Gordon sa che finchè si giocherà con un solo pallone difficilmente sarà in squadra con Bryant
Viva preoccupazione si sta diffondendo negli spogliatoi di Chicago e Detroit, anche se per quei reconditi meccanismi che solo gli psicologi dicono di saper governare, le due squadre hanno cominciato il campionato in maniera speculare. E' la "Kobe Bryant Fever" ad aver colpito colpito le due squadre della Central Division: "Kobe guarda a est - ha scritto pochi giorni fa Rich Bucher, giornalista di ESPN che si autodefinisce vicino al giocatore - e al momento non c'è combinazione migliore di quella che coinvolge i Pistons con quel Rip Hamilton che gioca proprio nel ruolo di Bryant"
Dumars se l'è presa, e di brutto, smentendo seccamente ogni tipo di discorso sullo scambio. "Ad ogni modo - ha ritrattato il Bucher - sarei sorpreso di vedere ancora Kobe a Los Angeles dopo il Giorno del Ringraziamento." L'ansia compresibilmente serpeggia, equamente distribuita tra coloro i quali si sentono in procinto di lasciargli spazio in squadra e quelli rassegnati ad essere i prossimi compagni del prodotto di Philadelphia.
Quest'ultimo ha iniziato la stagione ribadendo due cose: finchè sarà a Los Angeles, Kobe sarà i Lakers che vivranno o morranno con lui. Ne possiamo portare almeno tre prove. La prima: tutta la disapprovazione che il pubblico dello Staples Center gli ha riservato all'esordio perdente contro i Rockets, s'è trasformata in una standing ovation nella successiva vittoria contro Utah. La seconda: nelle due vittorie sinora ottenute dalla sua squadra il giocatore ha avuto un plus/minus medio a +20, addirittura + 27 contro i Suns. Contro Houston s'è invece fermato a +3. La terza, che da sempre è la croce e delizia dell'ex "pistoiese": sarà un caso, ma la squadra ha vinto nella partita in cui a tirato 19 volte (Utah), perdendo quando i tiri hanno sono diventati più di 30. Leggetela come vi pare: i Lakers perdono se Kobe è egoista, oppure perché più di tanto questo gruppo non può fare, specie senza Odom, quindi con le grandi la stella deve forzare oltre il lecito.
Staremo a vedere; nel frattempo pure Jim Paxson ha detto che "al momento non c'è una trattativa vera per Bryant", gettando nello sconforto tutti i giornalisti dello Chicago Tribune. In squadra intanto si parla, ha confessato Ben Gordon, "di cosa significa giocare in un ambiente che non fa altro che distrarti", e si perde; ma è un dettaglio.
Fino a prova contraria, si rincuorino i giocatori della città del vento, Kobe rimane inscambiabile per il contratto che si porta appresso e perché alla Nba non conviene far cambiare per il secondo anno consecutivo la casacca al giocatore che ne fa vendere di più in assoluto.
Shaquille O'Neal è pronto al ritiro , o per lo meno a trovare un accordo d'uscita dal suo contratto al termine della stagione. La motivazione incontestabile ce la fornisce Sam Smith, sul solito "Tribune": "O'Neal è alla 16 stagione nella Nba; anche Michael Jordan ha giocato 16 stagioni e viene un momento in cui anche i più grandi devono lasciare".
Jabbar, Karl Malone potrebbero testimoniare sul fatto che non è per forza 16 il numero (poco) magico.
E' pur vero che il giocatore che ha segnato 17 punti con 11 tiri nell'ultima sconfitta di misura con Charlotte ricorda molto vagamente il dominatore dell'inizio del nuovo millennio: il tempo passa per tutti. In attesa che rientri Wade, accolto da tutti i "flash" del mondo al suo primo allenamento con la squadra, è impossibile chiedersi con chi Shaq è costretto a giocare l'ultimo scorcio di carriera: Ricky Davis, Jayson Williams? Penny Hardaway? Da una località imprecisata negli Stati Uniti, spinto da un'incontrollabile crisi di gelosia, pure Jamal Wilkes s'è proposto per metter qualche tiro piedi per terra: Riley nemmeno più considera la possibilità di ingaggiare un giocatore che pensi pure difesa. Tanto c'è Mourning che al limite stoppa.
Per render più tosta la squadra e ringiovanirla, l'ex architetto dello "Show Time", è pronto a "imbelinare", come dicono a Genova, Haslem e Wright per Chris Kaman. Senza contare che sul mercato c'è pure quel Varajao che sta gavazzando a Rio de Janeiro e, in attesa di ottenere dai Cavs metà del lago su cui s'affaccia la città , è descritto come "moderatamente fuori forma". L'unica cosa che può salvare Riley è l'amicizia che è ben salda fra Ainge e Mc Hale; così salda da spingere il secondo a far la carità al primo.
Chiudiamo con la squadra che è già pronta a sbaraccare, per lo meno nelle parole del suo General Manager: i Sacramento Kings hanno già perso tre partite e non sembrano destinati a riverdire i fasti di Chris Webber e Vlade Divac. Lo sa bene Mike Bibby, ancora in città suo malgrado dopo che per tutta l'estate il suo agente ha mandato segnali a quei Cavs che Varajao "schifa". Geoff Petrie offre pezzi pregiati a tutti, come alla "Fiera dell'Est": solo che il topolino pare sia Shareef Abdur Rahim. Lo ha offerto pure a Mc Hale per Al Jefferson: "Chi ti credi d'essere? - è stata la piccata risposta dell'ex Celtics - Io l'elemosina la faccio solo a chi con me ha vinto qualcosa."