Salmons, Garcia, Udrih: tutto l'entusiasmo dei nuovi Kings, nonostante gli infortunati eccellenti…
Nella capitale della California il Basket è una passione molto sentita, c'è un calore, una partecipazione che non è facile trovare altrove, e forse è questo l'unico motivo per cui gli attuali proprietari hanno deciso di mantenere li la franchigia; i Maloof, i proprietari dei Kings, possiedono anche un casinò a Las Vegas e, per un certo periodo, l'idea di spostare la loro squadra di basket fra i deserti del Nevada è sembrata molto alettante.
Tutta questa passione si è sentita moltissimo ad inizio millennio, quando i "fab five" cioè Bibby, l'unico ancora rimasto, Christie, Stojakovic, Webber e Divac sfidavano i Lakers di Shaq e Kobe, mettendo in mostra uno dei più spettacolari stili di gioco mai visti su un parquet, una Princeton offence su cui neanche Pete Carril, il coach dell'Università di Princeton che inventò questo tipo di modulo offensivo, avrebbe avuto alcunché da ridire, rimanendo appesi al ferro su cui si spense il tiro decisivo di Peja Stojakovic in gara 7 di finale di conference.
Poi gli infortuni che di fatto posero fine alla carriera di Divac e Webber, anche se C-Webb ancora prova a dare l'assalto all'anello sfuggitogli, però quale comprimario, la precoce decadenza di Christie ed i mille guai fisici di Stojakovic impedirono nuovi assalti.
Per ritentare i Maloof, il GM Petrie e coach Adelman provarono a prendere via via nuovi giocatori per rimpolpare la rosa, il lungo Brad Miller, ottimo passatore, undrafted, con un buon passato italiano, che ha fatto vedere buone cose ma non è certo un altro Divac, Kenny Thomas ed Abdur Rahim come ala forte, ormai entrambi fuori rotazione, fino al rischio maggiore, quello di tentare il rilancio dell'ex "Jail Blazers" Bonzi Wells (ormai ad Houston da un anno e mezzo) e del turbolento Ron Artest, forse la migliore ala "all around" della lega, ma per intenderci uno che ad Indianapolis aveva saltato alcune partite per lanciare un disco rap (venduto, fra l'altro, in poco più di 300 copie!) ed era reduce da una squalifica di quasi un anno per aver provato a picchiare degli spettatori nell'arena di Detroit.
Si è poi pensato che la colpa degli altalenanti risultati fosse dell'avanzata età di Coach Adelman, uno "abituato" a sfiorare anelli, e si è provato a sostituirlo con il più giovane Eric Musselmann.
Questi tentativi di restare ad alto livello sono falliti miseramente ed ogni cambiamento ha peggiorato più o meno la situazione, fino ad arrivare ad una situazione in cui ci si è resi conto che era inevitabile ricostruire.
Come allenatore è arrivato un ex ottimo giocatore di NBA, protagonista per cinque anni con la canotta dei Kings, quel Reggie Theus visto anche a Varese, uno di cui tutto si poteva dire tranne che fosse predestinato a diventare un coach.
Celebri le sue sessioni di tiro. Mentre tutti i suoi compagni effettuavano le loro sessioni, lui dopo dieci minuti andava a fare la doccia, sostenendo che poi il braccio iniziava a dolergli, la meccanica di tiro si sporcava e lui rischiava di perdere fluidità . Una delle scuse più divertenti mai inventate per non allenarsi.
Poi invece ha avuto un buon successo nei due anni passati nell'università di Mexico State, dopo essere stato assistente nientepopodimenoche di Riky Pitino, una delle leggende del basket universitario, ed aver svolto molte attività di carattere umanitario.
Theus ha mantenuto uno stile di gioco basato sulla circolazione di palla, tanto atipico in una NBA che, con qualche fulgida eccezione, come ad esempio le squadre di Jackson, di Sloan, dello stesso Adelman, vive di isolamenti delle stelle, pick & roll e comprimari che vivono di scarichi. Non sarà una Princeton purissima, ma ci si avvicina abbastanza.
Ricordiamo che la Princeton è basata su una rapida circolazione di palla, che va spesso ai lunghi piazzati spalle a canestro e riesce per i tiratori o per chi penetra, e si basa quindi su punti fatti rapidamente da lunghi in buona posizione o sul tiro da fuori, che si costruisce non da palleggio o in isolamento, ma piazzato su scarichi o in uscita dai blocchi. Sono gli interpreti ad essere differenti, ed anche parecchio, rispetto ai giorni migliori.
Bibby è fuori da inizio stagione, Artest ha giocato poco più della metà delle partite, soprattutto il nuovo leader designato, Martin, ha giocato anche qualcosa in meno della metà delle partite. Shareef Abdur Rahim, lo "Sceriffo", e Kenny Thomas sembrano due ex giocatori, almeno in questo contesto.
In una situazione simile chiunque avrebbe avuto difficoltà enormi.
Invece i Kings qualcosa hanno combinato, hanno un record superiore al 40% di vittorie, fossero nella Eastern Conference sarebbero in lotta per i play off. Essendo ad Ovest sono fuori senza ormai nessuna speranza, ma stanno comunque mostrando un gioco piacevolissimo ed alcune individualità su cui puntare per il futuro.
Kevin Martin, in primo luogo, si sta dimostrando un leader offensivo di tutto rispetto. 25 punti di media, 47% da due, 42% da tre, 4,7 rimbalzi, uniti a "soli" 16 tiri per partita, buone letture ed una buona partecipazione alla circolazione di palla, i numeri non diranno tutto ma nel suo caso dicono tanto. Difendesse in modo decente sarebbe una stella veramente di prima grandezza.
Certo, poco più di 80 kg per circa 2 metri di altezza (2.01 per le generose misurazioni NBA) danno l'idea della scarsa potenza fisica del nostro e di quanti muscoli debba metter su per diventare un buon difensore, ma l'intelligenza e l'impegno ci sono già , e di questi tempi non è poco.
Il reparto guardie è completato da tre giocatori che si stanno dimostrando a sorpresa sicurezze assolute. Uno è John Salmons, che sta raddoppiando le sue statistiche rispetto allo scorso anno e sembra un lontano parente del timido panchinaro che si è visto a Philadelphia. Un altro è Francisco Garcia, ancora nel contratto da rookie nonostante i 26 anni suonati, ha terminato l'università a Louisville e poi era passato in NBA con l'aspettativa di essere un rincalzo, per le occasioni in cui fossero serviti punti rapidi. Invece in attacco sta dando un contributo rispettabilissimo e continuo, si è calato alla perfezione nel sistema dei Kings, fino a conquistarsi un minutaggio di 29 minuti. Peccato che in difesa sia molto leggero.
L'altro è il giocatore più inatteso dell'intera NBA, il venticinquenne sloveno Beno Udrih, passato da Milano più a far compere che a giocare, sembrava che in NBA fosse solamente una comparsa, e persino le dichiarazioni positive di Greg Popovitch, il grande allenatore che lo panchinava senza remore, preferendogli perfino un opaco Vaughn, sembravano semplici contentini.
Beno meritava di più di quello che io potevo offrirgli, lo abbiamo ceduto per dargli l'opportunità di dimostrare le proprie capacità . Questo recitava il grande Pop, e sembrava un classico saluto diplomatico. Invece era la verità .
Regia, rapidità di gambe, punti, assist, percentuali buone, anche se non come quelle di Martin, lo sloveno ha dimostrato di poter essere a pieno titolo un giocatore da quintetto in NBA. Ma allora perché Pop lo panchinava? Sta forse invecchiando? No, l'ex agente segreto per l'appunto era a conoscenza di qualcosa che noi non sapevamo, che Beno in difesa non è esattamente un nuovo Rodman.
Martin, Salmons, Garcia ed Udrih fanno un reparto esterni ottimo in fase offensiva, ma in fase difensiva si potrebbe far meglio. Pazienza, in fondo come punti subiti i Kings sono nella media NBA.
Avvicinandosi a canestro invece i problemi sono molto più evidenti, o, per lo meno, si invertono. Detto già di Thomas e di Abdur Rahim, che sembrano ex giocatori, ad ora partono in quintetto Mikki Moore e Brad Miller, due onesti mestieranti.
Miller è un ottimo passatore, si difende spalle a canestro, ed in questo è un giocatore ideale per la Princeton Offence, nel tempo è migliorato molto fino ad avere mani educate, prende anche qualche rimbalzo, ma ormai è veramente lento e poco mobile.
Moore ha più energia e potenza, ma in compenso mani meno morbide. In ogni caso i due sono entrambi del '75, non sono esattamente prospetti per il futuro.
Un prospetto ci sarebbe, un altro "7 Piedi", cioè 2 metri e 13, in perfetto stile Kings, cioè Spencer Hawes, ha anche buone doti, potrebbe metter su un buon gioco spalle a canestro e le mani non sono grezzissime, ma nel complesso il giocatore è acerbo da far paura. Servirà tanto lavoro per trarne qualcosa di buono.
Una squadra nella media NBA sia in attacco che in difesa, in cui però i miglioramenti difensivi sembrano improbabili, salvo modifiche nella rosa, ed un attacco che invece diventa sempre più fluido e piacevole, la dirigenza ha ormai deciso che questo ha come conseguenza l'inevitabile cessione di Bibby, visto che la squadra gira anche senza di lui, ed Artest, che rallenta la circolazione e crea scompiglio nello spogliatoio, forse anche di Miller, arrivasse una buona offerta.
Su Bibby ovviamente ci sono tante squadre, sia in estate che ora stanno piovendo offerte. In vantaggio per ora sembrano i Cleveland Cavaliers, che avrebbero messo sul piatto Gooden e persino il giovane sorprendente Daniel Gibson, offerta apparentemente irrinunciabile, ma il GM Geoff Petrie ed i fratelli Maloof hanno rilanciato chiedendo che i Cavs si accollassero anche il contratto di Kenny Thomas.
Ciò ha creato perplessità nel GM della franchigia dell'Ohio, Danny Ferry, ed ha messo l'affare in stand by, ma l'impressione è che si chiuderà .
Più complesse le trattative per Artest, in quanto tante sono le squadre interessate, ma poche ad aver messo sul piatto una offerta interessante. Non è escluso che ai Kings convenga aspettare l'estate e "convincere" Ron Ron ad uscire dal contratto, che guarda caso prevede un opzione a favore del giocatore.
Queste mosse sono vitali, e forse lo sarebbe anche la cessione di Miller e, possibilmente, di Abdur Rahim, perché lo spazio salariale che avranno i Kings nei prossimi anni sarà poco, a causa degli sciagurati tentativi falliti di tenersi a galla nonostante il calo e gli infortuni dei giocatori chiave. Ancora nel 2010, senza transazioni, ci saranno stipendi per oltre quaranta milioni di dollari, con soli nove giocatori, più le matricole scelte al draft. Troppi, per pensare di ricostruire con successo.
I giocatori scelti finora, nell'ottica di una nuova partenza, i vari Martin, Udrih e Hawes sono stati scelti con oculatezza, i veterani per affiancarli, come Salmons e Moore, anche, il coach probabilmente pure, ma senza spazio salariale per firmare qualche Free Agent difficilmente vedremo la franchigia della capitale della California lottare per obiettivi esaltanti.
Gli stessi risultati superiori alle aspettative danno il segnale di una buona rotta tenuta, ma tolgono la possibilità di avere buone scelte al draft, rendendo ancora più necessario abbattere il monte stipendi. Qui si giocheranno le possibilità di una rinascita in tempi ragionevolmente brevi dei Kings, qui sono i dubbi sulle possibilità di successo.