Prima di andare via da Oakland, questo era C-Web
1993, Golden State Warriors - Phoenix Suns: palla recuperata dai Warrios nella propria area e contropiede avviato passando lungo per il rookie Chris Webber lanciato sulla sinistra. Chris riceve appena fuori dall'area, vede Charles Barkley arrivare pronto per la stoppata ma incosciente o per nulla intimorito mette palla per terra, va dietro la schiena ed inchioda una schiacciata con la destra sull'MVP in carica.
2008, Golden State Warriors - Chicago Bulls: Chris Webber ritorna ad Oakland, dopo qualche imprecisione al tiro arrivano i primi due punti, che non finiranno in nessuna pubblicità di successo.
1993/2008, nel mezzo una carriera nella Lega, quella di Chris Webber, fatta di soddisfazioni e delusioni, apprezzamenti e riconoscimenti ma anche infortuni e prestazioni opache che hanno contribuito ad assegnargli il marchio di fallito.
Eppure no, fin quando si alzerà dalla panchina, fin quando si toglierà la tuta e metterà piede sul parquet un giocatore senza anello non potrà mai essere un fallito.
L'obiettivo è lo stesso per tutti, figurarsi per i veterani che in passato lo hanno sfiorato (chi più, chi meno) e che scorgendo l'ombra del ritiro si accorgono che le chance di vittoria sono in calo. Basta un attimo per fermarsi a riflettere, anche durante il garbage time sopra o sotto di 20, e tornare con la mente all'infanzia, dove tutto ebbe inizio.
Il sogno prende vita per tutti da lì, sono indifferenti le condizioni di vita basta buttarsi nei playground incuranti di ginocchia sbucciate, lacrime, sudore, pioggia, e lì cominciare a coltivare il proprio sogno, mettersi in mostra, accettare o lanciare sfide, esaltarsi e, perché no, fantasticare commentando l'ipotetico buzzer beater di gara 7 delle Finals.
Crescendo però la realtà della vita si imbatte in tutti e porta ad abbandonare i propri sogni per prendere una via che dia stabilità e sicurezza per il futuro. È la via più praticata, soprattutto quando ci si accorge che non si ha il talento necessario per entrare nella NBA (esiste anche la categoria di quelli che il talento lo hanno avuto in dono ma poi lo hanno miseramente sprecato). Ma se tanti mollano, non sono da meno quelli che continuano imperterriti la loro strada passando per i college con un solo pensiero fisso in testa: approdare in NBA e mettersi l'anello al dito.
È il draft il primo ostacolo che può mandare anni di previsioni e speranze in aria, ma quando David Stern ti annuncia come la prima scelta assoluta la strada sembra in discesa e quanto meno l'anello non è più un'utopia.
Questo è quello che è successo a Chris Webber, prima scelta assoluta al draft del 1993 per mano degli Orlando Magic che appena un anno prima avevano chiamato sempre con la prima scelta Shaquille O'Neal. La coppia O'Neal-Webber era molto interessante sulla carta e consentiva ai tifosi dei Magic di aspettarsi un futuro ricco di soddisfazioni.
Ma la notte del draft accadde subito qualcosa di inaspettato: la dirigenza dei Magic decise di girare Chris Webber ai Golden State Warriors in cambio di Anfernee "Penny" Hardaway.
L'arrivo nella Baia tuttavia non è traumatico. I Warriors erano una squadra emergente con prospettive non meno interessanti di quelle dei Magic, ed i risultati non tardarono ad arrivare. Nella sua stagione da rookie Webber fece registrare 17.5 punti, 9.1 rimbalzi, 3.6 assist e 2.16 stoppate ad incontro, cifre fondamentali per portare Golden State ai playoff.
La corsa dei Warriors si fermò al primo turno per mano dei Suns, ma con questa stagione e queste cifre alle spalle il titolo di Rookie Of The Year arrivò senza tante sorprese.
Sembrava l'inizio di un'avventura duratura ed importante, un futuro roseo per la franchigia ed il giocatore, ma in estate arriva un fulmine a ciel sereno: Webber si reca dai dirigenti e chiede chiaramente di essere ceduto.
Quando i dirigenti esigono spiegazioni Chris rivela che le tensioni con coach Don Nelson sono diventate insopportabili, il loro rapporto è arrivato al capolinea, quindi mette la dirigenza davanti ad un bivio: o si va avanti con Don Nelson o si costruisce intorno a C-Webb con un nuovo coach.
La strada intrapresa è la prima, sbagliata perché la squadra torna nella mediocrità ed abbandona mestamente i sogni di gloria. Webber fa quindi le valigie e si trasferisce a Washington, casa dei Bullets attuali Wizards.
Ma anche per Chris la scelta non risulta azzeccata. Nella sua prima stagione a Washington gioca 54 partite ma riesce a migliorare quasi tutte le proprie statistiche (20.1 punti, 9.6 rimbalzi, 4.7 assist a partita). Tuttavia la squadra non accede ai playoff e le cose non cambiano nemmeno la stagione seguente con Webber in campo solo per 15 partite per una serie di infortuni alla spalla.
Superati i guai fisici, la stagione 1996/1997 doveva essere quella del riscatto. Con una media di 20.1 punti, 10.3 rimbalzi e 4.6 assist Webber si guadagnò la chiamata per l'All Star Game (fino ad oggi ne ha ottenuto cinque) e, cosa ben più importante, trascinò i Bullets ai playoff che mancavano da circa dieci anni. La Eastern Conference di quegli anni era però molto competitiva e non alla portata di Washington che dovette fermarsi al primo turno con un 3-0 subito da Chicago.
Per via della mancanza di risultati ottenuti dalla franchigia la stagione successiva, nel 1998 la dirigenza lo scambiò con i Sacramento Kings in cambio di Mitch Richmond e Otis Thorpe. L'approdo a Sacramento fu molto importante per Webber che negli anni successivi si impose come uno tra i migliori giocatori in circolazione.
La prima stagione fu chiusa con 20 punti, 13 rimbalzi e 4.1 assist a incontro, il titolo di miglior rimbalzista della Lega, l'ingresso nel secondo miglior quintetto della NBA e un'apparizione ai playoff con eliminazione per mano degli Utah Jazz.
I playoff arrivarono anche la stagione successiva ma ancora una volta Chris non vide il secondo turno. A fermare la corsa dei Kings stavolta erano i Los Angeles Lakers, un accoppiamento dei playoff che produrrà serie elettrizzanti.
Statistiche alla mano la stagione 2000/2001 è la migliore per Webber con 27.1 punti, 11.1 rimbalzi e 4.2 assist, presente nel miglior quintetto della NBA e quarto nelle votazioni per l'MVP. Nei playoff i suoi Kings eliminarono i Suns al primo turno per poi trovarsi davanti nuovamente i Lakers. Il risultato fu chiaro e netto: 4-0 in favore dei Lakers.
Alla delusione sportiva si aggiunse un infortunio estivo che ne condizionò la stagione 2001/2002 con sole 54 partite disputate chiuse con la media di 24.5 punti, 10.1 rimbalzi e 4.8 assist. Gli infortuni a C-Webb non fermarono i Kings, che guidati da coach Rick Adelman chiusero la stagione da protagonisti assoluti meritandosi il soprannome di "Fab Five", nello specifico Mike Bibby, Doug Christie, Pedrag Stojakovic, Chris Webber e Vlade Divac.
I playoff furono un successo con Jazz e Mavericks eliminati senza grossi patemi, fino a quando in finale di Conference non si trovarono di fronte nuovamente i Lakers. La serie è memorabile, tirata fino alla fine con l'overtime di gara 7. Ma alla fine a spuntarla è sempre la banda capitanata da Shaq&Kobe.
Le 59 vittorie ottenute nella stagione 2002/2003 autorizzavano i tifosi dei Kings a sognare ancora nei playoff. Il cammino sembra uguale al precedente: Utah eliminata al primo turno e Dallas in semifinale di Conference. Stavolta ci si mette di mezzo la sfortuna. Webber si infortuna al ginocchio sinistro e i Kings abbandonano la scena.
L'infortunio occorso a Webber è molto grave costringendo il giocatore ai box per un lungo periodo (solo 23 partite disputate nella regular season 2003/2004). Sacramento non rallenta la sua corsa e dopo le 55 vittorie stagionali mette in atto la vendetta contro Dallas per poi arrendersi di fronte ai Timberwolves dell'MVP in carica Kevin Garnett.
I Kings erano ormai alla fine di un ciclo spettacolare ma non vincente. Anche se la squadra è stata protagonista di ottime regular season ed elettrizzanti sfide ai playoff rimane il rammarico per tutti di non aver preso l'anello. Nel 2005 pochi si stupirono quando la dirigenza dei Kings decise di scambiare Chris Webber con i Philadelphia 76ers.
A Philadelphia Chris aveva il compito di affiancare Allen Iverson, allora leader indiscusso della franchigia. La coppia porta i 76ers ai playoff del 2005 ma contro i campioni in carica dei Detroit Pistons c'è poco da fare.
La stagione 2005/2006 inizia bene ma nel finale la squadra crolla e regala l'accesso ai playoff ai giovani Chicago Bulls. Chris ritorna a vedere i playoff alla televisione dopo esserne stato protagonista per anni e dopo aver chiuso una buona stagione con 20.2 punti, 9.9 rimbalzi e 3.4 assist.
L'esperimento Iverson-Webber durerà poco, infatti a metà della stagione 2006/2007 visti i risultati scarsi la dirigenza dei 76ers decide di rifondare spedendo Allen Iverson ai Nuggets e liberando Chris Webber che si accasa a Detroit.
Aldilà dei numeri era ormai chiaro a tutti che Webber non era più lo stesso giocatore ammirato prima dell'infortunio. Gli anni in maglia Sixers sono stati molto difficili, prestazioni non all'altezza del suo passato e del suo contratto e critiche spietate.
Con l'arrivo a Detroit, sua città natale, Chris tornava nuovamente ad avere chance concrete di vincere l'anello. Il contributo offerto dal veterano è stato di primo piano specie nei playoff e il 2007 sembrava l'anno giusto per mettere piede alle Finals.
Poi arriva il suicidio dei Pistons (o le prodezze di LeBron James, fate voi) nella finale della Eastern Conference a spezzare i suoi sogni di gloria ed allora gli saranno tornati alla mente i fantasmi NCAA con la maglia di Michigan.
Anche in quella occasione con un talento di squadra elevato (soprannominati "Fab Five", era presente pure Juwan Howard con lui anche a Washington) si fermò ad un passo dalla vittoria: due finali NCAA perse, la seconda con una brutta macchia da cancellare, ovvero il time out chiamato da Webber nei secondi finali quando Michigan li aveva già tutti utilizzati. Un brutto modo per presentarsi nella NBA come prima scelta che poteva essere oscurato da un anello prima del ritiro.
Come se non bastasse in estate non viene riconfermato dai Pistons e ai nastri di partenza della regular season 2007/2008 resta senza squadra. Sembra la fine della sua carriera, con il titolo solo sfiorato pur senza mai approdare alle Finals.
Eppure qualche rumors comincia a girare, si vocifera di un suo ritorno fino a quando è il suo agente a confermare: si, Chris Webber ritornerà in NBA.
È chiaro che alla sua età e dopo ciò che ha fatto in carriera non si ritorna per solo per amore verso il basket o per soldi, quantomeno la franchigia deve avere le stesse ambizioni di C-Webb, che tradotto vuol dire vincere l'anello.
Cominciano a girare i nomi delle squadre a lui interessate, vere o presunte tali, poi il cerchio si stringe e rimangono in quattro: Pistons, Magic, Lakers e Warriors.
Non passa molto ed arriva l'annuncio a spazzare via ogni discussione: Chris Webber ritorna ai Golden State Warriors.
La sorpresa tra gli appassionati è data da due motivi. Il primo è la presenza di Don Nelson in panchina che costrinse C-Webb a lasciare i Warriors nel 1994, anche se i due hanno voluto precisare che non ci saranno più polemiche.
Altro motivo sono le possibilità di vincere l'anello, tra le quattro quella con meno possibilità , evidentemente altrove avrebbe avuto si più chance di vittoria ma meno minuti in campo o comunque un ruolo sempre più marginale all'interno del progetto.
Webber così fa il suo ritorno nella Lega e si ritrova con Don Nelson in una squadra da playoff, rivisti dai tifosi solo l'anno scorso dopo un digiuno iniziato proprio con la sua partenza.
Ma che contributo può dare ancora Chris Webber?
Sicuramente non è un arrivo che non sposta gli equilibri, ma che aggiunge valore ed esperienza nei momenti cruciali della stagione ad una squadra in lotta al momento per l'ottava piazza in una Western Conference ancora molto incerta. L'impatto iniziale non deve spaventare, ha ancora bisogno di trovare la forma migliore e adattarsi all'attuale modo di giocare di Don Nelson.
Non è da sottovalutare comunque l'impegno e la forza che può dare un veterano ed il coach la fiducia gliela subito data schierandolo in quintetto, una mossa azzardata e che probabilmente al momento non verrà rifatta.
Si risiederà in panchina, magari ritornerà con la mente all'infanzia, ai playground, a quell'ipotetico buzzer beater di gara 7 delle Finals. Penserà a quelli che in NBA non hanno messo piede e a quelli che potevano metterceli entrambi, al time out chiamato ai tempi di Michigan, alla dirigenza dei Magic che in poco tempo gli cambiò la vita per due volte e alla schiacciata su Charles Barkley. Pensando ai litigi con Don Nelson si accorgerà che di tempo ne è passato ma è meglio non ricordarseli quindi tanto vale pensare al soprannome di "Fab" e ai 27.1 punti di media della stagione 2000/2001.
In campo in quel momento potrebbe esserci uno tra Kobe o Shaq ed allora non saranno dei bei ricordi. Ma è in quel momento che i suoi occhi prenderanno fuoco e così Don Nelson lo ributterà in campo.
Ed allora, su, in piedi, via la tuta e ritorno sul parquet.
Non chiedetegli però di caricarsi la squadra sulle spalle. Le ginocchia non reggerebbero.