conference, dopo tanti anni; la sconfitta non sarà  stata marchiata da Michael Jordan, ma il segno degli Spurs e di Tim Duncan non è poi tanto più leggero.

Quest'anno, in un ovest fortissimo, in cui tutte le squadre si sono rinforzate per vincere subito, adesso, e pazienza il futuro, in cui salvo eccezioni trionfa l'uovo oggi piuttosto che la gallina domani, a costo di lasciare il pollaio vuoto come dopo la visita di una faina, questa squadra, con i giocatori principali che oscillano fra i 25 ed i 28 anni sta tenendo bordone, si sta conquistando una meritata qualificazione ai play off e dubito che i suoi avversari nelle serie, chiunque siano, dormiranno sonni tranquilli prima di affrontarla.

Non si vedono tante schiacciate, poche giocate spettacolari, pochi zompi a svitare le lampadine del soffitto? Pazienza, per quello c'è l'All Star Game, o se si preferisce c'è il circo. Qui una serie di atleti normali sanno giocare a pallacanestro e sono concreti, e tanto basta.

Ecco, volendo trovare il pelo nell'uovo, la difesa non è all'altezza delle tradizione di Sloan, ma c'è tempo per implementarla. Difficilmente basterà  per l'anello, per quello servirà  proprio che Deron e Carlos ripetano le gesta dei Stockton to Malone, magari senza sbagliare i liberi decisivi o farsi scippare la palla da Jordan.

Magari servirebbe anche un altro Hornaceck; si spera nel nuovo arrivo Kyle Korver, o nella definitiva affermazione di Matt Harpring, ma ancora i due devono migliorare tanto, se i Jazz vogliono sognare in grande.

Non ci sono più le mezze stagioni? Forse, ma a Salt Lake City si respira aria di primavera. Anche il nostalgico più incallito può smettere di sognare e provare ogni tanto a guardare un po di basket attuale.

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