A caccia del mito

I Celtics '08 come i Bulls '96 ?

La prima cosa che ho pensato quando si è conclusa la regular season 2006-07, con i malmessi irlandesi attestati al penultimo posto assoluto, non è stato qualcosa di particolarmente positivo circa l'operato del GM Danny Ainge, lo confesso.

Non sono mai stato un ammiratore del Mormone da quando ha assunto le redini della franchigia biancoverde, troppe volte non ho capito, troppe volte non ho condiviso la sua strategia e il suo operato. Mi pareva senza capo ne coda, mi pareva cadere in continue contraddizioni.

E quando l'ennesima deludente stagione si è conclusa col bilancio di 24 vinte e 58 perse, la vista di un gruppo così demotivato, incapace di vincere ma capace di finire in sospetto "tanking" (la pratica infamante che consiste nel perdere appositamente partite di regular season per ottenere una posizione più vantaggiosa nella lotteria del successivo Draft) mi ha davvero gettato nello sconforto.

Ma come, ho pensato, la franchigia più titolata dell'intera NBA ridotta alla meschinità  di un volgarissimo tanking?
Dopo aver perso per vent'anni, hanno cercato di perdere addirittura di più, allo scopo di procacciarsi qualche dubbia possibilità  di ricostruzione, attraverso la scelta di qualche giovane di belle speranze e poche certezze?

Chi ha vissuto come me l'ultima era gloriosa della pallacanestro bostoniana, quella diretta da Red Auerbach, quella in cui i Celtics erano di casa alle finali per il titolo, sa di cosa parlo.

Ma ricordate le sfide leggendarie degli anni '80 tra i biancoverdi, capitanati da "Larry Legend", e gli odiati lacustri di Los Angeles, guidati da Magic e Jabbar, dove il duello tra la funambolica stella dei Lakers e il glaciale idolo del Boston Garden era sempre al calor bianco?

Ricordo di aver vissuto ante litteram il concetto di "notte bianca", dove a restare aperti non erano gli esercizi commerciali e i locali ma i miei occhi, spalancati per la verità , davanti al televisore sintonizzato su Telecapodistria (Koper), il canale che mostrava ai cestomani italiani le gesta che il Direttore Aldo Giordani rendeva loro note dalle pagine di Superbasket.

Larry contro Magic o Olajuwon, McHale e Parish a rimbalzo e il Celtics' Pride… che tempi… e patatine, e coca cola, e un gruppetto 15-16enni sprofondati nel megadivano con l'adrenalina a mille a dispetto delle ore piccole, anzi piccolissime, attirati, anzi calamitati, dalla sapiente telecronaca di Dan Peterson.

E per qualche momento l'Italia era più lontana e il Boston Garden più vicino, molto più vicino…

Correva l'anno 1986 e quell'anello è stato l'ultima perla, l'ultimo momento di gioia ed orgoglio per ogni tifoso dei Celtics e così pure per me. Dopo di allora solo lacrime amare.

Lacrime di tifoso ovviamente, che lasciano il tempo che trovano in un mondo che ragioni per versare lacrime ne offre purtroppo di molto più serie, ma pur sempre amare.

Dapprima per la morte di Len Bias, stroncato da una dose di troppo, assunta forse per festeggiare la prima chiamata assoluta al Draft… bella festa davvero Len…

Mi è capitato da poco sotto gli occhi un mix con le sue gesta e vi assicuro che questo qui era decisamente materiale da piani alti, anzi da attico, al livello di His Airness Michael Jordan, sia per atletismo che per bagaglio tecnico.

E siccome spesso piove sul bagnato, ecco la seconda tegola sui biancoverdi, la morte di Reggie Lewis, potente ala, alla Pierce per intenderci, con tanto talento ma col cuore debole e minato. Un infarto causa la sua morte e sancisce l'avvento del Medioevo biancoverde.

Tanta la gente arrivata a Boston in quegli anni "per riportare in alto i Celtics"; per lo più mezzi giocatori, capaci solo di trascinarli sempre più giù. E gente inguardabile che nessun GM con un briciolo di sale in zucca e un barlume di dignità  avrebbe preso.

Alaa Abdelnaby, il primo egiziano in NBA, Eric Montross, centro bianco da North Carolina, alto alto e lento lento, che non faceva reparto neppure come riserva, solo per fare due nomi.

E i tanti giocatori presi e bocciati da un front office quasi mai all'altezza ; alcuni di questi sono divenuti stelle di prima grandezza o giocatori comunque importanti : Chauncey Billups, Joe Johnson, Bruce Bowen e Ben Wallace, giusto per citarne qualcuno.

Ed eccoci ai giorni nostri, al 28-54 appena sfornato e in particolare alla Lottery 2007, da cui Boston, partita con la speranza della scelta numero uno, ricava solamente il diritto alla quinta assoluta, pur potendo vantare (sigh…) il secondo peggior record. Sarà  stata sfortuna?

O magari le palline sono state "pilotate" dalla giustizia divina (che risponde anche al nome di David Stern), che punisce evidentemente le squadre che finiscono la stagione in tanking?

Chiedete cosa ne pensano dalle parti di Memphis… certo è che Oden, scelto per primo, ha preso la strada di Portland e Kevin Durant, scelto alla seconda chiamata, si è accasato a Seattle.

E proprio quando sembra che il fato congiuri ancora una volta contro i biancoverdi, ha inizio la magica cavalcata estiva che ci porta direttamente a queste righe. Ainge rinuncia alla quinta scelta, che cede a Seattle assieme a West e Sczerbiak per avere in cambio nientemeno che Ray Allen.

Primo pensiero: ma "Candyman" (o "He got game" se preferite, tanto risponde sempre lui) è avanti con gli anni e non è che con Pierce ci portino ai playoffs da soli… La prima impressione è che la mossa non abbia senso perchè pur non risolvendo nulla, contravviene alla scelta strombazzata fino alla nausea di sposare la linea verde.

Ora che cosa c'entra il più famoso degli Allen dopo Woody alla corte di Rivers a Boston? L'ennesima contraddizione è servita ! Polemica !… Polemica !!!

Lo so ragazzi, avevo detto "primo pensiero", e invece ho partorito una invettiva in piena regola. Credo però che renda il mio pensiero di allora abbastanza bene.

Passano quasi due mesi e la calda estate del 2007 è al culmine quando Danny Ainge convince Kevin "the Revolution" Garnett a tentare la sorte al tavolo verde del T.D. Banknorth per la stagione 2007-08.

E qui cambia tutto!
Ainge ha gettato la maschera: via il cartello "Per vincere domani", che ricorda vagamente quel film col ragazzino karateka che dà  la cera e toglie la cera e vince le finali di karate dopo aver preso schiaffi per tutto il film, ed ecco il cartello "Stiamo lavorando per voi", che pare già  di essere nel cantiere della nuova squadra che cambia volto così repentinamente da perdersi nei meandri degli scambi.

Di fatto acquisisce Scott Pollard, James Posey e Eddie House dal mercato dei free agent, spedisce mezzo liceo bostoniano a Minnesota, tenendo però a Boston Rajon Rondo, Kendrick Perkins e il rookie Glen "Baby Shaq" Davis, lungo di peso (eccessivo) ma con piedi veloci e mani educatissime, oltre naturalmente al meno famoso degli Allen, quel Tony che deve la notorietà  più alle sparatorie in cui rimane coinvolto che alle gare giocate.

La partenza va oltre le più rosee previsioni e si capisce subito che si tratta di un "gruppo in missione": al momento Boston veleggia su un 33-6 assolutamente eccezionale e fino alla settimana scorsa contava tre sconfitte di meno ed era potenzialmente in grado di insidiare quel 38-3 che valse il record ai Bulls del secondo threepeat, per intenderci quello con Harper, Kukoc Longley e Rodman, che concluse la prima stagione sul 72-10.

Gruppo in missione, dicevamo, composto da giocatori dal grande talento che mai prima d'ora hanno vinto un titolo e quindi la spinta motivazionale potrebbe contare parecchio nel corso della stagione e dei playoffs.

Tre grandi stelle nei ruoli esterni con un giovane ma talentuoso play e con un centro non certo di primissima scelta ma che quando vuole (e qui sta il punto…) il suo lavoro sa farlo e bene, seppure senza metterci su la mostarda.

A prima vista il paragone tra quei Bulls del 95/96 e questi Celtics 07/08 potrebbe pure starci: entrambe sono squadre al primo anno insieme, entrambe con la stessa struttura, in cui le stelle occupano gli spot di 2, 3 e 4, entrambe ricche in talento, realizzazione ed energia a rimbalzo.

Solo che in quei Bulls giocava un certo Jordan, unico, irripetibile, e non confrontabile, oltre ad una panchina di grande affidabilità  e soprattutto oltre al fatto che mentre per i Bulls si parla di risultati reali già  ottenuti (tre anelli non sono poco), a questi Celtics, pur con tutti gli scongiuri del caso, viene dato un credito basato su valori potenziali e tutti da confermare sul campo.

Ma proviamo comunque a fare questo gioco di confronti per capire in cosa i Celtics pagano dazio ai Bulls del 1995-96 , la squadra dei record, in cosa li sopravanzano e come potrebbero ulteriormente migliorarsi per raggiungere l'obiettivo designato a chiare lettere da Ainge : la conquista dell'Anello a 22 anni di distanza dall'ultimo.

Il Playmaker

Harper vs Rondo : qui non c'è confronto tra quanto Ron ha fatto in carriera e quanto Rajon è atteso a compiere ma ancora non ha fatto vedere. Rondo sta dimostrando di poter giocare in una squadra come questa ma è ancora troppo giovane e conseguentemente poco continuo nelle prestazioni per essere già  quest'anno un punto di riferimento certo quale un play dovrebbe essere.
Il ragazzo si farà  ma per ora 1 a 0 per i Bulls

La guardia

Michael Jordan vs Ray Allen : troppo ingeneroso il confronto e Allen rischia la figuraccia solo perché l'altro termine di paragone è un Alieno… e anche in questo caso il paragone pende a favore dei Bulls :
2 a 0 ; Ray Allen però è un giocatore di sicura qualità  ed affidabilità  ed è uno che i canestri importanti li sa mettere eccome ; dopotutto è per questo che è venuto ai Celtics no? Non è detto che la minore qualità  assoluta rispetto a MJ si ripercuota in un ruolo meno importante nello scacchiere di Boston, quindi teniamolo d'occhio.

L'Ala Piccola

Pippen vs Pierce : situazione di maggior equilibrio perché Paul si è sempre dimostrato un giocatore franchigia, uno dei pochi rimasti, che è rimasto a Boston anche quando all'aeroporto Logan c'era la fila per fuggire da Beantown. Pippen rimane uno dei più forti giocatori di basket mai apparsi e se non fosse stato la spalla di Air avrebbe forse brillato ancora di più ma lui, da vincente qual è stato sempre, si è "accontentato" di vincere sei titoli assieme al più forte… e scusate se è poco…

L'Ala Forte

Rodman vs Garnett: avete presente quanto detto per il confronto tra MJ e Allen? Ecco, ribaltate pure la situazione a favore di Boston perché l'importanza che il Verme ha avuto in "quei" Bulls è stata enorme, ma la qualità  di Kevin "the Revolution" è qualcosa che noi umani…se ci aggiungete che il ragazzo si sente anche in missione, il punto va a favore di Boston tutta la vita !

Il Centro

Longley vs Perkins: altra situazione di equilibrio. Non spostava il primo e non sposta manco il secondo, però mentre l'australiano ha vinto sapendosi rendere utile e interpretando con intelligenza l'attacco col "Triangolo laterale", il buon Kendrick fatica a trovare una dimensione importante a causa della sua discontinuità  e potrebbe rivelarsi l'anello debole della catena, soprattutto in relazione al ruolo che è atteso a ricoprire. Mai come in questo caso, conviene stare alla finestra e guardare come va a finire.

La Panchina

: essenzialmente Kukoc - Kerr - Wennington - Buechler vs Posey - House - Tony Allen - Davis, con gli altri a far da contorno. Sulla carta si equivalgono perché, se è vero che Kukoc aveva un talento sproporzionato rispetto a tutti gli altri, è anche vero che Kerr aveva un ruolo specialistico importante ma ristretto in termini di minutaggio e la panchina di Chicago mancava di un altro esterno.
House e Posey sono stati presi per essere importanti e potrebbero diventarlo davvero, così come lo è saputo essere Glen Davis nella partita contro Detroit, dove ha di fatto cambiato le carte in tavola. In definitiva pareggio, a patto di non entrare in merito a Pollard o Scalabrine.

Il Coach

Jackson vs Rivers: il primo ha vinto 9 titoli NBA e non ha più nulla da dimostrare a nessuno, il secondo non ha vinto nulla, finora ha fatto benino a Orlando, vincendo il titolo di Coach of the Year nel 2000, ma ha finora parzialmente deluso sulla panchina biancoverde ed è chiamato a dimostrare il suo valore nell'assemblare e gestire al meglio il quintetto e valorizzare la qualità  della panchina.
Di certo questa è la sua occasione e state certi che farà  di tutto per non farsela sfuggire. Nonostante questo, però, voto a favore di "coach Zen" Jackson.

Questo confronto a tutto tondo sembra confermare quello che il campo sta dicendo. Boston fa fatica se i titolari non ci sono e non sono tutti in forma. Manca di un play esperto e alcuni rumors dicono che dopo aver scartato Payton e Travis Best, Ainge abbia concentrato la sua attenzione su "Sam I am" Cassell, già  compagno d'avventure di Garnett a Minnesota e di Allen a Milwaukee e pertanto a loro gradito.

La domanda è : quale contropartita pretenderanno i Clippers per cederlo ? Ma se giungesse con una schiena almeno decente, Boston avrebbe guadagnato un play di prima fascia, esperto, affidabile, talentuoso e carismatico, oltre che un altro giocatore affamato di gloria come lo sono al momento i tre big dei Celtics, che si sforzano di contagiare in questa fame di vittoria tutti i compagni e l'ambiente stesso, che è tornato a respirare aria di trionfi e a farsi pertanto nuovamente esigente e pretenzioso.

Premesso che sul mercato Boston difficilmente potrà  reperire un centro più affidabile di Perkins, la squadra dovrà  cavarsela con lui, Pollard e Davis, e non è detto che non ne esca alla grande nonostante le incognite che circondano questo reparto.

Perciò ai Celtics, già  gravati da 6 sconfitte, probabilmente non riuscirà  la caccia al mito di quei grandissimi Bulls delle 72 vittorie, ma forse centreranno un traguardo molto più importante oggi come oggi e molto prestigioso : l'Anello di campioni NBA dopo 22 anni di sofferenza.
E vi pare forse poco?

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