Rockets, colpi a non finire

Steve Francis è l'ultimo colpo dei Rockets: come sarà  il suo ritorno?

La offseason degli Houston Rockets, se valutata appena dopo il draft, aveva sorpreso per la scarsità  di movimenti intesi a colmare gli evidenti vuoti che il roster presentava, ed aveva contemporaneamente fatto presagire ulteriori transazioni, necessarie per fornire quel deciso passo in avanti da fare a tutti i costi prima di affrontare la prossima stagione sul campo.

Daryl Morey, rampante general manager successore di Carroll Dawson, aveva ricevuto recensioni miste per quanto riguardava il suo operato, soprattutto dopo le scelte di Aaron Brooks e Carl Landry al draft, che per quanto giustificate dalla necessità  di avere un velocista ed un'ala forte in squadra, non avevano reso troppa giustizia nell'ottica di tornare a competere con le super potenze dell'ovest, data l'impossibilità  di trovare delle risposte da due matricole senza esperienza. Nemmeno l'acquisizione di Mike James aveva convinto del tutto in relazione al sacrificio di Juwan Howard, non era arrivato il play che si andava cercando, forse perché si tendeva a dare un'altra possibilità  ad Alston, forse perché gli scenari futuri non erano ancora ben chiari a tutti, ed il management stava quindi lavorando con intenzioni e modalità  sconosciute alla massa.

Il periodo più noioso dell'anno per un appassionato di basket, a Houston si è acceso d'un colpo, quando la delusione e la consapevolezza che un reparto di numeri 4 formato dal sottodimensionato Chuck Hayes, seppure non ufficialmente riconfermato, e da un rookie, non sarebbe mai stato ciò che serviva a Houston per incrociare le armi con i vari Kevin Garnett, Tim Duncan, Carlos Boozer e via discorrendo, con il pericolo di relegare i Rockets ancora una volta come terza squadra del Texas.

Il vero colpo da maestro di Morey è stata la trade proprio con i cugini di San Antonio, che ha dato al roster un'ala forte di grande talento e dalle doti comprovate di vincente come l'argentino Luis Scola, ideale complemento per Yao Ming e perfetto per le idee filosofiche di Rick Adelman, ed ha levato di mezzo tutte le scontentezze di Vassilis Spanoulis, preda di un'improvvisa saudade greca che gli ha fatto decidere di non voler assolutamente proseguire l'esperienza oltreoceano. Rinunciando ai suoi mugugni, oltre che a soldi ed una seconda scelta del 2009, i Rockets si sono intascati il probabile pezzo mancante del puzzle, oltre ad un corpaccione in più da piazzare sotto canestro una volta ritiratosi Dikembe Mutombo (od in caso di suoi probabili infortuni), ovvero quel Jackie Butler che potrà  crescere da backup senza alcun tipo di fretta avendo dalla sua un'età  ancora verde.

Niente Anderson Varejao, niente Andres Nocioni, niente Antonio McDyess, tre giocatori che sono stati connessi a Houston in continuazione dai vari rumors messi in giro per la lega: piuttosto, ecco tutta la vitale attività  di Luis Scola, pedigree zeppo di trofei come l'oro olimpico del 2004, il titolo di bicampione di Spagna con il Tau Ceramica ed un Mvp conseguito sempre in terra iberica, e tante caratteristiche che fanno pensare al colpo grosso, il quale sembra in grado di bilanciare il torpore agonistico che puntualmente avvolge il più grosso investimento della franchigia degli ultimi anni, Yao Ming.

Giocatore completamente privo di egoismi, per il quale il concetto di squadra è davvero alto, Scola arriva in Texas consapevole che il salto avrebbe potuto farlo prima, e magari oggi avrebbe già  un anello di campione Nba al dito: "Io e Manu Ginobili siamo molto amici, so che se fossi andato agli Spurs mi sarei trovato benissimo e che avrei potuto giocare con lui al di fuori della nazionale, ma ringrazio San Antonio per avermi concesso di raggiungere due giocatori che io reputo incredibili, Tracy McGrady e Yao Ming. Quando giocheremo contro gli Spurs, cercherò di battere Manu in tutti i modi."
Scola, oltre a fornire l'ideale pezzo di chiusura di una squadra che ora può spostare lo sguardo su traguardi ambiziosi, è quel giocatore che andrà  a prendere uno sfondamento all'occorrenza, che si tufferà  per tenere vivo un possesso (l'eliminazione contro Utah chiama ancora giustizia), che contesterà  i tiri tenendo Yao lontano dai falli, ma soprattutto sarà  una validissima terza opzione offensiva, ovviamente dietro alle due superstars, un giocatore completo e d'esperienza (11 anni da professionista) di 27 anni, quindi anche futuribile.

"Quand'ero a Boston tutti hanno criticato le nostre scelte, quelle di Delonte West e di Al Jefferson su tutte, e queste si sono rivelate un successo: ora , per Scola, sono giorni che prendo pacche sulle spalle da tutti, e non vorrei che ciò si rivelasse controproducente."
Proprio questa dichiarazione di Daryl Morey ci introduce al secondo argomento scottante dell'ultima settimana, ovvero il ritorno di Steve Francis in città , un rientro che ha rapidamente diviso in due le masse, c'è chi ritiene esagerate le operazioni del GM e chi ritiene che niente possa separare i Rockets dall'agognato terzo titolo della loro storia.

Perso tra le pazzie newyorchesi di un certo Isaiah Thomas nelle cronache più recenti, Francis non è più stato lo stesso da quando lasciò Houston assieme al fraterno Cuttino Mobley, trovandosi parte integrante del sacrificio che servì ai Razzi per mettere le mani su Tracy McGrady. I Rockets, anni dopo, si ritrovano ad avere sia uno che l'altro.
Ad Orlando l'inizio fu buono, il proseguio al di sotto delle aspettative, anche perché l'ulteriore ed improvviso scambio in cui venne coinvolto Mobley tolse a The Franchise il compagno di merende preferito, pur rendendosi necessario per ridurre gli individualismi vigenti in squadra.
Della presenza a New York vi sono poche tracce, tanti infortuni, un inedito ruolo da sesto uomo, un dubbio dualismo con Stephon Marbury e molte altre cose che hanno portato Thomas ad inserire la guardia ormai fantasma di se stessa nello scambio che ha mandato Zach Randolph ai Knicks, solo per ricevere il benservito immediato anche dai Blazers, capaci di accollarsi 30 milioni di dollari di buonuscita pur di non ritrovarselo tra le scatole.

L'arrivo a roster di quello che è stato il simbolo del dopo-Olajuwon innesca degli inevitabili meccanismi, che l'organizzazione dovrà  soppesare per bene.
Ora il reparto guardie è più affollato che mai, ed urgono decisioni da prendere in virtù della presenza, a questo punto scomoda, di Rafer Alston, cercato dagli Heat, delle richieste per John Lucas III da parte di New Orleans e della presenza contemporanea di Mike James, Luther Head e del già  citato Brooks, miglior giocatore di Houston (e non solo) nella Summer League.
Oltre a questo, prima di cadere nella tentazione di dire che i Rockets sono indiscutibilmente da titolo facendo solamente una futile sommatoria di nomi presenti a roster, bisogna considerare quale grado di maturazione avrà  avuto la carriera di Francis, uno che mai è riuscito a mettere gli altri prima di se stesso, e quale ruolo accetterà  dovendo probabilmente (e nuovamente) partire dalla panchina.

Di positivo c'è che Francis conosce molto bene Houston, la sua atmosfera e le aspettative della città , resta da capire se riuscirà  a fare un passo indietro per provare a contribuire, da giocatore di secondo piano, alla vittoria di quel tanto menzionato titolo: sta nella sua intelligenza, ora, capire che la palla e le responsabilità  appartengono ad altre persone, e che le gerarchie sono fortemente cambiate, fattori che vanno decisamente a scontrarsi con le sue caratteristiche. I maligni dicono che Houston ha già  vinto a mani basse la classifica dei turnovers stagionali, ed evidenziano la pericolosità  di avere nello stesso posto delle teste calde come lui e Bonzi Wells, pronte a minare in qualsiasi momento le finalità  prefisse dagli altri. Tanti si chiedono perché Francis dovrebbe accettare la leadership degli altri, dato che venne scambiato dai Rockets per la scarsa coesistenza con Yao Ming, al quale non voleva assolutamente cedere il timone di comando.

La speranza è che i principi per i quali Steve ha scelto di tornare a casa gli restino ben chiari per il proseguio dell'annata: ha declinato offerte ben più lucrative (facile, con un buyout del genere".) da Miami, Los Angeles Clippers (Mobley ha spinto inutilmente) e persino Dallas Mavericks, allettato dalla prospettiva di avere una seconda possibilità  nella città  che, agli albori della sua carriera, aveva riposto su di lui un futuro radioso.
La speranza è anche quella che Steve sia veramente consapevole, come ha dichiarato, di non avere più l'esplosività  che aveva in gioventù, e che giocando un ruolo di minore rilievo sia cosciente di essere in ogni caso un pezzo importante per poter riuscire ad arrivare fino in fondo. A lui il compito di inserirsi in un sistema dove la palla deve circolare con rapidità , e dove l'abilità  nel passaggio è una delle qualità  maggiormente richieste: niente più passaggo no look, niente più lanci da quarterback da un lato all'altro del campo, niente più palleggi in grado di durare delle ore, quindi.

Di talento, ora, ce n'è in abbondanza, ed i Rockets hanno il destino nelle loro mani: sta a loro sfruttarlo a dovere per arrivare al premio finale, evitando di implodere in una situazione che di gestibile rischierebbe di avere ben poco soprattutto per chi deve assolutamente togliersi dalla spalla il superamento del primo turno dei playoffs, quello che più che una scimmia, è diventato un gorilla delle dimensioni di King Kong.

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