Miami Crisis

Riley e Wade, in cerca di soluzioni…

"E' passato un anno e mezzo dal titolo NBA dei Miami Heat ma sembrano secoli""

Parole che tutti noi, appassionati di basket, abbiamo sentito dire da qualche parte almeno una volta negli ultimi tempi. Pensiero banale ma tremendamente tangibile per le vicende e le sconfitte che accompagnano la tremenda stagione targata Miami.

Già , è passato poco tempo da quando uno strepitoso e commovente Dwayne Wade ha trascinato la propria squadra alla conquista di un titolo tra i più sorprendenti dell'ultimo decennio. Lui, il suo talento ed un'orchestra esperta (O'Neal, Posey, Walker") guidata da uno dei maestri più bravi (Riley). Tutta gente che quel giugno 2006, ha buttato il cuore oltre 4/5 ostacoli, tutta gente che adesso non sa neanche dove sia, il cuore.

HEATless

Raccontare la stagione finora trascorsa è un impresa. Decifrarne i significati ancora di più vista la ordinaria frequenza della consonante che precede il loro risultato. La L, che in italiano ha la poco dolce traduzione in sconfitta anche se il plurale è di più corretto uso. Sconfitte che fanno sollevare un preciso interrogativo che si scinde in due possibili risoluzioni; Tirare i remi in barca e focalizzare l'occhio per nuovi orizzonti temporali (draft 2008) o cercare delle soluzioni tampone (mercato fino al 21 febbraio) che siano in grado di rilanciare in breve tempo le sorti di una stagione che sembra aver dato già  la propria fallimentare sentenza?

Parlavamo delle L. 28, fino ad adesso con la partita di Atlanta (persa, of course") rimessa in palio grazie alla segnalazione errata riguardo al sesto fallo di Shaq.

Tra tutte queste, il match che psicologicamente ha ucciso quelle seppur timide speranze di ripresa degli Heat, ha avuto sceneggiatura a Miami di fronte ad un avversario ostico, gli Orlando Magic di Dwight Howard il 28 dicembre 2007. Solito modesto film, con un grande attore (Wade) e qualche buon comprimario (Haslem, Wright) ma ancor più solito, noioso e brutto finale. La sconfitta.

Wade era stremato alla fine del match dove ne ha pennellati 48 con 11 assist. La partita che doveva essere della svolta non è stata altro che una delle tante amare tappe verso il fondo del ranking dell'East. Da li in poi, Miami ha perso la sua già  sbiadita identità . Il grande attore si è defilato preferendo vestire i panni di una " special guest star", mentre O'Neal e Wright si sono dovuti arrendere alla sfortuna e ai loro rispettivi infortuni.

"Wade ne fa 48 e non basta."
E' solo uno dei tanti concetti che non riescono ad atterrare sulla stretta pista delle spiegazioni. Un altro aspetto più tecnico di poco chiara interpretazione riguarda l'esecuzione di squadra. Miami produce 93.7 punti a partita (28^) pur avendo l'8° miglior attacco per percentuale nella lega. In 20 delle 37 partite, finora disputate, gli Heat han tirato meglio (o con le stesse percentuali) dei propri avversari con un non altrettanto corrispondente record di 6 vinte e 14 perse.

Ad esempio per vincere una partita a Phoenix (l'unica vera gioia di questa stagione) Miami ha dovuto estrarre dal cilindro una irripetibile prestazione offensiva (con la responsabile e ben accetta partecipazione della difesa dei Suns) da 60% dal campo. E ci è mancato poco che ciò non bastasse"

Questione di chimica e soprattutto d'intensità  e voglia di combattere su ogni pallone vagante (30^ a rimbalzo) Miami, con l'assenza (fortissima in relazione a tutti questi aspetti) di Alonzo Mourning ha visto svanire quella scintilla che di tanto in tanto riaccendeva l'orgoglio di tutti. Un trascinatore con pregi e difetti cestistici e tecnici ma con un cuore che arrivava (purtroppo, il ritiro è ufficiale) fino ad ogni parcheggio di qualsiasi palazzetto.

Si è spento il fuoco con un paio di soffi di vento, il lento ed emozionante uscire con i propri piedi dalla Philips Arena di Atlanta da parte di Zo e l'ennesimo schiaffo poco tecnico ma molto psicologico inflitto dagli Orlando Magic meno di un mese fa.

Come sta Dwyane?

C'è un velo di mistero sul numero 3 degli Heat. Sta bene? Sta male? E' la spalla destra? O quella sinistra? Tanti interrogativi parzialmente spazzati via dalla versione che ogni sera (anche se lontano dall'essere al 100%) cerca di far inserire un sorriso tra gli attributi di un tifoso di Miami.

Ci ha provato ma anche lui, viste le ultime sue uscite, sembra tentato a salire sulla barca, già  abbastanza colma, dei rinunciatari " perché non si può pretendere di non passare sulla strada della colpevolezza e della pigrizia se si concede il 61% dal campo a pur ottimi Hornets.

Ma il prodotto di Marquette , è quello che prende meno anni di tutti alla lista delle condanne.
Dopo aver saltato le prime sette partite della stagione (6 L) e soprattutto senza aver giocato una partita dallo scorso febbraio, Wade ha subito inserito la quarta collezionando trentelli (10) e doppie doppie (6) a ripetizione. Realizza 24.5 punti a partita, ripartendoli con ugual misura tra jump shot (8.4 con il 37% effettivo), penetrando e concludendo a canestro (8.1 con il 64%) e tiri liberi (8.0 con il 75%).

Ma la mancanza di un playmaker fisso e soprattutto continuo lo costringe ad un doppio utilizzo. Portar palla e fare la guardia con annessi problemi di lucidità  nei momenti topici delle partite. Nel 62% dei minuti giocati sul totale di squadra, Wade veste i panni del play nel 18%. Questo gli preclude la possibilità  di essere l'uomo decisivo nelle situazione decisive, come successo nei tre match finiti nel pantano del supplementare tutti terminati con il fango fin sopra le ginocchia (0-3 con Wade che ha chiuso con 2 quarantelli ma pochi punti nell'OT).

Sta prendendo corpo nelle ultime ore, l'idea di preservare il talento ed il futuro della franchigia per gli ultimi mesi della stagione visti anche i tanti, complessi e poco identificabili problemi fisici.
Se non fosse cosi scenderà  in campo, e quel 3 sulla schiena rimarrà  per tutto il resto della regular season, l'unica certezza in un mare di insicurezze e di dubbi"

Shaq, tra il tenebroso presente e lo scontato futuro

Inserire nella cartina geografica dei Miami Heat, il punto Shaquille O'Neal non è una cosa facile. Perché il carisma, il peso specifico e la personalità  e soprattutto il suo contrattone sono tutte caratteristiche che accrescono quel punto talmente tanto da offuscare (e non poco) il presente degli Heat.

Ci sono evidenti problemi con Shaq. Il gioco dei Miami Heat negli ultimi anni ha sempre avuto come punto di riferimento il numero 32, ma in questa stagione, vuoi per l'età  che avanza, vuoi per qualche acciacco fisico o per l'eterno problema con i falli commessi,O'Neal è andato a finire nella periferia del sistema di Miami.

Le cifre parlano di netto calo verso Sud nel coinvolgimento e soprattutto dal punto di vista offensivo. Con lo stesso minutaggio (28.4 mpg), la voce punti realizzati è sotto la quota di 14 ppg (contro i quasi 17 del 06/07) e soprattutto si è passati dai 12.1 tiri tentati della stagione precedente a sotto la doppia cifra (precisamente 9.7) nella regular season di quest'anno.

Statistiche eloquenti che trovano riscontro ulteriormente nei giochi e nel sistema offensivo predicato da Coach Riley. Sempre, continuando il paragone con la passata stagione, Miami va in misura minore sottocanestro (34% vs il 38% del 2006/2007).

Tornando a Shaq, sono 15 su 29, le partite terminate sotto i 10 tiri tentati di cui 7 consecutive e 13 delle ultime 16 disputate (l'ultima a Philadelphia, in 28' solo 4 conclusioni)mentre in 6 delle 8 vittorie stagionali, Shaq ha tirato più delle spartiacque preso come punto di riferimento. E' considerato ancora un centro che sposta le sorti di una franchigia o no? Sicuramente è uno che galleggia sopra la media dei suoi colleghi di ruolo anche se sono lontani i tempi in cui le squadre avversarie utilizzavano lo "Shaq-attack" per contrastarlo e attenuare il suo impatto nelle partite.

Ora, semmai, il problema è l'opposto visto che O'Neal e 4° quarto sono parole che tendono a restarsene su due contesti diversi. 5 partite chiuse consecutive concluse prima della sirena finale segno di una lucidità  e di una difesa che assomigliano a quelle di un giocatore non più "all-around".

Giovani ed esperti, chi si salva e chi no"

Il resto della squadra, oggettivamente, è fuori da una semplice e precisa inquadratura. Molta confusione, tanta discontinuità  e troppi cali di rendimento a distanza anche di una partita. Fa eccezione da questo circolo vizioso, Udonis Haslem, uno su cui Riley ha sempre fatto affidamento. E' il giocatore più utilizzato e forse anche per questo dopo un avvio brillante si è un po' rilassato vedendosi scendere statistiche e soprattutto intensità  difensiva e precisione al tiro.

Davis è realisticamente difficile da interpretare. La sua è una pallacanestro atipica costituita da tanti punti nelle mani ma conquistati in un modo tutt'altro che efficace. Nel calcio, tutto questo verrebbe tradotto con la parola egoismo, nel basket però è diverso.

Gioca 37 mpg realizzando 15 punti e tirando 13.4 volte a sera. Ma a volte è un giocatore che non riesce a lasciare un segno positivo per colpa di tutti quei piccoli errori che sommati ti fanno dimenticare che ha messo a referto un ventello. Parliamo di palle perse, giochi rotti, e a volte una rivedibile scelta di tempo nelle sue esecuzioni di tiro. Il 42% delle proprie conclusioni avviene nei primi 10 secondi dell'azione e Miami non segue certamente il filone "Phoenixiano".

Chi invece anche se con cifre nettamente migliorabili e con una pallacanestro ancora tutta da formare, da uno sguardo al panorama d'elite della NBA è Dorrell Wright, 4° anno nel roster ma immerso nella seconda vera stagione da protagonista nei Miami Heat. Finora è stato (a sprazzi) uno dei pochi fasci di luce che hanno illuminato gli occhi di Riley e di qualche tifoso. Grande atleta con intensità  da vendere ed un tiro in sospensione migliorato e non poco (43% contro il 37% della passata stagione) dal quale ricava più della metà  dei suoi punti totali. Un tiro che però non può basarsi solo dei fantastici scarichi di Wade (88% dei suoi jump shot è assistito). In difesa, alza il volume della radio sotto canestro sminestrando una stoppata di media a sera nei suoi 22.5 (pochini, al dire il vero) minuti sul parquet.

La questione playmaker è da troppo tempo sul contenitore delle pratiche da risolvere. Williams è la discontinuità  in persona, Quinn pur essendo un più che discreto tiratore piedi per terra (45.1% da 3) deve ancora iscriversi al corso di laurea per giocare da 1 (solo 1.8 assist in 20' di utilizzo medio)

Dal settore guardie, si è messo in evidenza, il 20enne rookie proveniente da Ohio State, Daequan Cook che viaggia a qualche decina di metri dalla costa della doppia cifra di media. Non male per essere la prima stagione con una buona dose di personalità  nel prendersi le proprie responsabilità  e qualche eccesso di esuberanza tecnica.

Tra gli altri Jackson preso per rimpiazzare Penny Hardaway è solo riuscito nell'intento di far lievitare ancora di più il rimpianto di aver ceduto Kapono mentre nel reparto lunghi, Blount e Barron cercano di mettersi in evidenza, rimane da capire a quale scopo, se per il futuro degli Heat o per il futuro di qualche altra squadra.

All'orizzonte"

Cosa si fa da adesso alla fine dell'anno? L'ottavo posto ad Est è macchiato dall'handicap di 10 partite di distacco ed anche (e soprattutto) dalle facce, dagli atteggiamenti e dalla realtà  dei fatti e dei risultati il futuro prossimo si chiama Draft 2008.

Bussare alla porta della fortuna e vedere se ad aprire per il suo conto, ci sarà  la faccia di un Rose o di un Gordon. Bussare alla porta di Shaq per capire cosa fare riguardo il suo sempre più oneroso contratto che scadrà  fra due anni. Bussare, con X soldi alle porte degli y free agent disponibili e vedere se c'è la possibilità  di migliorare la squadra.

Prima andare a bussare a tutte le suddette porte di questo confusionario condominio, c'è più di metà  stagione da giocare ed è l'unica porta che gli Heat in questo momento si trovano spalancata davanti ai loro occhi. Varcarla è indispensabile, come è tutto da vedere "

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