Felton sembra essere perplesso in merito a futuri miglioramenti di Charlotte
La stagione delle "linci" del North Carolina non è proprio come i fan se l'erano immaginata, o meglio, come i dirigenti avevano assicurato sarebbe stata.
Il quarto anno dei bobcats, fondati a furor di popolo per riempire il vuoto lasciato dagli hornets di Geroge Shinn, era stato programmato per essere quello della svolta. Dopo tre stagioni passate a capire come e dove mettere le mani, a studiare le mosse dei colleghi più esperti, a capire di chi si poteva fidare e su chi fare affidamento, Robert L. Johnson, primo proprietario di colore nella storia dello sport americano, ha deciso che per la sua franchigia, terminato il "tirocinio", era arrivato il momento di scalare un po' di posizione nel ranking.
Il fondatore della Black Entertainment Television ha messo mani al portafoglio per assicurarsi innanzitutto di essere circondato da gente competente, e poi per investire, confidando nei suggerimenti dei suoi consiglieri. L'idea di cambiare marcia, di puntare a recitare un ruolo più importante nella lega e non più quello di squadra "cuscinetto", non è nata dal nulla, ma dalla mente di un uomo che di vittorie ne sa abbastanza. Si tratta di un signore di nome Michael Jordan.
Se fosse stato per Johnson probabilmente la fase di apprendistato avrebbe potuto proseguire ancora qualche anno, e forse nessuno avrebbe avuto niente in contrario. Ma da quando l'ex Chicago Bulls è il braccio destro del proprietario, dopo essere diventato il secondo azionista del club(dall'estate 2006), la storia è un po' cambiata. Da vincente come è sempre stato non ci ha messo molto a convincere anche gli altri che la cosa più importante non è partecipare, ma vincere.
L'estate dei cambiamenti
Il primo indizio di un imminente cambiamento è stato raccolto a marzo, quando su indicazione del neo-dirigente, è stato deciso di lasciar scadere il contratto a Bernie Bickerstaff, offrendo la possibilità al primo allenatore nella storia dei bobcats di rimanere nell'ambiente con un altro incarico.
Alla fine della regular season è stato presentato il nuovo coach, Sam Vincent, alla prima esperienza come capo allenatore, dopo essersi fatto le ossa a Dallas, scelto da una lista di candidati che prevedeva altri nomi importanti come Stan Van Gundy e Mike Fratello.
La presentazione del nuovo tecnico è stato solo un assaggio, prima che nel giro di una settimana quasi tutti i principali incarichi dirigenziali e tecnici venissero riassegnati. La nomina di Rod Higgins come GM, lo stesso ruolo che aveva ricoperto anche a Golden State, è stata seguita da quelle di Phil Ford e Lee Rose, chiamati a far parte dello staff di supporto a Vincent e da quella di Buzz Peterson che ha lasciato la panchina della Coastal Carolina University.
Il rinnovamento del personale ha permesso l'arrivo di nuove idee che hanno dato vita ad un piano di sviluppo diverso dal precedente. Se fin dall'inizio si era pensato di crescere progressivamente puntando sui giovani, quindi su scelte alte al draft, la necessità di ottenere dei risultati immediati ha costretto Charlotte ad abbandonare la strategia che l'aveva contraddistinta.
Nei primi tre draft della loro storia i bobcats hanno pescato Okafor(seconda scelta), Felton–May(quinta e tredicesima) e Morrison(terza), anche se il miglior affare, almeno così dice il campo, è stato fatto, sì, nel 2004, ma non attraverso il draft. Infatti Gerald Wallace, terzo anno inutilizzato ai kings, era stato comprato per poco, ma a Charlotte avrebbe trovato molto più spazio proprio grazie al progetto giovani.
Quest'anno invece l'ottava scelta(Brandon Wright) è state ceduta ai Warriors, bisognosi di qualche uomo d'area, in cambio di un giocatore già affermato, Jason Richardson. In verità le abitudini sono dure a morire e assieme al prodotto di Michigan State è arrivato un'altra new entry nella lega, il 6-10 Davidson, recentemente mandato ai Sioux Falls, la squadra di D-League affiliata anche alle "linci".
Forti della convinzione di aver sistemato del tutto la "rosa" grazie al colpo di mercato, i bobcats, con un pizzico di presunzione, hanno cominciato a convincersi e a convincere la città , in primis, e tutti gli appassionati di basket che da quest'anno sarebbe stata un'altra musica. L'ultima arrivata non sarebbe più stata l'anello debole dello southeast division, anzi, avrebbe con molta probabilità raggiunto i playoff.
Ed invece non si rendevano conto che quei toni trionfalistici, ancor prima di aver cominciato, non avrebbero fatto altro che illudere i tifosi ed alimentare troppe aspettative, specialmente se a doverle reggere c'è un gruppo giovane ed un allenatore esordiente.
Senza troppi proclami durante la pre-season la stagione della squadra sarebbe passata inosservata, in linea con quello fatto negli anni passati. Ma la foga di farsi vedere, di attirare le attenzioni di stampa e pubblico ha avuto la meglio. Ora, però, si trovano a dover fronteggiare le critiche dei giornalisti, ma soprattutto la delusione dei tifosi.
Cosa è successo
L'inizio del campionato, accompagnato dalla grande euforia dei sostenitori, è stato il migliore di sempre. Le due vittorie di fila(vs Milwaukee e at Miami) dei primi di novembre sono state coerenti con quanto promesso durante l'estate, e specialmente la vittoria in florida poteva essere interpretata come l'inizio dei "fatti" che in genere dovrebbero seguire alle parole.
Invece è successo quello che nessuno, a partire dai dirigenti, si era immaginato. Il mese di novembre si è concluso con 6 vittorie e 8 sconfitte, quello di dicembre con 5 vittorie e 10 sconfitte per un totale di 11W e 18L alla fine dell'anno.
I buoni propositi che si fanno a capodanno non hanno portato alcun frutto così anche il 2008 è ripartito senza alcune segno di discontinuità . Nel nuovo anno 7 vittorie e altre 10 sconfitte che portano il record ad un pessimo 39,1%(28-18 al 31/1) che garantisce alla squadra del North Carolina solo la decima posizione nella Eastern Conference, peraltro condivisa con i sixers.
Nonostante la bassa qualità delle franchigie dell'est, i ragazzi guidati da Vincent non sono ancora riusciti ad agganciare almeno l'ultima piazza disponibile. L'obiettivo playoff è ancora alla loro portata, ma se si pensa che dalle prime due vittorie il record ha continuato a scendere mese dopo mese è difficile pensare ad un finale felice.
Se poi si dà un'occhiata al calendario c'è da aver paura. La sorte ha voluto che la seconda metà di regular season sia un viaggio continuo se si pensa che dovranno visitare ben 25 campi. E fino ad ora i bobcats hanno dimostrato di non gradire particolarmente le gite fuori porta. 4-14 il record in trasferta.
Come se non bastasse, la maggior parte delle sfacchinate da una parte all'altra dell'america saranno prevalentemente ad ovest. Oltre a creare un po' di preoccupazione, questa situazione avvicina sempre di più la stagione ad una pesante bocciatura. Infatti, davanti al proprio pubblico il bilancio è di 14 vittorie e 14 sconfitte.
Di chi è la colpa
Fino a quanto può sopportare un allenatore ve lo può tranquillamente spiegare Sam Vincent che dopo mesi di silenzi, in cui ha prevalso il buon viso alla cattiva sorte, ha deciso di sputare il rospo. "E' stata una sconfitta molto deludente - spiega visibilmente irritato il coach dopo l'ennesima brutta figura(contro Philadelphia) - Sono stato in piedi a gridare verso tutta la squadra per motivare i ragazzi. Ma ho bisogno di vedere lo stesso sforzo dai chi è in campo. Tutto lo staff fa di tutto per vincere, ma i ragazzi devono fare ancora di più. Ci dev'essere intensità , abbiamo bisogno di tirare fuori il cuore. Ci serve quello per vincere".
Non è mica un problema da poco quello sollevato dall'allenatore dopo una sconfitta evitabilissima, resa ancora più pesante dall'aver lasciato la vittoria ad un'avversaria diretta. E' logico che i giocatori dicano il contrario e l "insurrezione" di Richardson("o non dirò mai che qualcuno in questo team non ha passione, non capisco da dove venga quella frustrazione(di Vincent)") lo conferma, ma in ogni partita dei Bobcats si riscontra lo stesso grande limite.
Magari non per 48 minuti, ma per gran parte del match la squadra vaga per il campo senza convinzione, senza trovare gli stimoli giusti, ed è difficile, se non ti chiami Boston, rientrare in partita quando vieni affossato fino al -20 o -30. Dopo sì che diventa dura trovare le motivazioni per impegnarsi.
Questa grave mancanza è probabilmente la conseguenza diretta del limite più evidente, l'incapacità di giocare di squadra che trasforma gli schemi di Sam Vincent in anarchia. I frequenti blackout che colpiscono a turno(ma spesso anche in contemporanea..) tutti i giocatori, rendono il gioco così confuso che sembra una squadre da campetto, assemblata tirando a sorte e di conseguenza senza alcuna speranza di intuire la mossa del compagno. Ed è così che ognuno gioca per sé, per le statistiche per la gloria personale.
"Appena cominci a giocare individualmente, non potrai fare niente di buono - spiega [b[Michael Jordan - Ho detto (ai ragazzi) che in questo team non ci sono all-stars, questo vuole dire che ognuno deve fidarsi degli altri per arrivare al successo. E' fondamentale che capiscano che bisogna giocare uniti".
Il primo a salire sul banco degli imputati è stato Raymond Felton, incapace di dettare i ritmi, di far girare la palla e di assumere la necessaria autorità in campo. Il compito del play è anche quello di essere un punto di riferimento per i compagni, la palla parte dalle sue mani ed è lì che deve tornare se la manovra s'inceppa.
Ma il 6-1 non è stato in grado di condurre come altri giovani play(Williams a Utah e Paul a New Orleans) stanno facendo già da un po'. "Sta per finire il terzo anno e dovrebbe cominciare a dimostrare più convinzione nelle sue giocate. Meno palle perse e più leadership, questo è quello che vogliamo per evitare troppi alti e bassi - così Jordan cerca di spronare lo starter - Capita spesso che perda tre palle di fila senza che la squadra arrivi al tiro ed ancora adesso capita di frequente".
Il problema, forse, è proprio la concorrenza dei baby fenomeni che stanno facendo sognare i jazz e gli Hornets. Così Felton si sente in dovere di ricambiare la fiducia del team e la pressione gioca brutti scherzi. "Ancora oggi si dice «devo fare da solo», ma non è quello che ci aspettiamo da lui - prosegue Jordan - ci sono situazioni in cui può anche farlo, ma c'è bisogno di undici giocatori, non di uno solo".
Anche gli altri tre titolari inamovibili hanno delle grosse responsabilità . Emeka Okafor, il centro che era stato disegnato come il futuro leader della squadra, non ha saputo progredire e viaggia sugli stelli livelli dell'esordio tra i pro(13,4 pt, 10,4rimb, 1,8blk). Non è mai andato, in tutta la sua carriera, sotto la doppia-doppia di media e questo gli va riconosciuto, ma non è riuscito a diventare il centro dominante che tutti si aspettavano.
A dicembre è stato chiamato Olajuwon, nigeriano come le origini del prodotto di Connecticut, per qualche seduta di allenamento "personalizzata", per perfezionare la tecnica e rendere più fluidi i movimenti, così da renderlo più pericoloso nella metà campo offensiva.
"Dobbiamo cercare di renderlo una minaccia (per gli avversari)" cerca di spiegare sempre Jordan. E il motivo è semplice. L'unica soluzione offensiva dei bobcats è l'improvvisazione degli esterni che generalmente coincide con un tiro da oltre l'arco o con un tiro in sospensione, spesso fuori equilibrio. Giocando sempre così le difese si adattano e tutto diventa più complicato, per questo è fondamentale avere un'alternativa ed Okafor, potenzialmente lo è.
Ma il 2,08 ci ha messo del suo, ha remato contro fin dalla preseason quando si è rifiutato di firmare il rinnovo di contratto(a differenza di Wallace e Carroll). Apparentemente la causa di questa mancato punto d'incontro è la differenza notevole tra la domanda e l'offerta, ma dietro c'è sicuramente di più. Probabilmente non tanto l'insoddisfazione per i programmi della società , che in settembre puntava in alto, quanto un problema di convivenza con alcuni componenti dello staff.
Così finirà per essere un restricted free agent. "Vogliamo cercare di firmare un contratto a lungo termine - spiega il GM Higgins - Emeka ha una grande importanza per noi e per il nostro successo. Il suo rendimento sarà quello che determinerà il tipo di contratto che gli proporremo".
Anche i due trascinatori della squadra non sono esenti da rimproveri. Gerald Wallace, sempre più uomo-franchigia fa parte della ristretta cerchia di campioni, in compagnia di Bryant, Lebron e Butler, che segnano venti punti(o più), che catturano sei rimbalzi(o più), che distribuiscono tre assist(o più) e che rubano due o più palloni a sera.
Le statistiche sono meravigliose, ma parliamo pur sempre di statistiche.
Lo stesso vale per Jason Richardson(20,1 pt, 5,4 rimb, 3,1 ast, 1,1 stl), che dopo un inizio molto sottotono("non volevo pestare i piedi a nessuno" dice lui quando gli si fa notare la poca intraprendenza dei primi due mesi) ha ripreso a marciare come nell'ultima cavalcata verso i playoff quando ancora era di casa ad Oakland.
Se sommiamo i loro dati vengono fuori cifre impressionanti, peccato che non abbiano un riscontro nella realtà . In pratica loro giocano bene, ma la squadra perde. Sebbene [b[J-Rich continui a sostenere di aver perdonato Golden State dopo l'improvviso divorzio("Non c'è rancore, ho apprezzato tutto quello che hanno fatto per me" ) sicuramente dentro di lui c'è un desiderio enorme di rivincita che viene soddisfatto solo con prestazioni individuali altisonanti. Solo così può sperare di diventare un rimpianto per Don Nelson, ma se da un lato soddisfa il suo ego dall'altro nuoce al gruppo.
Il messaggio della società è chiaro e viene ancora una volta dalle parole di Michael: "Non li paghiamo perché segnino 30 punti a gara, ma perché ce ne facciano vincere". Come dargli torto?
Sebbene Sam Vincent finisca sempre per diventare la vittima della situazione. E' accaduto spesso che esplicitamente, o non, abbia cercato di raccontare alla stampa la difficoltà a gestire un gruppo di individualisti. Ma il coach all'esordio ha le sue responsabilità .
Fin dall'inizio non ha saputo creare la giusta atmosfera nello spogliatoio, esaltando i propri giocatori nei momenti(pochi..) di gloria, ma criticandoli anche pubblicamente (vedi l'accusa di aver fatto "le ore piccole" prima della gara vs Toronto), nei periodi di difficoltà . Da qui deriva un rapporto molto freddo e distaccato che ora non gli consente di trasmettere ai ragazzi le proprie idee. La convivenza non è a rischio, ma un clima più disteso sarebbe l'ideale per ricominciare da capo.
Per finire l'analisi di ciò che non è andato e continua a non andare si deve dare un'occhiata anche al injury report. Dall'estate la squadra ha dovuto fare a meno di Adam Morrison e Sean May, il primo è stato sotto i ferri in novembre per la ricostruzione del legamento crociato anteriore, mentre il compagno di Felton al college ha dovuto rassegnarsi all'operazione di riduzione di una microfrattura al ginocchio destro.
Per entrambi stagione finita senza alcuna possibilità di rientro. Non saranno due stelle affermate, ma sicuramente due riserve molto utili e soprattutto giovani, quindi con buoni margini di miglioramento che avrebbero fatto molto comodo a Vincent.
Futuro prossimo
Per far capire ai giocatori i propri errori è dovuto intervenire Jordan. A dicembre e a gennaio lo si è visto tornare sul parquet per fare un paio di allenamenti con i "suoi" giocatori, ma la cura dell'ex 23 è stata utile solo in parte. L'effetto-Jordan è durato in entrambi i casi solo due partite. Giusto il tempo di vincere un paio di match e i bobcats sono subito tornati alla "normalità ".
Rod Higgins si è trovato nella scomoda situazione di dover ammettere i propri errori nella costruzione della squadra, mettendo in piedi la trade che ha portato Mohammed a Charlotte, Hermann ed il centro croato Brezec a Detroit. L'impatto del centro trentenne è stato positivo sia sul campo che nello spogliatoio, dove può ricoprire un ruolo importante per l'unità di squadra.
L'ultimo intervento è stato nel reparto esterni, con l'arrivo del free agent Earl Boykins, reduce dalla miglior stagione a Milwaukee. Il secondo giocatore più basso di sempre(5-3), e l'unico tra i piccoletti ad oltrepassare più volte il muro dei trenta punti è stato ingaggiato fino a fine stagione. "Ci darà più profondità e più leadership - spiega il GM - ci sono state alcune partite nelle quali, causa infortuni, Wallace è partito come point guard. Vogliamo cercare di essere completi in ogni reparto".
In un'ipotetico raggiungimento dei playoff di sicuro il merito non andrebbe ai due veterani, ma sicuramente la loro esperienza nella lega servirà molto per crcare di limare tutti i difetti che i bobcats si stanno trascinando dietro da novembre.
Dopo tre mesi è arrivato il momento di diventare una squadra, o non c'è mercato che tenga..