Jason Kidd deve ancora perdere una partita con questa maglia…
Dopo il fallimento di Atene2004, il progetto "USA Team", in prospettiva Giappone 06 e Pechino 08, è stato affidato a Jerry Colangelo, uno dei g.m. più stimati dell' intera Lega, il quale ha così creato un supergruppo di 23 giocatori (sensibile comunque ad eventuali e necessari ritocchi) che si sarebbe ritrovato ad ogni estate per allenarsi e forgiarsi come "squadra": alla precarietà e alla superficialità delle selezioni precedenti si sostituiva perciò la scelta più coerente di un unico dirigente e la volontà di amalgamare i giocatori con un lavoro più continuo e pianificato.
Non è la prima volta comunque che gli USA devono rivedere i principi con cui selezionare le proprie rappresentative per superare i problemi e sconfitte subite nei tornei internazionali.
Il primo grande cambiamento si era verificato dopo il bronzo alle Olimpiadi di Seul 88 e ai Mondiali di Argentina 90: gli USA, che fino a quel momento avevano utilizzato sempre giocatori universitari, si erano resi conto della necessità di impiegare finalmente i professionisti poiché il talento, la freschezza e l'esuberanza atletica degli universitari ormai era regolarmente sconfitta dall'esperienza e dalla crescita tecnica delle squadre europee.
I fallimenti di Indianapolis02 e di Atene04 ha rappresentato la causa della "seconda grande rivoluzione": un team di giocatori PRO, ma costruito nel tempo e con le logiche proprie di uno sport di squadra.
I mondiali nipponici avrebbero dovuto rappresentare il grande riscatto statunitense e soprattutto una tappa di avvicinamento fondamentale alle Olimpiadi cinesi: in realtà il terzo fallimento in fila ha dimostrato come se da un lato gli USA siano migliorati come armonie di gruppo (tagliati alcuni elementi disgreganti come Davis, Iverson, Marbury), in realtà dal punto di vista di vista tecnico, questo processo di costruzione doveva essere ulteriormente perfezionato.
In questo senso il trionfo ottenuto da USA Team al torneo di Las Vegas va spiegato, soprattutto in prospettiva Pechino08, proprio in rapporto a questo processo di adattamento al basket moderno internazionale.
Il torneo di Las Vegas ha dimostrato al mondo intero come Kobe Bryant sia in questo momento l'unico giocatore al mondo in grado di fare la differenza in entrambe le metà campo di gioco; Carmelo Anthony ha fatto capire perché sia considerato da molti lo scorer puro più forte del mondo; Lebron James ha dominato la finale con l' Argentina segnando 31p con 8 triple a bersaglio, esibendo cioè il lato tecnico meno conosciuto del suo repertorio offensivo.
La prova di forza è stata totale e schiacciante ad ogni livello, sia collettivo che individuale: tuttavia sarebbe restrittivo spiegare la vittoria USA in rapporto al talento dei singoli. In primo luogo infatti, il livello qualitativo della competizione è stato in fatti fortemente livellato verso il basso sia per le numerose defezioni (l' Argentina era priva di Nocioni, Ginobili ed Oberto) sia per lo scarso valore globale delle squadre americane; in secondo luogo non si darebbe la giusta importanza al "progetto USA" che dopo Las Vegas sembra aver acquisito una fisionomia più logica e adeguata al basket FIBA.
Insomma gli americani, pur avendo rimediato in passato magre figure per colpa della loro presunzione e della loro miopia verso l' evoluzione moderna del basket, hanno dimostrato comunque di aver imparato dai loro errori, scendendo dal loro piedistallo di superbia e accettando con umiltà e intelligente realismo le "regole del gioco".
L'obbiettivo quindi a Las Vegas era non solo vincere ma superare in particolare tutti quei difetti che erano stati letali agli ultimi mondiali nipponici. La versione USA06, pur traboccante di talento, si era rivelata carente nella posizione di point-guard, nel tiro da fuori e nella conoscenza degli avversari: coach Mike Krzyzewsky inizialmente non sapeva (!!!) che nel basket Fiba si giocasse al limite dei ''24, si è letteralmente sorpreso delle doti di Belinelli, e in generale gli USA non hanno saputo minimamente reagire ai frequenti pick&roll con cui la Grecia li ha travolti in semifinale.
Dire che questi problemi siano stati risolti sarebbe prematuro dirlo; in ogni caso si ha la forte sensazione che i limiti suddetti siano stati considerati e affrontati con decisione e radicalità .
Il problema del playmaker ha trovato una precisa soluzione in Jason Kidd reduce da una stagione in cui ha vissuto con i Nets una seconda giovinezza, ed è considerato unanimemente come il play n. 1 nel migliorare i compagni.
Kidd ha garantito tutto ciò che i vari Andre Miller, Marbury, Chris Paul e Hinrich non erano riusciti a dare alle versioni precedenti di USA Team: leadership, personalità , e intelligenza in cabina di regia. Il fuoriclasse dei Nets ha spinto e innescato le transizioni offensive con la sua solita rapidità e aggressività , ha caricato a dovere e con i giusti tempi il braccio armato dei vari Anthony, Redd e James.
Il primo grande salto di qualità di USA Team rispetto al passato è consistito probabilmente in questo: aver ritrovato un play che sapesse gestire tecnicamente e mentalmente le personalità di chi gli giocava intorno, trovando sempre i ritmi e gli equilibri ideali per la squadra:
"Senza una presenza dominante come quella di Kidd, giocatori come Anthony, Kobe, Lebron rischierebbero di dominare il possesso palla così da far ristagnare l' attacco nelle loro mani. (") Paul e Hinrich sono buone point-guard ma non hanno di certo il peso specifico e le capacità di play-making di Kidd, tanto che con loro la palla era sempre nelle mani di Wade, James ed Anthony." ( John Denton, hoopsworld.com).
Le statistiche di Giasone in fin dei conti parlano molto chiaro: da quando è entrato nel giro della nazionale, con lui in squadra, gli Stati Uniti hanno un record di 38-0, mentre senza di lui sono arrivati risultati più altalenanti e incerti. In più: Kidd nel corso del torneo ha segnato in totale solo 18p, ma ha distribuito ben 46ass, e, dulcis in fundo, con il tiro da 3p più ravvicinato, ha tirato a Las Vegas con un notevole 62.5% da oltre l' arco.
Se Kidd ha rappresentato la guida tecnica della squadra, Bryant invece ne è stato la guida spirituale e carismatica: le personalità dei due fuoriclasse si sono fuse perfettamente, garantendo ai compagni dei punti di riferimento costanti nel gioco e nell' atteggiamento.
Continua…
Vedi anche:
Focus: Team USA (Part I)