… e quanto valgono gli Wizards senza quest'uomo in campo?
Siccome Newark non è un'enclave di sciagurati ma la fotografia della grave crisi sociale che per la prima volta negli Stati Uniti sta mettendo in dubbio le virtù della globalizzazione, la questione "mutui a tasso variabile" è finalmente arrivata Washington; non intesa come la città , ovviamente, ma come la capitale del potere politico della nazione. Alan Greenspan, plenipotenziario della Several Reserve che per tre anni non ha mosso un dito pur sapendo che le banche stavano erogando mutui a chi non forniva garanzie sufficienti, è già alla fase del pensionamento in cui può fare il saggio dietro lauto compenso ai convegni; George W. Bush, ancora brillantemente tra noi, ha varato negli ultimi giorni un piano che, da un lato intende congelare il tasso dei mutui nei prossimi cinque anni, dall'altro rifinanziare chi è in difficoltà .
"I mutui soggetti ad aumento di diversi punti nei prossimi anni - ha spiegato Henry Paulson, padre putativo della manovrina - potrebbero mandare in rovina 1.800.000 famiglie di Americani." E' così che l'epopea del "Bushismo", apertasi in ossequio ad uno neoliberismo che ha permesso ai ricchi di aprire ulteriormente la forbice con chi ricco non è, si chiuderà all'insegna di ciò che, fino a prova contraria, può essere considerato un sussidio di stato.
Sullo sfondo, come naturale, sta la partita elettorale che da qui al prossimo autunno condizionerà ogni mossa: se Bush in fondo ha fatto il suo tempo e la sua era sta per andare in soffitta, l'ala del partito dalla quale proviene ha bisogno di guardare oltre e controbattere la concorrenza interna, nonché l'aggressività degli argomenti di Obama e della signora Clinton.
Se all'inizio della stagione le quotazioni degli Wizards erano date per stazionarie, l'infortunio al ginocchio di Gilbert Arenas non ha fatto che infittire le nubi nel cielo di un team che vive perennemente nel limbo.
Di recente Gilbertone s'è fatto vedere alla facility della squadra, ha parlato con i giornalisti rassicurando tutti sulle sue condizioni roteando una delle stampelle ancora necessarie per camminare; in fondo proprio l'ex Warrior dovrebbe essere il principale attore d'una squadra che visse la sua esplosione tre anni fa, passaggio del primo turno contro Chicago e cappotto contro gli Heat privi di Shaq O'Neal.
"Sono convinto che i miei compagni possano raggiungere i playoffs anche senza di me (sarà fuori ancora tre mesi ndr) - ha dichiarato Arenas - e son convinto che stiamo costruendo qualcosa di importante: ecco perché sono pronto a rifirmare se tutto andrà come deve".
Il giocatore infatti ha già fatto sapere di voler sfruttare la clausola che gli permette di uscire dal suo contratto per sondare la situazione: se non troverà nulla di più allettante si farà ricoprire d'oro dalla squadre che, regole alla mano, può offrirgli più delle altre.
In questo modo si legherebbe alla causa degli ex Bullets, senza peraltro avere uno straccio di garanzia di lottare per il titolo. Probabilmente lo sa anche Reggie Jordan, il coach che fu la lunga ombra di Byron Scott quando i Nets vincevano la Eastern Conference: i giocatori che ha a disposizione sono buoni, Jamison e Butler, da poco inseriti nella lista dei papabili per la partita delle stelle, più degli altri, ma non assicurano nulla se si parla di lotta per la vittoria finale.
Jason Kidd era diverso, lo Steve Nash che è appena passato per la capitale spazzolando 19 assist per portar via la vittoria è diverso.
Sapendo che i suoi ragazzi non hanno una precisa identità difensiva Jordan ha provato a scambiare canestri contro la squadra di D'Antoni; gli andò bene la primavera scorsa quando nell'Arizona, con Arenas in serata di gran spolvero, finì 144-139. Forse non sarebbe bastato nemmeno quell'Earl Monroe che due sere prima aveva visto ritirare la sua maglia.
Il prediletto del Partito Repubblicano per la successione di Bush jr attualmente ha il fisico asciutto e la chioma rassicurante dell'ex governatore del Massachussets: proprio due recenti sondaggi pubblicati dal Washington Post che darebbero per evaporato il vantaggio di Mitt Romey nell'Iowa e nel New Hampshire, sarebbero alla base delle preoccupazioni che hanno portato all'offensiva economica di cui abbiamo parlato.
Romey ha 60 anni è un mormone che, rifacendosi al modello di John Fitzgerald Kennedy, primo presidente cattolico del Paese, sta facendo l'equilibrista tra l'esigenza di mostrarsi ai potenziali elettori come un fedele praticante e la necessità di non alimentare la diffidenza che tradizionalmente viene riservata alla confessione che ha la sua sede nello Utah.
"Nessuna autorità della mia o di qualche altra Chiesa avrà un peso sulle mie decisioni presidenziali - ha spiegato in un recente discorso dal valore altamente simbolico - Vivo secondo la mia fede: se questo farà fallire la mia candidatura lo accetterò. Non bisogna però sottovalutare il popolo americano"
Eravamo in Texas, nella biblioteca intitolata a George Bush padre, peraltro presente in sala a conferma dell'importanza dell'evento e del sostegno della sua famiglia a Romey. Il primo, e più urgente, problema dell'aspirante mormone ha un nome e un cognome: Mike Huckabee.
Si tratta del candidato populista che, stando ai soliti sondaggi, l'avrebbe quasi raggiunto. Uno strano gatto, come direbbero dalle sue parti, che mette assieme la passione per il rock psichedelico dei Pink Floyd, il Creazionismo e l'idiosincrasia per gli omosessuali. I due si incrociarono il 3 agosto scorso ad Ames, dove tradizionalmente si tiene la convention della politica conservatrice: per l'occasione Romey offrì a tutti pasti gratis sotto tendoni montati dai suoi volontari.
Huckabee arrivò con la sua band, i Capitol Offense, imbracciò la sua chitarra e portò via gran parte dell'attenzione offrendo anguria a tutti. Secondo i ben informati il compito di Huckabee è quello di "frollare" Romey al punto giusto, in attesa della discesa in campo del vero candidato forte, Rudy Giuliani e di Bob Mc Cain che sarebbe il vice presidente.
Nondimeno il politico chitarrista sa come toccare le corde scoperte dell'America profonda, quella che i giornali italiani faticano a descriverci ma conta quanto se non più di quelle delle coste, più progressista e comprensibile con i nostri canoni; i suoi discorsi infarciti di retorica religiosa e di fobia per gli immigrati, la sua campagna contro l'obesità sono il segnale di quanto Huckabee conosca la gente che vuole incantare, le zone dalle quali in fondo egli stesso proviene. La sua città natale, Hope speranza, è in quell'Arkansas, che agli Stati Uniti ha già dato Bill Clinton; ecco perché non tutti sono disposti a scommettere che la lepre si sfiancherà presto.
Ecco perché George W. Bush, o chi per lui, ha provato a recuperare consenso sul piano dell'economia, per non lasciare l'argomento in mano ai democratici e, al tempo stesso, tacitare chi ha messo in dubbio la validità della sua ricetta; per ottenere il risultato ogni compromesso sarà buono, prima della definitiva uscita di scena.
In una visione pragmatica, se non cinica, del gioco delle lobbies, 1.800.000 famiglie di Americani rappresentano un numero molto più alto di potenziali elettori da non sottovalutare.