Eli Manning e Philip Rivers, protagonisti indiscussi dei Divisional Playoffs e del Draft NFL 2004
Succede, a volte, nella vita, che le strade e i sentieri di due persone si incrocino più volte, vuoi per destino, vuoi per casualità , o per assurdo volere di quegli dei sempre così attenti a creare storie, leggende, atte a rimpolpare quel grande tomo che dev'essere il libro del football, colmo di segreti e racconti disseminati lungo cento meravigliosi anni di questo sport; Eli Manning e Philip Rivers, le due facce di una stessa medaglia che li ha portati a disputare i prossimi championship, ritrovandosi ad anni di distanza, e su campi altrettanto lontani, a giocarsi un'improbabile accesso al sogno di tutta una vita: il Superbowl.
La storia infinita di questi due ragazzi sembra essersi sviluppata in parallelo, come se entrambi si fossero legati indissolubilmente quel 24 Aprile 2004 al Madison Square Garden, quando Eli venne chiamato con la prima scelta assoluta da San Diego e venne tradato, a seguito del suo rifiuto di firmare per la franchigia californiana, proprio con Philip, che nel frattempo era stato scelto al quarto pick dai Giants, dopo preventivo accordo con gli stessi Chargers, trovatisi di colpo con una grossa patata bollente tra le mani.
Il rifiuto di giocare per San Diego, squadra in quegl'anni fanalino di coda della lega, costò non poco al giovane Manning, che venne etichettato senza mezzi termini come "Bimbo viziato e capriccioso" prima ancora di mettere piede su un campo NFL, dove si sa, non vengono fatti sconti ai ragazzi dotati, all'apparenza, di poco carattere; lo stesso carattere che invece sembra essere uno dei punti di forza, fin dai primi passi nel professionismo, del rivale Rivers, panchinato a sorpresa nella prima stagione a causa dell'esplosione di Drew Brees.
In una situazione a dir poco assurda, paragonabile forse solo a quella di Aaron Rodgers a Green Bay, il buon Philip deve accomodarsi per ben due anni sulla sideline dei Chargers, per fare da sparring partner, nonché backup, al numero 9 da Purdue mentre Eli accumula esperienza in maglia Giants, che lo lanciano già sul finire della stagione 2005, quando scalza il veteranissimo Kurt Warner dallo spot titolare; il numero 10 di New York vola e Rivers sta a guardare.
Nella vita sportiva di Manning Jr. però le cose non vanno sempre per il verso giusto, e le difficoltà , unite al peso di un cognome troppo ingombrante, cominciano a farsi sentire già nel corso del secondo anno in NFL, quando il titolo di NFC East Champion non riesce a nascondere un gioco singhiozzante e le continue incomprensioni tra lui, il coach Tom Coughlin, e buona parte dei veterani della franchigia newyorkese; incomprensioni ben lontane invece dall'universo del quarterback di San Diego, sempre composto e poco incline a lamentarsi nonostante altri 365 giorni passati ai margini della squadra.
La svolta per lui arriva a fine stagione, quando la sua pazienza viene premiata e Marty Schotteneimer decide di promuoverlo al ruolo di titolare, spedendo Brees in una New Orleans devastata dal terribile uragano Katrina, che ha un impatto molto simile a quello di Rivers nella NFL, 16 partite e convocazione al Pro Bowl assicurata, cosa mai riuscita in tre anni, e 39 partite disputate, al rivale della Grande Mela; e pensare che, tolti Favre e Hasselbeck, la concorrenza in NFC non sembra essere così spietata.
Concorrenza a parte Eli deve continuare a fare i conti con una situazione tutt'altro che rosea in seno alla squadra, dove si verificano le solite incomprensioni, in un marasma assurdo in cui ancora oggi è difficile capire chi sia stato con chi, e cosa sia stato con cosa; quello che è certo, è che l'ex Giants Tiki Barber, ora divenuto opinionista TV, ne ha un po' per tutti, e non perde occasione per dare addosso all'ex quarterback di Ole Miss, criticandone soprattutto il gioco.
Certo, il più piccolo dei Manning proprio non sta simpatico, più o meno come Rivers, che a quanto pare è piuttosto inviso ai compagni di squadra, poco propensi a sopportare le sue incredibili doti di thrash talker che lo fanno litigare con quasi tutti gli avversari e che lo portano, sistematicamente, ad addossare altrui le colpe di una qualsiasi eventuale sconfitta della squadra; da cosa si dice nell'ambiente "il professorino da Decatur", chiamato così in virtù del padre allenatore di football che lo ha reso un maestro in fatto di conoscenza di schemi e lettura di playbook, è solito additare, a turno, i colleghi quando, durante la partita, qualcosa va storto.
Un bel caratterino, senza dubbio, che abbiamo avuto modo di apprezzare proprio domenica contro Indianapolis, altro feudo della famiglia Manning, quando il sempre pacato Rivers ne aveva un po' per tutti, soprattutto per i tifosi assiepati dietro la sideline dei Chargers, gli stessi da cui ha ricevuto una caldissima indicazione stradale a fine partita, mentre ebbro di gioia per aver espugnato il campo dei campioni in carica, inveiva frasi di dubbio gusto al loro cospetto.
Due storie simili che hanno un comune denominatore, il Championship che si apprestano a giocare dopo un anno che gli ha condotti verso una maturazione magistrale, almeno nell'ambito sportivo, e dove entrambi hanno compiuto passi da gigante, allontanando i rispettivi spettri e i dubbi alimentati, dagli attenti analizzatori, dopo un contorto, quanto altalenante, 2006; dubbi annullati dopo le ottime prestazioni dell'ultimo weekend.
Diversamente dal fratello Peyton, Eli Manning ha giocato fin qui due partite di playoffs al limite della perfezione, mostrando un controllo dell'attacco ed una sicurezza mai visti prima, uniti ad una visione di gioco che gli ha permesso di portare a casa altrettante vittorie; sia contro Tampa che contro Dallas il quarterback di New York ha giocato in scioltezza, e conscio delle proprie capacità forse come mai prima ha sezionato al meglio le difese avversarie, scegliendo l'opzione che più di ogni altra gli garantiva di orchestrare drive vincenti.
Contro i Cowboys poi per lunghi tratti si è pensato che Giants e Colts si fossero scambiati il pitcher, con Eli che pareva una coppia più giovane del numero 18, impegnato com'era a governare il backfield a suon di audible e rimproveri ai compagni che finivano fuori posizione; rimproveri che ha esposto in modo meno pacato il collega Rivers nella bolgia del RCA Dome, quando in diverse occasioni ha scagliato via il pallone per protestare contro l'holding appena causato da un suo uomo di linea, ed in particolare contro i movimenti anticipati del tatuatissimo centro Nick Hardwick.
Proteste parse esagerate ma comunque cancellate da un'ottima prestazione, che ha di fatto allontanato i dubbi nati dopo la sua prima stagione da starter, quando nonostante la convocazione al Pro Bowl e la qualificazione ai playoffs conquistata dai Chargers, pareva che chi tirasse la carretta, sul serio, a San Diego, fosse l'allora MVP della lega LaDanian Tomlinson e non Rivers; l'infortunio occorso al RB domenica ha invece dimostrato che anche il numero 17 è in grado di vincere le partite o, perlomeno, di svolgere appieno il proprio dovere.
Nella sfida di Indianapolis, Philip ha finalmente dato conferma di tutti gli ottimi giudizi che venivano spesi in suo favore già prima del draft 2004, quando era considerato uno dei migliori strateghi in circolazione, capace di trasformare la teoria, il playbook, in pratica, il gioco, senza troppi problemi; lanci precisi, sbracciate fatali, ed una velocità nel leggere i movimenti delle difese avversarie davvero ragguardevole, nonché in grado di fare la differenza su un campo da football.
Rivers e Manning dopo una carriera intrecciata ed incrociata continuano quindi a fare viaggi paralleli, o quantomeno simili, e dopo essere stati fondamentali nella postseason fin qui disputata dalle loro rispettive squadre, rischiano seriamente di ribaltare i pronostici, chiudendo quel cerchio formato dai loro destini fra qualche settimana, in uno stadio, Phoenix Stadium, di quel west rifiutato senza mezzi termini da Eli e divenuto, con il tempo, la casa ideale per Philip; chissà se, mentre sogneranno il colpaccio nelle trasferte di Green Bay e New England, uno di loro due penserà che potevano arrivare qui a maglie invertite.