Ad Orlando il presente ed il futuro ruota tutto attorno a Dwight Howard…
Molto spesso, cogliere l' essenza di un problema è principalmente una questione di "punti di vista": si tratta cioè di individuare la prospettiva giusta dalla quale considerare i fatti, e che in molti casi porta automaticamente ad immedesimarsi nello spirito e nella mente di chi, gli eventi, li ha intrapresi o anche solamente progettati.
Per utilizzare un termine molto diffuso nel Settecento illuministico, potremmo definire questa forma mentis il "giusto mezzo", ovvero quell' atteggiamento fondato sui principi dell' equilibrio e della razionalità che ripara l' individuo da pericolose e fuorvianti tentazioni come, ad esempio, i facili entusiasmi o gli affrettati pessimismi, e che lo porta invece ad inquadrare con più realismo le coordinate del problema.
E proprio una sana dose di realismo è probabilmente il punto di partenza indispensabile per valutare le operazioni di mercato intraprese fino a questo momento dagli Orlando Magic: operazioni consistenti, non tanto dal punto di vista quantitativo, quanto piuttosto da quello qualitativo. Fino a questo momento infatti, sono state solamente due le operazioni in cui si riassume il mercato dei Magic: l' assunzione come head coach di Stan Van Gundy al posto di Brian Hill, e l' acquisizione dal mercato dei free-agent di Rashard Lewis.
"Poche mosse ma buone, o comunque molto significative" vorrebbe da dire, ma soprattutto vorrebbero pensarlo, e vederlo poi logicamente confermato dai fatti, i tifosi e la dirigenza di Orlando che spera di aver ulteriormente consolidato e sviluppato la struttura architettonica di una squadra che, secondo i progetti, tra un paio di anni dovrebbe aspirare al titolo in maniera più che credibile.
Solo il tempo e l' evolversi di certe situazioni tecniche potrà rivelare la bontà di questi movimenti e far capire quanto siano giustificate e legittime certe ambizioni. Tuttavia vi è una verità che è praticamente inconfutabile: l' arrivo di Van Gundy e di Lewis sono stati due acquisti pesanti ed essenziali da un lato per l' impatto che, almeno teoricamente, dovrebbero esercitare sull' immagine tecnica della squadra, ma dall' altro anche per il dibattito che hanno suscitato all' interno della Lega.
D' altra parte è quasi inevitabile che quando una franchigia si muove durante il mercato estivo con la forza e l' impetuosità dei Magic, sia poi destinata a far discutere per i risultati e le prospettive con cui lo ha fatto; a quel punto però, il rischio, come si accennava in precedenza, è proprio quello di farsi trascinare troppo facilmente dal flusso emotivo o dal clamore del momento perdendo la giusta prospettiva, e lasciarsi andare o ad ingenui trionfalismi o ad altrettanto premature critiche.
Indiscutibilmente, Orlando si è addentrata nel mercato con più immediatezza e furore rispetto alle altre società : la franchigia della Florida si è tuffata fin da subito nelle operazioni estive con grande ardore, con l' obbiettivo di prendere il mercato "per le corna"e di far capire a tutti, nella Lega, quanto fosse radicata e viscerale la volontà di catturane i pezzi pregiati per continuare a costruire un progetto vincente.
I Magic hanno concluso infatti la stagione 2006/07 con l' eliminazione al primo round dei play-off subita da parte di Detroit: un 4-0 che non ha ammesso storie né tanto meno repliche, ma che tuttavia, nella sua brutalità , aveva fatto capire molto chiaramente alla dirigenza, in particolare al gm Otis Smith, quali fossero i punti fermi ma soprattutto i limiti sui quali impostare le strategie di mercato.
"Continuare a costruire" : è questa l' espressione chiave per cogliere lo spirito e gli obbiettivi con cui Orlando sta affrontando l' estate in corso e che ci fornisce di conseguenza l' esatta dimensione in cui le decisioni dirigenziali vanno inserite.
E l' esatta dimensione dei Magic è quella di una società che è stata distante dall' anello un crollo nervoso di Nick Anderson nelle Finals del 94/95 (il tanto famoso 0/4 ai liberi in gara1 contro i Rockets), e che pur essendo riuscita a firmare nomi di grosso calibro negli anni successivi (Grant Hill e Tracy Mcgrady) non è mai diventata una contender credibile per il titolo; ora invece, la franchigia della Florida ha deciso di ricostruire gradatamente dalle basi.
Basi virtualmente che sono state gettate nei tre anni precedenti a questo e in cui la società ha deciso di disfarsi di coloro che in teoria dovevano essere le ragioni del successo: sono stati così ceduti prima T-Mac (2004/05), poi Steve Francis (05/06), arrivato proprio in cambio di McGrady.
Si è trattato di cessioni dolorose e decise, per certi versi, a malincuore per il talento dei giocatori e per la fiducia che la società riversava in loro, ma necessarie, poiché alla classe dei giocatori, in entrambi i casi si contrapponevano rilevanti problemi caratteriali: nel caso di Francis i rapporti con l' allenatore Brian Hill erano ai minimi termini, nel caso di McGrady invece la dirigenza non accettava un atteggiamento soft e, in alcuni casi, persino demotivato da parte di chi doveva essere il simbolo della franchigia e intascava per questo cifre da capogiro.
Cedere giocatori con contratti e personalità così ingombranti ha comportato di riflesso due importanti conseguenze: liberare molto spazio sotto il salary cap (Francis è stato ceduto ai Knicks in cambio del contratto di Anfernee Hardaway che scadeva proprio quest'anno), e concedere molti minuti e responsabilità alle matricole per svilupparli e capire con una certa attendibilità su chi si sarebbe potuto puntare per coltivare certe ambizioni.
In questa sorta di tabula rasa realizzata per ripartire dalle ceneri e con molto denaro da investire sul mercato al momento giusto, Orlando ha ricostruito a partire innanzitutto da Dwight Howard, ma anche da Jameer Nelson, entrambi scelti nel draft del 2004.
A tre anni di distanza da quel draft, i due sono stati, fino alla scorsa stagione, i perni della squadra, non tanto a livello di leadership mentale e caratteriale che apparteneva invece a Grant Hill (poi firmato quest'estate come free-agent dai Suns), quanto a livello tecnico: essi infatti costituiscono l' asse fondamentale play-pivot e sostanzialmente i Magic sono andati dove li portava il rendimento dei due giovani virgulti.
In particolare Dwight Howard è stato individuato fin dalla sua stagione da rookie, come l' elemento chiave attorno al quale costruire una squadra da vertice, e come il primo passo di un avvicinamento progressivo alla vetta che in quest' estate sembra aver vissuto la seconda importantissima puntata.
Un lungo con le potenzialità di Howard rappresenta un capitale inestimabile per una franchigia che vuole vincere: spesso vedendolo giocare, è difficile stabilire se attragga di più nel giocatore la sua terrificante forza fisica che alla lunga potrebbe ricordare quella dello Shaq prima maniera, o se sia preferibile, al contrario, porre l' attenzione sui suoi ancora evidenti limiti e inquietarsi all' idea di quale giocatore possa diventare in prospettiva futura.
Chiaro però come Howard possa e debba essere necessariamente solo l' inizio di un progetto vincente, e che per questo necessiti di un supporting cast all' altezza. Ecco quindi che durante questa estate i Magic hanno cercato di sciogliere altri due nodi cruciali per supportare Howard: allenatore e affiancargli un realizzatore.
E il primo nodo da sciogliere era indubbiamente quello dell' allenatore: Brian Hill, coach più vincente nella storia di Orlando e famoso per essere stato il capo allenatore delle Finali disgraziate del 94/95, è tornato in questa organizzazione due anni fa, dopo averla lasciata da un decennio.
Il suo lavoro in questo biennio ha sicuramente mostrato dei lati apprezzabili: l' attenzione per la tecnica individuale, la preparazione maniacale delle partite e il logico tentativo di valorizzare Howard. Tuttavia Hill non ha soddisfatto del tutto: ha mostrato poca fermezza nel gestire le personalità forti del gruppo come ad esempio Steve Francis, e soprattutto la dirigenza non crede sia lui la guida giusta per costruire una squadra divertente, spettacolare e che punti a scalare i vertici della Lega.
Dal 23 Maggio, giorno in cui la dirigenza ha ufficializzato il licenziamento di Hill, è cominciata la caccia ad un allenatore che rispondesse a queste prerogative di entusiasmo, grinta, spettacolarità , anche se il nome, al di là di tutte le ipotesi che circolavano (Carlisle, Iavaroni), era già chiaro da tempo: Billy Donovan, rampante coach dei Florida Gators e vincitore degli ultimi titoli NCAA.
Continua…