Pau Gasol e Damon Stoudamire sono già ex Grizzlies, Mike Miller potrebbe essere il prossimo.
Se non vinci, nella Nba, meglio non perderci troppo tempo e ricostruire subito, dicono. Siamo nell'era della free agency, del salary cap, a volte le manovre per far quadrare i conti contano più delle vittorie, a volte l'attenzione generata da chi-potrebbe-andare-dove è persino superiore di qualche noiosa esibizione di regular season priva di implicazioni playoffs, e spesso si attende la fatidica trade deadline per cercare il colpo grosso e sentire, per l'ultima volta in stagione, quell'aria di spostamento di equilibri atta a garantire una varietà di cui troppo sovente, oramai, si comincia a sentire la mancanza, manco fosse acqua nel deserto.
Se non si vince, dicevamo, via tutto, si rifonda e si ricostruisce, via libera a linee sempre più verdi, si punta tutto sui giocatori più giovani a roster, quelli con i maggiori margini di miglioramento, via tutte le superstars ed i loro soldoni: il repulisti ha recentemente toccato varie sponde delle regioni che compongono la Nba, Philadelphia si è sbarazzata di Allen Iverson; Kevin Garnett e Ray Allen si sono trasferiti a casa di Double P; Jason Kidd (chiaro, se Devean George darà il benestare) ha finalmente ottenuto l'estradizione dal New Jersey; il ricordo di Shaq a Miami con il fucile ad acqua è, appunto, un ricordo, e Memphis ha ceduto la sua stella più luminosa, Pau Gasol, mandandolo alla corte di Kobe Bryant in cambio di poco o nulla.
Parlando per un secondo di fantasy basket, diverse trades ipotizzate di recente non sono andate in porto, peraltro sempre per lo stesso motivo: la contropartita.
Dovendo cedere una star, nessuna franchigia accettava in cambio meno di un'altra star, arrivando a chiamare in causa nomi che facevano spesso ritirare la controparte coinvolta, ponendo dunque un brusco freno alle trattative fino alla resa definitiva, il solito nulla di fatto dopo tanto rumore.
Un anno fa, proprio di questi tempi, era stata proprio Memphis a voler insistere nel valorizzare al massimo la propria ala grande titolare, un All-Star che pur senza mai vincere una serie di playoffs in carriera qualche equilibrio era in grado di spostarlo, bloccando di fatto tutti i disperati tentativi dei Chicago Bulls di dotare il proprio roster del pezzo mancante per la scalata ad Est, dovendosi i Bulls stessi arrendere all'idea di far partire in direzione opposta una coppia assortita tra Ben Gordon, Luol Deng ed Andres Nocioni, privandosi così di un nucleo troppo importante e soprattutto troppo giovane per essere disperso per un solo giocatore.
Ecco quindi spiegate le ire di Gregg Popovic, uno che non le manda certo a dire, il primo a mostrare pubblicamente il proprio disappunto per l'operazione che ha trasferito Gasol ai Lakers aggiungendo una pretendente alla già folta concorrenza del vecchio west, seccato al punto di ipotizzare la costituzione di un comitato chiamato a valutare l'equilibrio di ogni scambio proposto in futuro.
Ecco spiegati i (soliti italiani?) accostamenti tra Jerry West, la fine del suo incarico quinquennale da general manager ai Grizzlies ed il ritorno a Los Angeles con incarichi meno impegnativi, proprio come il suo modo di essere e di vivere, riservato e solitario ai limiti dell'accettabile, richiede, con la precisazione doverosa (per evitare ulteriori chiacchere dei quotidiani) che ogni mossa relativa all'operazione era stata condotta esclusivamente dal beneamato Mitch Kupchak.
Di certo, Kwame Brown, la peggior prima scelta di ogni epoca, Javaris Crittenton, combo guard alle prime armi, Aaron McKie, un ex giocatore, ed i diritti di scelta di primo giro 2008 e 2010 (entrambi protetti) assieme a quelli di Marc Gasol è materiale che impallidisce, se accostato a quanto Memphis aveva chiesto ai Bulls poco tempo fa creando una telenovela che aveva persino inviso Pau al proprio pubblico.
Tuttavia, l'affaire Gasol non è l'inizio dell'operazione smantellamento voluta nella città del blues ma ne è la semplice prosecuzione, addirittura potrebbe non ne rappresentarne la fine.
Se difatti, dopo trattative durate settimane, Damon Stoudamire aveva lasciato la baracca negoziando l'uscita dal contratto per andare in una squadra in grado di lottare per il titolo approdando in seguito agli Spurs, e Stromile Swift, atletone con la dote della discontinuità che aveva stufato la dirigenza per la seconda volta in carriera, era stato spedito nel New Jersey (altra squadra che aveva chiesto Gasol) in cambio del veterano Jason Collins, avevano in precedenza tenuto vivo il telefono del front office, è necessario prepararsi ad ulteriori movimenti di mercato da parte del GM Chris Wallace.
Ora si guarda al futuro, ed entro il 21 febbraio potrebbero esserci altre transazioni aventi per scopo lo stesso soggetto dell'operazione sull'asse Memphis-L.A., ovvero scaricare i Grizzlies di contratti lunghi ed onerosi (quello di Pau sarebbe scaduto fra tre anni) ricevendo in cambio accordi in scadenza (Kwame Brown libererà 9 milioni a fine anno) e scelte future, fattore che più degli altri è solito determinare a posteriori il successo o meno di una trade di tali proporzioni.
L'indiziato principale è Mike Miller, rimasto il solo veterano di valore in mezzo ad un gruppo di giovani da valutare da qui a fine stagione, giovani che avranno logicamente bisogno del massimo spazio per mostrare a coach Iavaroni il loro potenziale in ottica futura al fine di guadagnarsi un posto nei Grizzlies del futuro.
L'ala ha due anni rimanenti nel suo attuale accordo, può accettare l'idea di rimanere a fare da chioccia alla gioventù rinunciando a pensieri da titolo per qualche anno, oppure andarsene quest'anno o quello venturo facendo contenta una contender che cerca punti dal perimetro. Per Miller, nome caldo anche in passato, si era parlato di Los Angeles Clippers (sarebbe arrivato Corey Maggette) e di Utah Jazz (prima che Kyle Korver vi approdasse) mentre ad oggi l'ex Gator potrebbe essere indirizzato a Miami, bisognosa di un tiratore esterno, la quale in cambio darebbe il contratto in scadenza di Ricky Davis regalando a Memphis altri 6.8 milioni di dollari liberi a fine stagione, oppure a Cleveland, alla perenne ricerca della spalla ideale per Re LeBron.
L'arrivo di Crittenton, il ritorno di Mike Conley dall'infortunio alle costole e la presenza di Juan Carlos Navarro hanno girato l'attenzione su Kyle Lowry, considerata l'abbondanza di guardie bisognose di minuti da esposizione: il 22enne al secondo anno tra i pro potrebbe essere un altro partente, vista l'impossibilità apparente di trovare un minutaggio soddisfacente per lui e Crittenton assieme, dato che Conley è l'unico del pacchetto che ha il posto in quintetto assicurato e che Navarro dà un contributo molto importante dalla panchina. Qualora Lowry venisse sacrificato, numerose fonti ritengono che i 76ers (il giocatore è di Philadelphia) sarebbero pronti a scommettere sul suo talento.
Il criticato Chris Wallace, succeduto a West nelle cariche manageriali dei Grizzlies, ha cercato di spiegare in quale direzione si stia muovendo la franchigia, partendo dal presupposto che la presente stagione e qualcuna delle prossime saranno di cosiddetta transizione, e smentendo le voci che volevano Memphis sgonfia di accordi eccessivamente onerosi al fine di agevolarne il passaggio di proprietà , rivelatosi solamente un rumor da tabloid indegno di qualsiasi nota assolutamente smentito dall'owner Michael Heisley.
"Mi ritengo una persona realista" dice Wallace "non vedo come la situazione sarebbe potuta migliorare nelle prossime settimane qualora non ci fossimo mossi sul mercato. Mi ritengo una persona realista e sono il primo a sapere che siamo una squadra con 13 vittorie all'attivo, è inutile prendersi in giro. In una situazione del genere qualcosa andava fatto, bisognava tagliare i ponti con il passato e cominciare un nuovo corso. Ho cambiato mentalità riguardo questo argomento."
Parole che tendono a trovare una giustificazione per le proprie azioni e per le proprie marce indietro, perchè Wallace era da sempre in prima fila quando si trattava di far sapere alle franchigie interessate che Gasol non sarebbe mai stato ceduto per una manciata di accordi in scadenza, ma solo per talento pari al suo valore. Ora sembra invece aver compreso, alla luce degli scarsi risultati ottenuti dai Grizzlies, che il processo di ringiovanimento di un roster ed il mantenimento contemporaneo di un contesto vincente sono una strada molto difficile da percorrere.
Le sue decisioni gestionali nella trade di Gasol, nonché negli ipotetici movimenti che potrebbero aver luogo nei prossimi cinque-sei giorni, rendono i Grizzlies più che aggressivi nella corsa ai free agents più ambiti della prossima offseason, che potrebbe avere in vista all-stars del calibro di Iverson, Marion, Brand, Arenas e Jermaine O'Neal, chi senza restrizioni, chi con la possibilità di uscire dall'attuale accordo.
Ipotizzando la firma di uno di tali altisonanti nomi ed abbinandoli con la sperata crescita tecnica dei diversi giovani che compongono l'attuale roster, i Grizzlies potrebbero tornare ad essere da competizione nel giro di un paio d'anni con l'univoca missione di fare strada nei playoffs, ottemperando a quella mancanza di cui la franchigia ha sofferto dal 2004 al 2006 (tre qualificazioni in fila per la postseason, nessuna vittoria in dodici partite disputate), trovandosi legittimati a pensare di poter provare l'assalto al titolo per diversi anni, considerando i 21 anni di Rudy Gay, i 23 di Darko Milicic, i 20 di Mike Conley ed il rifiorire di Hakim Warrick, già ottimo sostituto di Gasol durante l'infortunio di questi all'inizio dell'anno passato e capace di raddoppiare la media punti grazie al vuoto lasciato nel suo ruolo dalla partenza dello stesso catalano, senza contare l'intrigante potenziale Nba del fratello minore di Pau, Marc.
A conti fatti, ma parliamo pur sempre di scarabocchi scritti su carta da formaggio, il futuro sembrerebbe quantomeno roseo, e gli intendimenti dei movimenti di Chris Wallace sembrerebbero ampiamente giustificati, non fosse che i Grizzlies giocano in una città di stretto mercato espositivo, sono una squadra poco magnetica, priva di tradizioni vincenti, rischiando dunque di non riuscire ad attrarre tutti i nomi di caratura che si renderanno liberi nei prossimi mesi.
Se così fosse, pure con tutti i buoni motivi e le logiche del caso, sarà davvero difficile rendere conto di uno degli scambi meno equilibrati che la storia della Nba ricordi.