Kobe Bryant durante il match di preseason contro Golden State
Obbiettivi
Per il terzo anno di seguito, nella stesura di questa preview, associare le parole "anello" e "stagione gialloviola" non è possibile: è impensabile anche solo ipotizzare di arrivare in finale di Conference. Figuriamoci in una finale NBA. L'obiettivo massimo, realistico, ma allo stesso tempo persino difficile da ottenere, per i Los Angeles Lakers 2007-2008, è quello di approdare ai playoff.
Conquistare poi un secondo turno vorrebbe dire compiere un'impresa erculea, di quelle che si raccontano ai nipotini tra 30 o 40 anni. E questo non solo perché il roster non sia all'altezza delle formazioni più competitive, ma soprattutto perché, da un punto di vista psicologico, sono troppi i problemi con cui i lacustri si stanno già confrontando in questi giorni.
Dopo un'estate passata più a discutere della cessione di Kobe Bryant che dell'acquisizione di giocatori "franchigia" (vedi Kevin Garnett) ora, a pochi giorni dalla prima palla a due della stagione, si è tornati a chiacchierare, in alcuni casi a blaterare, su quale destinazione prenderà il giocatore più forte del mondo.
Una situazione irreale, che dà l'idea del fallimento di un progetto in cui la principale responsabilità non è di Kobe Bryant, ma una società che non è stata in grado di gestire il materiale umano a disposizione e, anzi, ha utilizzato personaggi assolutamente inadeguati (il general manager Mitch Kupchak in primis) per guidare una delle franchigie più prestigiose della Lega.
CONFERENCE: Western Conference
DIVISION: Pacific Division
ARRIVI: Derek Fisher (Utah Jazz) e Koby Carl
PARTENZE: Smush Parker (Miami Heat), Aaron Mckie (Ritirato), Shammon Williams (free agent).
ROOKIES: Javaris Crittenton (Georgia Tech – #19)
Probabile Quintetto Base
Playmaker: Derek Fisher
Shooting Guard: Kobe Bryant
Small Forward: Luke Walton
Power Forward: Lamar Odom
Centro: Andrew Bynum
Roster
NUM PLAYER POS HT WT DOB FROM YRS
54 Kwame Brown F-C 6-11 270 03/10/1982 Glynn Academy HS (GA) 6
24 Kobe Bryant G 6-6 220 08/23/1978 Lower Merion HS (PA) 11
17 Andrew Bynum C 7-0 275 10/27/1987 St. Joseph HS (NJ) 2
43 Brian Cook F 6-9 258 12/04/1980 Illinois 4
1 Javaris Crittenton G 6-5 200 12/31/1987 Georgia Tech R
6 Maurice Evans G 6-5 220 11/08/1978 Texas 4
5 Jordan Farmar G 6-2 180 11/30/1986 UCLA 1
2 Derek Fisher G 6-1 210 08/09/1974 Arkansas-Little Rock 11
3 Coby Karl G 6-5 215 03/06/1983 Boise State R
31 Chris Mihm C-F 7-0 265 07/16/1979 Texas 7
7 Lamar Odom F 6-10 230 11/06/1979 Rhode Island 8
10 Vladimir Radmanovic F 6-10 234 11/19/1980 Serbia & Montenegro 6
21 Ronny Turiaf F 6-10 249 01/13/1983 Gonzaga 2
18 Sasha Vujacic G 6-7 195 03/08/1984 Slovenia 3
4 Luke Walton F 6-8 232 03/28/1980 Arizona 4
HEAD COACH
Phil Jackson (College - North Dakota)
ASSISTANT COACHES
Frank Hamblen (College – Syracuse)
Kurt Rambis (College – Santa Clara)
Brian Shaw (College – UC-Santa Barbara)
Kareem Abdul-Jabbar (College – UCLA)
Craig Hodges (College – Long Beach State)
Jim Cleamons (College – Ohio State)
ATHLETIC TRAINER
Gary Vitti (College - Southern Connecticut State)
Commento
Cominciamo dall'inizio. Per quei pochi che hanno passato l'estate ignorando totalmente il basket "made in USA" facciamo un piccolo riassunto: a Los Angeles è successo di tutto. O forse non è successo niente. Ed è questa la cosa più grave.
L'aspetto che più era stato criticato alla dirigenza negli passati, l'immobilismo sul mercato dopo l'affare Shaquille O'Neal, è divenuto un vero marchio di fabbrica: Mitch Kupchak, il general manager più odiato sul pianeta, ha continuato a NON acquistare giocatori. O meglio, a NON portare a Los Angeles atleti in grado di puntare subito all'anello.
Niente Kevin Garnett, finito per uno strano scherzo del destino (o forse per merito del duo biancoverde Kevin McHale-Danny Ainge) nella città di Boston. Niente Jermaine O'Neal, restato nell'Indiana, ai Pacers, per volere di un altro bostoniano D.O.C., Larry Bird.
Due nomi, più il primo forse, in grado di cambiare i destini di una franchigia che rischia, per un altro anno ancora, di rimediare più figuracce che soddisfazioni.
Subito dopo il KO in gara5 contro i Phoenix Suns, al primo turno degli scorsi playoff, Bryant aveva dichiarato: "La dirigenza faccia qualcosa e lo faccia ora". A quel punto è stato un crescendo di battute, controrepliche, commenti a mezza bocca che hanno avuto come unico risultato quello di innervosire sempre più un ambiente già di per sé incline alla polemica.
Bryant attraverso il suo sito ufficiale, verso la fine di giugno, faceva sapere di essere stanco di una società immobile, incapace di migliorare un roster bisognoso di innesti di valore, di lottare ogni anno per uscire al primo turno di playoff. I Lakers informavano Bryant che qualcosa si sarebbe fatto nel corso dell'estate. A quel punto Bryant ritrattava la sua posizione iniziale (facendo di sicuro buon viso a cattivo gioco) e il sereno sembrava essere tornato ad L.A. Ma era solo una facciata.
Dopo una seconda parte d'estate passata in sordina, la squadra si riunisce all'inizio di ottobre per il training camp. Bryant arriva (per la verità con 35 minuti di ritardo, quanto basta per far innervosire tifosi e giornalisi), inizia ad allenarsi e gioca la prima partita di preseason contro Golden State. Tutto normale quindi. Niente affatto perché Jerry Buss, il giorno seguente alla prima partita di prestagione, decide di rilasciare un'intervista nella quale afferma che Kobe Bryant non è intoccabile, non è incedibile.
Un'intervista, peraltro inopportuna, nella quale afferma che la società , durante il mercato estivo, non ha avuto molti margini di manovra per acquistare i giocatori più forti perché a roster, i gialloviola, non hanno avuto elementi appetibili.
Dunque Buss non solo rinnova la fiducia a Kupchak, ma mette sul mercato persino Bryant, il fiore all'occhiello di questi Lakers. Strano, davvero strano. Perché prima di fare una cosa del genere, bisognerebbe chiedersi chi ha costruito quel roster poco appetibile a cui fa riferimento Buss; chi ha firmato Radmanovic a quelle cifre intasando il "salary cap"; chi ha acquistato Kwame Brown per cedere Caron Butler; chi ha rifiutato gente come Ron Artest e Baron Davis!
Eppure la colpa è di Kobe Bryant. Misteri alla "Carlo Lucarelli".
La telenovela, d'altronde, è solo all'inizio. Qualche giorno dopo Kobe non si allena per tre albe consecutive (da domenica 14 ottobre a mercoledì 17). Radio, televisioni, siti internet, tifosi e curiosi si scatenano con le ipotesi e, addirittura, cominciano a fare lo stesso ragionamento spacciandolo come sillogismo, ma che, in realtà , con i socratici dell'antica Grecia ha veramente poco a che fare: non si allena, sta per lasciare i Lakers, ha svuotato l'armadietto, lo hanno già venduto: un crescendo di voci, una “climax” omeriana che lascia senza parole. Un “pour-parler” di indescrezioni, molte volte non confermate, che lascia sbigottiti e attoniti.
La trade, nonostante le molte cose false dette, sembra molto vicina e i Chicago Bulls appaiono la squadra prescelta per lo scambio: Joachim Noah, Ben Gordon, Andres Nocioni, Tyus Thomas e la prima scelta non protetta dei Bulls. Tutto questo ben di Dio per Bryant. Certo, il giocatore più forte dell'attuale NBA, ma non Magic, Bird e Jordan insieme. Un'offerta un po' troppo esagerata per un giocatore di 29 anni, per quanto fortissimo. Per altro Nocioni non potrà essere ceduto dai Bulls fino al 15 dicembre.
E infatti, alla fine, non se ne fa nulla. I ben informati, fra i quali gli stessi analisti di ESPN che davano l'affare come fatto, dicono che Bryant non si muoverà fino a febbraio: vuole vedere cosa ne sarà di questi Lakers. Vuole vedere se la dirigenza potrà portare entro la “deadline” di febbraio quel giocatore in grado di spostare gli equilibri difensivi (vedi l'Artest scontento, nonché rinnovato dopo il viaggio rivelazione in Africa di Sacramento). Per ora, quindi, i Lakers possono stare tranquilli.
E, al di là delle indiscrezioni, se si volesse ragionare solo di logica, questa volta sì reale e appropriata, c'è da dire che, almeno fino a febbraio o anche per un altro anno, “il 24 ex 8” rimarrà in gialloviola. Se, infatti, la motivazione di Bryant per lasciare Los Angeles è quella di voler vincere da subito non sprecando gli anni migliori della sua carriera (pensiero rispettabilissimo), allora nessuna franchigia NBA, fra quelle più forti, può permettersi di acquistarlo in questo momento perché andrebbe a smembrare una squadra già vincente.
I Lakers, inoltre, non svenderebbero Kobe, ma lo cederebbero solo per una contropartita degna di questo nome, come per altro hanno già confermato sia Buss che Kupchak.
A tutto questo c'è da aggiungere che, per quanto possa valere, le prime gare di preseason hanno dato qualche indicazione positiva su quella che sarà la stagione gialloviola. Soprattutto il parere di Kobe sembra essere molto positivo sul nuovo trend della squadra: “Sono molto orgoglioso del mondo in cui stiamo giocando, di come sta giocando Ronny (Turiaf), di come sta giocando Andrew (Bynum). Stiamo facendo delle ottime partite. Anche Chris Mihm, al rientro da un grande infortunio ha giocato una grande partita. Sono molto eccitato, soprattutto per Chris perché ha fatto un grande lavoro per ritornare sul parquet.
Ma, soprattutto, Kobe Bryant è orgoglioso e felice del nuovo ruolo che Phil Jackson sembra aver disegnato per lui e che nessuno si sarebbe aspettato gli sarebbe piaciuto: quello del facilitatore. “Posso fare entrambi – ha detto Kobe ai giornalisti il giorno dopo il match di preseason contro Charlotte – posso essere sia realizzatore che facilitatore”.
Ottime notizie che faranno sicuramente ben sperare tutti i tifosi.
Archiviato dunque, almeno per il momento, il caso Bryant passiamo al resto della squadra. In estate è ritornato alla base Derek Fisher. Un giocatore assolutamente indispensabile a questo sistema, un ottimo difensore, con un buon tiro da tre e una conoscenza del triangolo davvero approfondita: sin dall'inizio il "pesce" potrà essere molto utile al sistema jacksoniano. Al momento Fisher è l'unico acquisto dell'estate gialloviola.
Al draft, al primo giro, i Lakers hanno scelto con il numero 19. È stato chiamato un palymaker molto interessante: Javaris Crittenton di Georgia Tech, classe 1987. Molto probabilmente si tratta di un futuro campione. Chi lo conosce bene lo definisce come il vero colpo del draft e a vederlo bene, nelle prime uscite in maglia Lakers c'è da dire che Crittenton in pochi anni diventerà uno dei giocatori più ammirati della NBA.
I tifosi dello Staples Center già lo considerano un idolo. Staremo a vedere, ma se i risultati lacustri gli daranno una mano potrà giocarsi il premio di matricola dell'anno. Certp Phil Jackson non è il miglior allenatore da questo punto di vista, ma nella vita c'è sempre una prima volta. Quello di cui Crittenton ha bisogno è personalità . Una caratteristica che non sembra fargli difetto.
Per il resto i Lakers sono quelli di 365 giorni fa. L'unica cosa che la dirigenza spera possa essere diversa rispetto alla stagione passata, e su questo hanno pienamente ragione, è la quantità di infortuni che questo roster subirà .
L'anno scorso, dopo un avvio veramente ottimo e convincente (26W-13L) i Lakers sono crollati anche per colpa della malasorte che in breve tempo ha decimato completamente la squadra. Un lazzaretto a Los Angeles: tutti i giocatori all'attivo, infatti, hanno visitato l'infermeria per più di dieci giorni rendendo impossibile qualsiasi tentativo di amalgama o chimica di squadra. Non vuole essere una scusa, ma è l'evidenza dei fatti.
Variabili ed incognite fondamentali in questa nuova annata saranno quattro giocatori: Luke Walton, Lamar Odom, Kwame Brown e Andrew Bynum. Tutti e quattro sono chiamati all'annata del riscatto, ad una stagione da protagonisti, a confermare quelle qualità che fino ad ora sono rimaste nascoste e conosciute solo a loro stessi e a pochi intimi. L'anno della verità per molti versi, vera e propria ultima spiaggia.
Molta fiducia c'è su Bynum ed Odom. Se il primo è alla sua terza stagione NBA ed è chiamato al vero salto di qualità (soprattutto in difesa) per garantire ai Lakers quella profondità nel pitturato, il secondo è atteso alla stagione del riscatto. Dopo la tragedia dell'estate scorsa (troppo spesso sottovalutata quando si è giudicato Lamarvellous) Odom ha giocato una stagione con molti bassi e pochi alti.
Gli infortuni, come dicevamo in precedenza sono stati una delle cause principali di involuzione inaspettata. Quest'anno l'ala gialloviola ha molte motivazioni: vuole giocare una stagione intera senza problemi fisici, vuole essere quel compagno di squadra valido che Bryant tanto ha richiesto in estate e vuole essere quel giocatore tout-a-court che ai Lakers farebbe tanto comodo.
Altro discorso per Walton e Brown. Se il primo deve dimostrare di essere un giocatore di basket anche in difesa, il secondo deve convincere tutti che l'anno passato è stato solo un incidente di percorso in quel progressivo miglioramento iniziato nel febbraio del 2006 e che era avanzato fino ai playoff del 2006, quelli delle sette gare contro Phoenix, in cui Brown aveva messo in mostra qualità di primo livello. Per la prima scelta del 2001 sarà l'ultima stagione in gialloviola (il contratto è in scadenza nell'estate del 2008): o dimostra qualcosa o sarà tagliato.
Per quanto riguarda il resto del roster si tratta dei soliti noti: Vujacic, Cook, Radmanovic, Turiaf, Mihm (al rientro dopo una stagione in infermeria) e Farmar. Tutta gente all'ultima spiaggia che non potrà permettersi errori.
Un ultimo appunto sul quindicesimo giocatore che è entrato a far parte del roster. Alla fine il ballottaggio l'ha vinto allo sprint la guardia Coby Karl, classe '83, il figlio del coach dei Denver Nuggets, il quale ha battuto sulla linea del traguardo Larry Turner, ala grande-centro di Tennessee State, classe '82. Si tratta di una vera scommessa, di un giocatore dall'elevato Q.I cestistico, dall'ottimo tiro dalla distanza, ma tutto da verificare per quanto riguarda difesa e affidabilità sulla lunga distanza. Staremo a vedere, ma di sicuro, con Phil Jackson come allenatore avrà molto da soffrire.
A proposito di coach Zen. Questo per lui sarà l'ultimo anno in gialloviola. Entro gennaio dovrà decidere se rinnovare o meno il contratto. Un motivo in più per considerare la stagione 2007-2008 come l'ultima di un grande ciclo iniziato ormai dieci anni fa.
Stay tuned