Un'immagine emblematica della passata stagione dei Mavericks: Nowitzki sembra riflettere sull'eliminazione dai playoffs, deluso nonostante il trofeo di MVP
A Dallas si attende ancora con molta speranza il tanto agognato titolo da campioni NBA. Come nell'omonima telenovela, c'è un miliardario di mezzo, ma quello in questione non è J.R. ma Mark Cuban, presidente di una squadra che ormai da anni è sulla cresta dell'onda del basketball a stelle e strisce.
L'inizio del successo.
I Mavs sono esplosi letteralmente, circa tre anni fa, grazie al magico trio Nash-Finley-Nowitzki. Nonostante siano partiti i primi due terzi cercando fortuna (sottoforma di titolo NBA) altrove, il tedesco è rimasto dov'è nato e cresciuto in termini di basket. La divisione ha portato ottimi frutti per tutti e tre: Steve Nash è stato eletto per due stagioni consecutivamente (2004/05 e 2005/06) MVP della regular season, Michael Finley ha vinto quest'anno, non da protagonista però, l'anello di campione del mondo con i San Antonio Spurs e Dirk Nowitzki nel giugno 2006 ha disputato la sua prima finale NBA, ed è stato MVP della appena trascorsa stagione.
Grandi risultati per grandi giocatori e sia il canadese che il tedesco meriterebbero il trofeo di campioni NBA, visto che per tre anni non hanno permesso a nessun americano di venir proclamato MVP. Scommetto la mia canottiera originale di Nash proveniente da Dallas, che il trio smantellato anni fa, non ci penserebbe due volte a riformarsi per assaltare il titolo tutti e tre assieme come una volta.
Ma il passato è passato.
I primi intoppi.
Nonostante le due stagioni passate siano state ricche di traguardi raggiunti e riconoscimenti individuali, si sono comunque concluse amaramente per Dallas: sconfitta in finale NBA 2006( dopo il 2-0 sugli Heat la serie è terminata 2-4 a favore di Shaq e Wade ) ed eliminazione al primo turno dei Playoff 2007 contro Golden State.
Bene, anzi male, malissimo. E ora che si fa? Si rafforza un roster in ogni modo completo e giovane? Si cambia allenatore nonostante gli ottimi progressi?
Inizialmente si vociferava uno scambio Garnett-Nowitzki, ma non credo sia mai stata in piedi anche solo l'ipotesi di tale trade. Poi alcuni segni di vita, quali l'interessamento a Gerald Wallace e la conferma di Jerry Stackhouse. Beh tutto qua? Non basta assolutamente, qualche ingranaggio non va, e si spera che non stia nella testa dei giocatori.
Dopo aver raggiunto la finale due anni fa, si pensò a due possibilità : o la squadra ha ancora più fame di vincere oppure si ferma delusa e stanca. La stagione appena conclusa sembrava dare adito alla prima ipotesi confermando i Dallas Mavericks come i protagonisti della post-season tanto che il loro leader è stato nominato miglior giocatore stagionale. In un certo senso i Mavs sono stati al centro dell'attenzione anche nella post-season, nella serie contro i Warriors, ma in maniera negativa, schiacciati dal sistema di gioco di Baron Davis & company.
In un mondo “baskettaro” ( passatemi il termine per favore ) in cui Houston rappresenta la parte vincente del Texas negli anni '90 e San Antonio quella attualmente vincente, Dallas si trova nel bel mezzo senza ancora poter dire la sua.
Chi o che cosa non va.
Non vorrei soffermarmi sulla finale del 2006 persa contro gli Heat di Wade&Shaq, ormai è passato un anno e di (psic)analisi ne se sono state fatte a iosa.
Molto più fresca è la figuraccia rappresentata dalla disfatta contro i Warriors. Della serie “tanto il primo turno di playoffs è una pura formalità , abbiamo già vinto”. Ma più che una serie televisiva, amo tirare in ballo il cinema, citando la frase di un celebre film cult fine anni '70, dal titolo omonimo alla squadra di Golden State, che recita così:”Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?”. Il film finisce con la sconfitta di coloro che lanciano la sfida ai Guerrieri, e, automaticamente con la riscossa di questi ultimi. Forse un pò come i Mavericks che hanno preso alla leggera la serie contro Golden State.
Il problema principale, che spiega come una squadra imbattibile in regular season perda il primo turno di post-season contro una formazione sulla carta molto più debole, è appunto l'approccio mentale da vincente, quello che invece hanno franchigie come gli Spurs, i Lakers (nonostante la sconfitta inevitabile per mancanza di supporting-cast), i Pistons e anche i “nuovi” Cavs.
Però c'è di più. Il sistema di gioco dei Warriors di coach Nelson senior (deja-vou Cuban?), è stato a dir poco “rullante”. I Mavericks di Johnson si sono trovati praticamente spiazzati, senza mai riuscir a contrastare i continui attacchi della “compagnia del Barone”. Tiri da tre, incursioni e pressing si sono rivelate armi letali per Dallas, la quale, nonostante attaccanti del calibro di Nowiztki (considerato immarcabile per ogni militante nella NBA), Terry, Howard e Harris, non ha mai impensierito seriamente la difesa californiana durante la serie.
I Warriors stavolta sono una squadra NBA di San Francisco e non una banda di teppisti di Coney Island, ma il finale della serie e quello del film coincidono: Guerrieri vincenti.
Come poter rimediare.
Piccola analisi dei “punti di forza” dei Mavs.
-Giù:
Wunderba, ha disputato una stagione memorabile: 24.6 punti, 8.9 rimbalzi col 50% dal campo e il 41% dai tre punti. Statistiche che nelle sei partite contro Golden State sono però drasticamente scese a 19.7 punti, 38% dal campo e 21% da dietro l'arco, nonostante il minutaggio più elevato (36 minuti a partita in regular season e quasi 40 nei playoff).
L'unica nota positiva va registrata nella voce rimbalzi, dai quasi 9 stagionali agli 11.3 in post-season. Ma con percentuali al tiro così scarse, serve a ben poco catturare tanti palloni se poi non vengono tramutati in punti. Peccato Dirk, proprio nel momento cruciale non hai tirato fuori gli attributi.
Jason Terry non è stato da meno, negativamente parlando ovviamente. Anche lui è calato di ritmo e nonostante abbia leggermente migliorato la sua media punti nei playoffs ( da 16.7 a 17 ), ha peggiorato le sue statistiche più importanti: gli assists sono scesi da 5.2 a 3.7 mentre è aumentato il numero di palle perse da 1.8 a 2.8 e diminuito quello dei palloni recuperati. Un bilancio più che negativo per un playmaker, soprattutto se consideriamo che il suo punto forte, il tiro da 3 punti, ha visto le sue percentuali abbassarsi dal 43% al 28%.
Certo, a volte è più dura mantenersi ad alta quota per 80 gare piuttosto che in 6, ma almeno io, caro Jet, mi sarei aspettato un decollo migliore in un arco di tempo minore.
-Su:
Josh Howard è uno dei pochi motivi per pensare serenamente alla post-season dei Mavs. I suoi minuti nella seria contro i Warriors, sono aumentati da 35.1 a 41.3 e di conseguenza anche i suoi punti ( da 18.9 a 21.3 ), le palle rubate ( da 1.2 a 2.2 ), gli assists ( da 1.8 a 2.8 ), i rimbalzi ( da 6.8 a 9.8 ) e soprattutto la percentuale di tiri dal campo ( da 45% a 51% ). Un'ala poco più di 2 metri che in 4 anni nella NBA ha fatto grandi progressi. Continua così Howard.
L'altro motivo di serenità nei playoffs di Dallas, è Jerry Stackhouse. Da giocatore di esperienza quale è, nonostante la sua partenza dalla panchina, ha migliorato le sue statistiche dimostrando che l'età è solo uno stato mentale. Prima di tutto coach Johnson gli ha dato più spazio, impiegandolo per 28.2 minuti invece di 24, è Stack ha ricambiato passando da 12 punti a 14.3 e mantenendosi su buone percentuali al tiro. Purtroppo i segni della senilità si sono manifestati nei 3 palloni persi a serata, ma il Dr. Jerry nel sistema di gioco dei Mavericks è ancora una pedina estremamente importante.
-Cosa serve?
Il killer-instinct nei momenti cruciali, quello stato mentale che ti permette di tirare fuori il meglio di te proprio quando si tratta di tagliare il traguardo. Non basta migliorare le proprie statistiche, ciò che serve sono le cose giuste fatte al momento giusto. Il tedesco è sicuramente l'uomo simbolo di Dallas, il go-to-guy, colui che ha il pallone in mano nei momenti difficili. Puoi anche aver messo un solo tiro su dieci, ma se si tratta di quello vitale allora devi saperlo mettere nonostante una brutta prestazione. Questo contraddistingue i campioni dagli ottimi giocatori, questo ti fa vincere il titolo. Forza Dirk, "you yet to have your finest hour" come recita la canzone dei Queen, Radio ga-ga, "dovrai avere momenti migliori".
Oltre all'istinto del killer, io aggiungerei un vero centro, quello che sicuramente non è Dampier, che fino a qualche anno fa in quel di Golden State, era un giocatore con voglia di emergere e di dimostrare il suo valore e che quindi dava il meglio di se. Ora che fa parte dei Mavs, sembra essere appagato anche se a viziare i suoi playoffs è stato un brutto infortunio nella (non bellissima) regular season, dove ha miseramente viaggiato a 7.1 punti e 7.4 rimbalzi a serata in 25 minuti di impiego. Ma di cattiveria agonistica, l'ex Warriors, non ne è mai stato testimone, anzi, da come provano le battute di Shaq ("erica dampier", "dampier è un grande centro, se giocasse nella WNBA") , sembra esserne poco dotato nonostante la stazza fisica. Diop, invece, è in eterna crescita, ma nel senso che non arriva mai all'agognata maturazione cestistica, e visto che la difesa sotto canestro è un elemento chiave per arrivare ai vertici NBA, io consiglierei più l'acquisto di un uomo d'area che un altro giocatore a sovrappopolare il reparto guardie (vedi Francis).
In conclusione.
Come già detto in precedenza nell'articolo, di cambiamenti nel roster non ce ne sono stati, anche perchè in teoria non ce ne sarebbe tutto questo bisogno. Ma se a livello di giocatori non ci sarà nessuna modifica, allora quale sarà il nodo gordiano di questa squadra? Quanto ancora si dovrà aspettare per vedere un trofeo da campioni NBA sulla sponda Dallas del Texas? Quando Nowitzki potrà infilarsi il primo anello?
Sembra appunto una telenovela dove di soldi in ballo ce ne sono ( vedi i contratti pesanti dei giocatori ) ma a volte non ne giustificano il loro dispendio. J.R. Mark Cuban quale colpo di scena ci regalerai? Una corsa sempre sui vertici come i Kings di Adelman, Webber, Divac, Stojacovich sperando però che non finisca come i californiani a “dita” vuote.