Se Kidd e Varejao pari sono

Jackson se la ride: rinnovando così in fretta ha messo in imbarazzo non pochi ben informati

Ora che ad Anderson Varejao i Cavs hanno deciso di offrire tutto l'affetto che il brasiliano era pronto a prendersi a Charlotte; nell'attesa di sapere quando, proseguendo su questa sottile strada il processo di devastazione della Nba che più di 20 anni fa fece innamorare tanti italiani sarà  completato, la domanda si fa calda: ma chi se ne frega se il brasiliano è rimasto nell'Ohio?

Prima di indignarvi aspettate, abbiate la pazienza di seguire il ragionamento: quant'è importante se un giocatore di 24 anni con una media in carriera di 5 punti e 5 rimbalzi di media a partita cambia maglia oppure no? Difficilmente la storia a breve termine della squadra in cui il brasiliano sarebbe andato risulterà  stravolta; allo stesso tempo, l'ex Barcellona è stato importante ma, dubitiamo che senza di lui o con qualche altro giocatore di livello comparabile, i Cavs non sarebbero arrivati alla loro finale.

Ad ogni modo il caso-Varejao è già  storia, trascinato via dalla corrente montante dell'affaire-Kidd: "Non è vero - ha spiegato il giocatore - che non ho giocato contro i Knicks perché infelice (per la situazione della squadra immaginiamo ndr). S'è solo trattato di mal di testa". Fermi tutti: un mal di testa della principale macchina da assist della lega è più roboante della notizia di un giorno senza una sola dichiarazione di Silvio Berlusconi. Persino più sconvolgente del fatto che, in sua assenza, New York ha vinto il derby dell'Hudson.

Al di là  delle sue attuali statistiche, inferiori alla sua media in carriera, se Kidd vuole cambiare maglia, ogni general manager degno di questo nome deve prenderne nota; anche perché non sarebbe la prima volta che l'ex California University fa notare quanto strette gli vanno le Meadowlands.
Dallas, che ha migliaia di giocatori da dare in cambio, Cleveland che ha pur sempre il fascino di Lebron James da spendere, Los Angeles Lakers, dati in netto ribasso: Kidd ha già  fatto il giro dei 50 stati. Sull'intera stampa a stelle e striscie s'è scatenato il can-can.

"Non posso immaginare Kidd fare una cosa del genere - ha detto un suo compagno di squadra riferendosi al presunto sciopero del play - Sarei molto arrabbiato con lui se davvero fosse così".
Facendo un passo indietro: non c'è qualcosa di strano se la vicenda di un dream teamer, da dieci anni fuoriclasse riconosciuto e "inventore" di due finali alla guida di una squadra tradizionalmente derelitta viene trattata con lo stesso risalto di quella di un lungo brasiliano da 5 punti e da 5 rimbalzi?

Della notizia si può dibattere a lungo in una polverosa aula di una scuola di giornalismo: oppure si può far notare l'incongruenza ai pricipali fruitori di queste notizie e spingerli a rifletterci. La questione può sembrare marginale ma muove un preciso appunto in un mondo dell'informazione in cui è possibile scrivere di un argomento, essere in "stretta amicizia" con chi di quell'argomento ha fatto il suo principale interesse commerciale e, addirittura, firmare contratti di consulenza per le sue aziende.
Succede, tanto per non parlare di cose campate per l'aria, nel campo della moda; i giornalisti economici sanno che comportamenti di questo tipo rispondono a reati ben precisi.
Nello sport tutto è più sfumato invece, perché meno definita la materia di cui si parla: ma chi impedisce a un abile procuratore di "sentire" i suoi amici dislocati nelle principali redazione d'America e formulare la richiesta di far uscire bene un suo assistito bisognoso in cambio, nella migliore delle ipotesi, di notizie succulente?

Far leggere a un tifoso di Cleveland, tanto per rimanere allo stesso esempio, su tanti giornali diversi che il suo Varajao è così ricercato, può essere un modo per far pressione sulla dirigenza che non vuol dargli il contratto che il suo agente pretende; una campagna volta a screditare un giocatore agli occhi del suo pubblico può esser propedeutica a una richiesta di cessione.

Tutto questo, agli occhi del lettore disattento, si trasforma in una marmellata di giocatori tutti forti e bravi, dirigenti, addetti ai lavori che a ondate ricopre l'unica cosa che dovrebbe contare: il fatto tecnico. Mettere in ridicolo certi aspetti del circo, quando non si conoscono nel dettaglio i meccanismi di ciò che li muove, è un modo per prenderne le distanze, non accentandone la logica e provando ad andare oltre.
Al massimo, il rischio è quello di prendere una cantonata, come successo non più tardi di una settimana fa con il rinnovo del contratto di Phil Jackson: molti analisti di gran lunga più prestigiosi, hanno dovuto incassare. Vale la pena di rischiare e non prendere per oro colato tutto quanto viene scritto.

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