In una foto del 1962, un ragazzetto che fece tanta strada partendo dalla 161esima…
Parte dalle prossime righe un lungo viaggio che attraverserà gli Stati Uniti d'America, col pretesto della pallacanestro, alla ricerca di quel mito che il nuovo continente ancora continua a rappresentare per ognuno di noi.
L'America non è solo ciò che vediamo tutti i giorni ma anche, se non soprattutto, ciò che ognuno ha dentro di sè: le strade, gli spazi, la musica, le suggestioni tratteggiate nelle parole di Woody Gutrie: "Questa terra è stata fatta per te e per me".
L'America di oggi significa anche pallacanestro, seppure in maniera irrimediabilmente diversa rispetto a quello che tutti noi abbiamo conosciuto all'inizio degli anni '80 e anche Peter Vecsey, il principale giornalista Nba, continua a considerare un punto di riferimento. Peter Vecsey scrive da New York, la città del basket; e il nostro viaggio non poteva che cominciare da qui.
NEW YORK – Prendete una mappa di Google e tratteggiate la distanza che c'è fra una qualsiasi palestra della Young Man Christian Association e il Madison Square Garden: idealmente avrete tratteggiato la strada che la pallacanestro ha fatto dall'anno della sua creazione, 1891, ad oggi.
Estendendo il concetto: la strada percorsa dalla società americana in 140 anni di storia.
La prima palestra moderna di ispirazione religiosa, legata a quello che in tutto il mondo è meglio conosciuto come YMCA, nacque nel 1869, uno spazio di 20 metri per 15: per la sua apertura ci volle una modifica allo statuto che l'Associazione Americana aveva ereditato da quella Britannica.
Solo tre anni prima, con la ventata d'apertura e voglia di vivere che la società americana stava vivendo grazie alla conclusione della Guerra Civile, lo sport era entrato a far parte degli obiettivi statutari dell'associazione.
Il dibattito dell'epoca continuò per molto tempo, fra due distinte fazioni: i riformatori puritani portarono avanti la facile equazione, accomunando la competizione agonistica a stili di vita e costumi dissoluti, all'ubriachezza molesta ed al gioco d'azzardo. Si richiamarono al cosiddetto "cristianesimo muscolare" coloro i quali invece pensarono allo sport come ad un veicolo fondamentale per predicare su larga scala i valori in cui credevano, adattandovi così la loro dottrina.
Il successo di quest'ultimi fu subito evidente: in poco tempo quella palestra raggiunse una media di quasi 300 frequentatori giornalieri, tutti maschi per ribadire quanto la società nel frattempo è cambiata. Il desiderio d'un corpo bello e armonioso andò di pari passo con il fenomeno dell'urbanizzazione che in quel periodo attraversò un'accelerata decisiva.
Ci volle poco tempo perché il Pastore Moses Coit Tyler, uno dei precursori del concetto di "cristianesimo muscolare", pronunciasse un celebre sermone che si potrebbe sintetizzare in un semplice concetto: "La salute è un dovere, la malattia evitabile è peccato". Lo sport era diventato lo strumento pratico per ottemperare a questo precetto.
Tornando ai giorni nostri, non è difficile, a poche partite dall'inizio della stagione, individuare il principale peccato dei New York Knicks: la perseveranza nell'errore. "Quest'anno abbiamo davvero una grande squadra - dichiarava Stephon Marbury immediatamente a ridosso dell'openin night - che può vincere tutte le partite: Curry e Randolph sono due Leviatani. E' come avere un centro di 4 metri per 300 chili"
Il campo, al momento, ha detto cose diverse, pur con la recente assenza dell'ex Portland dovuta alla morte della nonna. Prova ne sia, il sermone, che di religioso ha proprio poco, recitato da Isiah Thomas dopo le più recenti sconfitte: "Le palle perse - dice l'ex Bad Boy - sono troppe dobbiamo migliorare; così come la difesa che dev'essere più intensa se vogliamo essere una squadra d'elite." Alzi la mano chi non ha già sentito tutto questo.
A dispetto d'un record che prima della doppia battuta d'arresto contro Orlando e Miami e del fresco rovescio coi Suns è stato anche positivo come non succedeva da tempo, New York non sembra pronta a risolvere quegli equivoci che si porta dietro come diretta conseguenza del sistema di costruzione della squadra applicato dal suo Presidente: "Tutto parte dal fatto che Stephon Marbury e Jamal Crawford devono giocare assieme - ha spiegato nella sua rubrica Charlie Rosen, amico fraterno di quel Phil Jackson che a New York deve aver imparato qualcosa - ed essere liberi di creare con la palla in mano; da ciò che riescono a fare può beneficiare, in termini di spazio, Eddie Curry".
Evidentemente la pensa diversamente Thomas che, volando verso l'Arizona, dopo aver comunicato a Coney Island Finest la sua decisione di toglierlo nuovamente dal quintetto, ha sopportato l'ira funesta del giocatore, Un nuovo caso, sempre uguale a se stesso, in una squadra che non ne avrebbe bisogno: Steph è tornato a New York col permesso del suo capo allenatore. Almeno così ha dichiarato ai giornalisti.
Nel frattempo l'Atlantic Division s'è evoluta, da quella masnada di squadre cassate cui ci eravamo abituati: Boston ha pensato e realizzato in grande, Toronto vuol confermare il suo spessore. L'unica conferma che viene dalla sede dei Knicks è il filo cui è appeso l'incarico dell'ex proprietario della CBA (fallita). Anche questa non è una novità .
La storia di James Naismith contribuisce a raccontare del legame, instauratosi fra sport e religione, in un paese che di questo fenomeno ha fatto un deciso tratto di differenziazione dalla Gran Bretagna: membro di quella Chiesa Presbiteriana che oggi raccoglie attorno al 3% dei credenti praticanti del Paese e che ha visto fra le sue fila anche gli ex Presidente Dwight Eisenhower e Ronald Regan, Naismith imperniò proprio sullo sport da lui inventato su richiesta del preside, l'insegnamento dei dettami della religione di cui fu precettore.
Un misto di valori come il rispetto della tradizione (il Cattolicesimo Presbiteriano nasce proprio dall'istanza di conferire agli anziani un ruolo di prima importanza nella comunità ), il patriottismo e il divertimento, misto a sacrificio, che ancora oggi dovrebbe costituire, seppur con le dovute riserve, la base per il moderno concetto di sport entertinment. "La religione nello sport - si legge in "Playin' with God, Religion and Modern Sport", edito dalla Harvard University - seppe conciliare il prete e l'atleta, mentre nel vecchio continente i club sportivi spesso nascevano dalla contrapposizione fra laici e cattolici" (discutibile se si pensa, ad esempio a Celtic e Ragners in Scozia ndr) Esportando il proprio anglicanesimo, il mondo vittoriano contribuì a insegnare al mondo come e a che cosa giocare".
In maniera molto meno didascalica è evidente come la disciplina ed il concetto di gruppo, le regole stesse del nuovo gioco (in una prima stura Naismith ne individuò 13), sono una metafora di quello che tutti gli strumenti educativi, al di là dei valori che li possono distanziare fra loro, si propone di insegnare in vista della necessità di affrontare la società in cui si vive. E da questo punto che il legame fra sport e religione trae linfa vitale.
Poche sere fa , nella sua attuale veste di assistente allenatore degli Orlando Magic, è tornato al Madison Square Garden Patrick Ewing, il pivot simbolo delle battaglie degli anni '80, della finale persa contro gli Houston Rockets; mai amato come quel John Starks che divenne il simbolo della città , prima di toglierle il piacere di vincere un titolo sconfiggendo la squadra di Holajuwon e Vernon Maxwell in gara7, ma comunque ancora in grado di suscitare una standing ovation spontanea nel momento in cui il mega schermo lo ha inquadrato nel corso di un time out.
Smessi pantaloncini e canotta, il giamaicano sta mettendo a frutto gli anni di esperienza per i parquet d'America, per insegnare ai giovani lunghi l'arte della lotta sotto al canestro: ci ha provato con Yao, su richiesta del suo allenatore per antonomasia, Jeff Van Gundy, non ha ancora potuto prendersi cura di Eddy Curry.
Qualcuno potrebbe obiettare che, più che l'arte del post, Ewing potrebbe insegnare quella del tiro dalla media. Eppure rimane una contraddizione vedere l'ex Geogetown, lontano dalla sua città : "Quando saranno pronti ad assumermi - ha spiegato il giocatore mai particolarmente a suo agio quando s'è trattato di dire qualcosa di importante - io sarò pronto ad accettare" .
Persino Kareem Abdul Jabbar, l'uomo-isola della Nba silente per antonomasia, ha trovato uno spazio minimo per insegnare a Andrew Bynum, se non il gancio cielo vero e proprio, almeno il baby sky hook.
Una foto in bianco e nero , un po' ingiallita, ci riporta al 1962: quell'anno la Power Memorial Academy di Harlem dominò il campionato meritandosi una pagina di "tributo alla squadra che, come nessun altra, ha ottenuto vittorie e gloria, attraverso il duro allenamento e la fatica. In quel gruppo, un giocatore si sarebbe presto distinto, costringendo le autorità dello sport universitario a cambiare le regole e diventando, anni più tardi, il giocatore con la singola arma più efficace, e al tempo stesso elegante, della storia del gioco.
Lew Alcindor crebbe proprio nella scuola che fino al 1984 ebbe la sua sede sulla 161esima strada: ancora oggi l'attuale Kareem Abdul Jabbar è ricordato nell'incipit della storia dell'istituto come il personaggio più illustre dopo il fondatore, Monsignor Power.
Quest'ultimo volle creare una scuola per i figli di quegli irlandesi che proprio lui aveva contribuito a far arrivare dal vecchio continente e che stavano formando una comunità in rapido sviluppo. Un livello di istruzione adeguato e conforme alle richieste della comunità stessa è, come facilmente intuibile, la prima esigenza un un agglomerato di persone che, lontane dal paese d'origine, deve sviluppare un nuovo senso d'identità e appartenenza.
La storia del mondo, specie quello povero che fatica a trovare una sua collocazione di minoranza fra gli interstizi "offerti" dalla classe dominante, è sempre uguale a se stessa: valori solidi in cui credere, forza d'animo e talento fuori del normale sono le uniche risorse per sfuggire ad una realtà che sembra essere penalizzante.
L'aveva ben presente Jabbar nel 1971, quando si convertì e divenne, unitamente a Cassius Clay - Mohammed Ali, la figura più riconoscibile del movimento di protesta mussulmano legato allo sport professionista. Tanto che in una celebre foto, il campione dei Lakers si fece ritrarre, in preghiera, nella moschea di Al Aqsa a Gerusalemme.
La sue fede religiosa era cambiata, non i valori di riferimento per la sua crescita di uomo e immenso atleta.