Quell’ombra sugli atleti NBA

Yao Ming da quando è a Houston ha ricostruito i suoi muscoli

Digitando poche parole chiave, "doping addiction" basketball, nba" nello spazio apposito dell'home page della ESPN si ottiene una risposta secca: " There are no articles about DOPING USE BASKETBALL NBA within ESPN," "Non ci sono articoli che parlino di uso di doping nella Nba sul sito" . Qualcosa di più si ricava sostituendo alla parola "doping" "drug" perché la lega, e l'America in genere, equipara i due concetti. E quindi si ottiene una lista di atleti che hanno violato la disciplina sull'uso di sostanze come la cannabis, le anfetamine e, in casi più rari, droghe più pesanti.

Lo spunto interessante arriva quindi da una "breve" pubblicata l'11 giugno del 2006 in cui Billy Hunter, avvocato rappresentante del sindacato giocatori Nba, si oppone con decisione all'introduzione di esami del sangue che evidenzino l'eventuale uso del famigerato ormone della crescita da parte dei suoi assistiti: "Credo - dichiarò Hunter in quell'occasione - che i giocatori vengano già  testati nella giusta misura. La pallacanestro non è il baseball." Il riferimento è allo scandalo che il 22 gennaio del 2002 costrinse perfino l'attuale presidente George W. Bush, a spendere "sentite parole" e a dichiarare guerra (la cosa gli riesce tristemente bene) all'uso di steroidi.

Da poco erano stati introdotti nel baseball controlli accurati e alcuni protagonisti di prima fila come Mc Gwire e Bonds, erano stati investiti da sospetti pesanti come macigni. La ricetta che Bush enunciò nel 2002 fu per certi versi lapalissiana: controlli più accurati e frequenti, pene più dure per i trasgressori. La storia insegna infatti che l'uso di sostanze stimolanti si accompagna da sempre alla pratica sportiva e non solo; la triste conseguenza è che quando vengono introdotti i controlli che la scienza di sforza di sviluppare si scopre che qualcuno va oltre le regole.

Lo dovrebbero saper bene i Cafri, una popolazione guerriera dell'Africa sub-sahariana: i loro giovani, per farsi coraggio e per essere più forti in vista delle prove di iniziazione cui vengono sottoposti, prendono il "Dop", un estratto liquoroso con effetti stimolanti. Da qui gli inglesi hanno mutuato la parola doping.
Pratiche analoghe erano diffuse anche fra gli atleti dell'antica Grecia che usavano unguenti, più che sostanze da prendersi per bocca, allo scopo di stimolare la muscolatura e sopportare maggiormente la fatica.

In era moderna l'argomento tornò tragicamente d'attualità  negli anni '60 con la morte del ciclista Tommy Simpson nel corso d'una dura tappa del giro di Francia.
Solo nel 1963 si arrivò ad una definizione condivisa della parola doping e di cosa significa assumerlo: "Il doping – si legge nel documento redatto a conclusione dei lavori del Congresso di Strasburgo - è la somministrazione ad un soggetto sano o l'utilizzazione fatta dal soggetto stesso, di una sostanza estranea al suo organismo. E questo con il solo scopo di aumentare artificialmente ed in maniera sleale la prestazione del soggetto in occasione della sua partecipazione ad una competizione.”

Da qui partono due considerazioni: la legislazione, è sempre stato così e le cose non cambieranno, insegue i comportamenti e non il contrario. Né più ne meno di quanto avviene con l'introduzione di nuovi controlli e delle modifiche che annualmente vengono apportate alle liste delle sostanze proibite. Nel 2006 la WADA, l'Agenzia che si occupa di lotta al doping su scala planetaria, ha stanziato fondi per più di 5 milioni di dollari per 26 progetti di ricerca legati all'abuso di prodotti inseriti nelle liste nere; il numero di richieste aumenta di anno in anno.

Secondo: il doping non è una droga,nell'accezione negativa che questo termine ha assunto dalle nostre parti, come potrebbe pensare chi traduce male dall'inglese. Il doping è una sostanza comune, ad esempio la caffeina, che viene usata in quantitativi fuori dell'ordinario, e per scopi talvolta diversi da quelli riconosciuti come benefici. Oppure ancora, una medicina per la quale è stata evidenziata l'efficacia clinica. L'utilizzo fraudolento, al di fuori della necessità  di cura d'un paziente, configura l'irregolarità .

A cosa si associa il concetto di sostanza illecita? Non tanto all'etica e alla lealtà , che può legittimamente cambiare da paese a paese. Proprio al riconoscimento degli effetti nefasti che una somministrazione continuativa, a dosaggi fuori dell'ordinario, e comunque non a scopo teraputico, può avere sull'atleta che la subisce. Sul Mont Ventoux, si scrisse, Simpson morì a causa delle anfetamine che aveva assunto e alla loro interazione con il caldo e l'affaticamento cardiaco. Ben triste e noto è il caso delle atlete della Germania dell'est che hanno dato alla luce bambini deformi in seguito all'uso di anabolizzanti che ne avevano intanto mascolinizzato pesantemente i tratti somatici.

Sull'argomento le realtà  si mescola a tal punto con la sinistra aneddotica, da render arduo stabilire dove finisce la verità  e inizia la fantasia.
Alla conferenza mondiale di Copenaghen del 2003, il Comitato Olimpico Internazionale e quelli nazionali, le Federazioni sportive facenti parte degli sport olimpici decisero di sottoscrivere entro l'inizio delle Olimpiadi di Atene del 2004, il Codice Wada, una serie di norme nate per armonizzare la lotta al doping e consentire un dialogo fra le diverse culture e sensibilità . Da quella data, chi partecipa alle competizioni mondiali deve assoggettarsi al codice e far riferimento alla lista delle sostanze proibite e delle eventuali esenzioni "per motivi medici" (L'esempio più noto e dibattuto è quello di Lance Armstrong e del suo cancro alla prostata).

La lista entrata in vigore al 1° gennaio 2007 conferma l'assoluta proibizione per le sostanze facenti parte degli "Anabolic Agents", per l'eritropoietina, l'ormone della crescita e i corticoidi. Nell'organismo non devono essere trovate tracce di questi "prodotti", né i cosiddetti metaboliti, le versioni modificate dalla loro interazione con il nostro organismo.
A cavallo fra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio non furono pochi i casi di cestisti americani arrivati in Europa e trovati positivi all'efedrina.

Questa sostanza, ricavata dalla pianta dell'efedra, è al giorno d'oggi stata bandita dalla WADA: si tratta di un broncodilatatore che in medicina può essere usato per la cura di difficoltà  respiratorie. Essendo poi uno stimolante del metabolismo, l'efedrina può essere impiegata pure per controllare o ridurre il peso corporeo.

Gli atleti americani in casi come questi semplicemente non facevano altro che portare in Europa un comportamento che nel loro paese non era ritenuto irregolare; né più né meno di chi arriva e scopre di non essere capace a partire in palleggio senza fare "passi".

Ora l'efedrina è entrata a far parte delle sostanze che gli atleti dell'Nba non possono usare, così come gli steroidi furono introdotti nella lista nel 1999: fu l'anno dell'ultima serrata, che dimezzò il primo campionato vinto dai San Antonio Spurs. La disputa contrattuale tra la lega e i giocatori riguardò anche un allargamento della lista di proibizione; ma l'unione giocatori preferì fare le barricate sull'uso della marjuana, ora comunque divenuta illegale.
La Nba è chiara su questo punto: se un atleta sottoposto a un test, risulta positivo agli steroidi subisce una squalifica di 5 gare e deve entrare a far parte del programma di recupero. La seconda volta le gare di squalifica diventano 10, alla terza si arriva a 25 gare. Queste pene, così come sono, non appaiono severissime.
Eppure curiosamente, ogni volta che si parla di controlli più severi, i primi a dimostrarsi contrari, sono proprio gli atleti; chi, cioè, dovrebbe affermare come un diritto la pratica dello sport senza usufruire di aiuti illeciti e potenzialmente pericolosi.

L'ormone della crescita, che poi è la somatotropina, una sintesi di 191 aminoacidi, è prodotto dal nostro organismo per stimolare la crescita in età  infantile e adolescenziale; un eccesso di produzione causa la sindrome del gigantismo, che per convenzione medica è considerata a partire dai 225cm d'altezza. L'ormone della crescita non fa parte, come detto all'inizio, delle sostanze bandite dalla Nba.

E' giusto far notare che nella lista più aggiornata di chi ha riconosciuto come valido il codice della WADA, si trova L'USADA, l'Agenzia per la lotta al Doping degli Stati Uniti, ma non la Nba. C'è ovviamente la Federazione Internazionale del Basket, la FIBA.

Negli USA, l'Accademia Nazionale della Medicina Anti Invecchiamento, ha fatto di quest'ormone, un fenomeno nella lotta all'invecchiamento e nel miglioramento della qualità  della vita in età  avanzata, basandosi sul principio secondo il quale il corpo umano perde col tempo la possibilità  di produrlo in proprio, come naturale conseguenza del ciclo delle vita. "La produzione dell'ormone della crescita (GH) con la tecnica del DNA ricombinante ha aperto la strada alla sperimentazione del trattamento anche in condizioni caratterizzate da bassa statura ma da una normale produzione endogena del GH" , ha affermato dottor Sandro Loche, endorinologo e pediatra, al recente congresso della Società  Italiana di Endocrinologia.

Le applicazioni al mondo della pallacanestro sono evidenti. Non si può dire la stessa cosa per i dati epidemiologici su eventuali effetti collaterali. Di fatto la massa muscolare aumenta, anche la statura "nell'ordine - spiega ancora Loche - di 4-5 centrimetri in bambini sottoposti a trattamento continuato." "Un trattamento con l'ormone della crescita per sei mesi - si dice in uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine - ha avuto influenza sulla massa magra ed il tessuto adiposo corrispondente ai cambiamenti ottenuti durante 10 – 20 anni d'invecchiamento.

Nel corso della stagione sportiva 2003 - 04 il Giornale dell'Associazione Medica Americana pubblicò in un articolo i risultati di un'indagine sul livello di obesità  dei giocatori della Nfl: vennero prese le altezze ed i pesi dei giocatori dei Carolina Panthers, l'unica squadra a concedere l'autorizzazione, per poi ricavare gli indici di massa corporea. Per le altre squadre furono utilizzati i dati pubblicati sulle guide ufficiali. Su 2.168 atleti fra i 21 e i 44 anni, gli indici (ottenuti dividendo il peso per il quadrato dell'altezza) evidenziarono come la presenza di giocatori con un valore superiore a 30, per il quale si configura un'obesità  di primo livello, è doppia rispetto ai dati sulla popolazione nella stessa fascia d'età  pubblicati quell'anno dall'Istituto Nazionale per la Salute e la Corretta Nutrizione.

Il football è sport particolare in cui vi è un'alta presenza di atleti, gli uomini di linea, pesanti e grassi: quest'ultimi però evidenziarono obesità  di secondo se non addirittura terzo livello, con indici superiori rispettivamente a 35 e 40. Il "30" si riferisce alla "classe media" della Nfl.

In maniera del tutto non ufficiale si fece qualcosa del genere anche per la pallacanestro: Shaquille O'Neal, con il suo 31.6, ne uscì come il giocatore più grasso in assoluto. Nessuna sorpresa. In generale anche nella Nba l'obesità  era molto diffusa. Fra i pochi atleti in controtendenza, Shawn Bradley. "L'indice di massa corporea - obiettò Tim Frank, vice presidente dell'area comunicazione e media della Nba - è un fattore soggettivo: nella realtà  i nostri atleti sono ai massimi livelli nel mondo per forma e salute complessiva" Tutti gli addetti ai lavori si affrettarono a confermare questa tesi. Ma non si capisce perchè esso dovrebbe essere valido per un Herman Mayer, lo sciatore austriaco che fece non poco scalpore con la sua struttura muscolare, e non per un comune giocatore di basket. L'obesità , anche se naturale, caratterizzata cioè dalla presenza di molto tessuto adiposo a causa d'una alimentazione scorretta, è comunque ritenuta un fattore di rischio per patologie cardiovascolari e diabete; qui però si tratta di sportivi che, in presenza di indici di massa corporea superiori alla media, evidenziano, salvo casi straordinari, pure una quantità  di tessuto grasso di gran lunga inferiore alla media.

Farsi un'opinione su una materia così tecnica e controversa è oggettivamente difficile: nel caso dei cestisti si tratterebbe di un utilizzo non motivato da evidenti patologie. Velocisti come Justin Gatlin e Tim Montgomery sono stati duramente puniti per l'abuso dell'ormone della crescita. Marion Jones, da meravigliosa atleta che era, non è più tornata sui livelli antecedenti all'esplosione dello scandalo Balco. Detto questo: a chi scrive pare perlomeno singolare che la Nba vada in netta controtendenza con quanto nel resto del mondo si va affermando.

Da qualche parte potrebbe esserci un ragazzo di 12 anni, piuttosto alto e dotato per il basket che, su indicazione di chi ha interesse a farlo diventare un campione, potrebbe sottoporsi a trattamenti di questo tipo: una sorta di doping voluto e pianificato a lungo termine.
Ripetiamo che è la storia dello sport in cui uso di prodotti illeciti e lotta per debellarli si inseguono un po' come una moderna riproposizione del male e del bene.

"La nuova frontiera - spiegava recentemente, Paul Griffiths, managing director della società  CryoGenesis International, in un articolo apparso anche su ESPN - è lo sviluppo della ricerca sulle cellule staminali. Potenzialmente potremmo recuperare gli atleti molto più velocemente, o preservarne l'efficacia nel tempo." La prospettiva, da fantascienza ma non troppo, è quella di atleti di 40 anni con gambe da ventenni; oppure quella di muscoli ingrossati grazie a trattamenti specifici. Altro che sportivi disposti a tagliarsi un arto inferiore per poi farsi impiantare la protesi come grottescamente uscito a proposito delle recenti polemiche sull'atleta sudafricano Pistorius.
E mentre ne scriviamo, da qualche parte sta già  accadendo. Fra i clienti della società  per la quale Griffith lavora ci sono già  almeno cinque calciatori che hanno deciso di far congelare le loro cellule staminali.

Come abbiamo spiegato finora si tratterà  di mettersi ad un tavolo e decidere come regolamentare e in che misura permettere pratiche di questo tipo. Non pensiamo però che non legiferare risolva a priori il problema.

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