Il Barone in posa insieme all'autore di questo articolo !
Non che il Barone comunque avesse fatto qualcosa per smentire tali voci, tutt'altro: nel 2004 la proprietà degli Hornets nella persona del Presidente George Shinn decise di cambiare allenatore, e al posto di Paul Silas, assunse Byron Scott; i rapporti del Barone con Silas furono sempre molto stabili, ma quelli con Scott non decollarono mai. Davis cade in uno stato di frustrazione sempre più profondo, anche perché la squadra non riusciva a desolare come avrebbe voluto, tanto che nell' estate 2004, prima che cominciasse la regular season, chiese ufficialmente di essere ceduto.
La rottura con la dirigenza fu automatica e inevitabile, soprattutto da parte di George Shinn: "Ero impegnato a spingere la vendita di abbonamenti e biglietti quando Baron, con quelle richieste pubbliche, ha smorzato qualsiasi entusiasmo stessimo costruendo".
Già , perché al di là di un carattere altalenante e vittima (come in ogni persona) di sbalzi d'umore e di un personale senso di frustrazione, il Barone è sostanzialmente questo: un "franchise player" (Claudio Limardi, American Superbasket), un giocatore che condiziona una franchigia, che sa essere il termometro di successi, entusiasmo e credibilità .
Chiaro come la possibilità di acquistare Davis, scatenò un autentico vespaio di voci di trade nella Lega, ma fu un G.M a puntargli gli occhi con la stessa convinzione e la stessa lungimiranza che anni prima avevano nutrito gli sguardi di Magic: Chris Mullin, executive dei Warriors.
Il Mullin stava cercando in maniera disperata la soluzione alla crisi decennale della franchigia, in particolare era alla ricerca di un leader da affiancare al talento ancora imberbe di Richardson e che fosse in grado di dare una ventata di novità e spettacolo al pubblico della Oracle Arena.
L'ex-fromboliere dei Warriors, inoltre, in virtù della sua profonda conoscenza del gioco, sapeva troppo bene come la prerogativa irrinunciabile per la rinascita di una squadra, impantanata nel limbo della mediocrità , consiste nella presenza di una point-guard che sappia controllare non solo i ritmi del gioco, ma pure le emozioni dello spogliatoio; meglio ancora poi se questo giocatore proviene dalla California, permettendo quindi al pubblico della Bay Area di identificarsi ancora di più in lui.
Nel Febbraio 2005 lo scambio fu cosa fatta: Speedy Claxton e Dale Davis a New Orleans, e Barone sulla Baia, finalmente in California.
Si diceva come il Barone possa condizionare le sorti di una franchigia: i Warriors, che in quel momento esibivano un poco esaltante record di 16-38, con l'arrivo del Barone piazzarono un interessantissimo 18-10 che alimentò non poche speranze per la stagione successiva.
Quando un team conclude una stagione perdente, un G.M., come minimo, oltre a puntare sul draft, è alla ricerca di qualche trade vincente: Mullin invece nell' estate 2006 non cercò di ideare nessuna trade (si fece solo un pallido sondaggio per Eddy Curry allora a Chicago), poiché era troppo convinto che con l'acquisto del Barone, e la definitiva esplosione dei vari Richardson, Dunleavy, Murphy, la squadra fosse completa così.
Purtroppo le cose si avverarono solo in parte: Richardson si impose effettivamente come una delle migliori dieci guardie della Lega, mentre con il Barone, il pubblico di Oakland ritrovò finalmente un point-guard di talento, realizzatore e in grado di infiammarlo con le sue invenzioni (cosa che mancava dai tempi di Tim Hardaway). La squadra però complessivamente non decollò: Dunleavy si dimostrò troppo spesso un giocatore inconsistente, mancava un lungo degno di tal nome (il titolare era Foyle"), gli infortuni, e la "questione Barone".
I numeri del Barone furono soddisfacenti ma:
– Davis non diede ancora l' impressione di essere un leader, un giocatore davvero carismatico che fa realmente la differenza, ma semplicemente un giocatore inarrestabile quando è in serata, ma addirittura deleterio nei momenti di scarsa vena per la sua riconosciuta tendenza a non limitarsi;
– i guai muscolari continuarono a torturarlo, tanto da fargli saltare tutta la seconda parte di stagione;
– i difficili rapporti con alcuni compagni, su tutti Mike Dunleavy considerato troppo soft, e con l' allenatore Mike Montgomery, con il quale il feeling fu sempre al limite del tragicomico.
A questo proposito, emblematico teatrino del Buffa intorno ad un ipotetico dialogo (ammesso che ce ne sia mai stato uno..) tra il giocatore e l' allenatore:
Montgomery: "Allora Barone, siamo d'accordo sul game-plan; nei primi dieci possessi, mai un tiro prima dei 18 secondi", risposta del Barone: "Eh, come no!, coach..".
In campo: prima azione, arresto e tiro dagli otto metri del Barone dopo cinque secondi di gioco"Beh, allora ditelo"
Alla fine: altra annata negativa per la franchigia, altra esclusione dai play-off, ancora questa immagine da perdente che sembrava non voler proprio abbandonare il giocatore, ma che anzi si rafforzava con il passare del tempo. E intanto, a conferma dell' immagine che Davis aveva presso i vertici della lega, nei try-out di USA Team per i Mondiali del Giappone, al suo posto veniva convocato Luke Ridnour"
Con la scorsa annata 2006-07, segnata dall' arrivo di Don Nelson come capo allenatore, e dalla mega-trade che ha portato sulla Baia Stephen Jackson e Al Harrington, la situazione è finalmente cambiata; in particolare, dal 5 Marzo, giorno in cui Davis è rientrato dall' ennesimo problematico intervento al ginocchio (pulizia), i Warriors hanno ingranato l' overdrive realizzando una cavalcata in rimonta che li ha portati a conquistare i play-off dopo 12 anni di assenza e a sconfiggere i Mavs al primo round di off-season.
Con tutto ciò il Barone si è totalmente ricostruito una verginità principalmente su quello della leadership: già nella seconda metà stagione il giocatore aveva dato chiari segnali di maturità tecnica, dimostrando molto più equilibrio nella gestione del gioco e delle responsabilità , limitando i proprio tiri per esaltare le qualità di un supporting-cast che, anche in coincidenza con l'arrivo degli ex-Pacers, era nettamente cresciuto sul piano del talento offensivo. Ciò, tuttavia, non gli impedì alcune performance realizzative da grande solista come quella firmata contro i Wizards (23 Marzo, 34p, 15ass, 9r) con cui praticamente da solo permise ai Warriors di vincere in rimonta ai danni di Washington.
Ma è stato nei play-off, il teatro della vera essenza dei giocatori, che il talento e la maturità del Barone sono esplose fragorose agli occhi di tutto il mondo. Baron Davis ha mostrato ancora una volta il suo repertorio offensivo sconfinato: uno contro uno fulminante grazie ad una diabolica abilità nel saper cambiare direzione e velocità in un battito di ciglio, capacità di abusare fisicamente e in post-basso di qualsiasi pariruolo, esaltante in transizione, e con un tiro dalla lunga distanza non esattamente mortifero (32.4% in carriera) ma di discreta affidabilità (45.5% però contro Dallas).
Tecnicamente, alcuni aspetti del suo gioco hanno mostrato una incoraggiante crescita: come difensore è molto più costante rispetto al passato, tanto che una delle chiave delle vittorie dei Warriors è stata propria l' aggressività difensiva del backcourt formato da lui e Step Jack. Mid-range game: il limite che più spesso gli veniva rimproverato in passato, ora è decisamente uno dei suoi punti di forza. Ormai una delle sue soluzioni preferite è la ricezione da fermo o in movimento dai sei/sette metri, per salire in sospensione e punire da fuori il difensore troppo preoccupato dalle sue penetrazioni: Jason Terry ma anche Deron Williams sono stati ripetutamente bersagliati da questo tipo di conclusione, che può svilupparsi pure come eccellente fade-away jump shot dal lato sinistro del campo.
Un repertorio offensivo illimitato, con ancora qualche punta di esagerazione o di stinto barbaro (dice uno scout NBA: "Baron Davis: una guardia esplosiva, che va a destra e sinistra indifferentemente"va aggredito in uno contro uno e portato verso gli aiuti perché tende a fare sfondamento"), frutto di un talento naturale, ma anche di tanta voglia di migliorare: sono proverbiali i suoi allenamenti sulla pista di atletica, fatti di scatti e ripetute su ogni distanza, così intensi da far impallidire persino uno come il Mullin caratterizzato da un' etica allenamentare pressoché infaticabile.
La serie contro i Mavs però ha confermato principalmente la crescita come leader di un gruppo, come vincente. Davis, contro quella che era stata la prima squadra in regular season e che aveva la terza difesa della Lega, ha tenuto sempre in mano le redini tecniche della serie, ha sempre trovato un equilibrio perfetto tra le soluzioni individuali (25ppg, 54% dal campo) e quelli dei compagni, innescandoli al momento giusto: in G3 ha lasciato il proscenio ai 30p Richardson, mentre in G6 ha caricato le triple decisive di Jackson.
In particolare ha dimostrato di essere un giocatore in grado di soffrire (sempreG6), di saper annullare completamente la propria soglia del dolore per tirar fuori il meglio di sé quando più conta (Mullin:"In questi play-off ha dimostrato quanto sappia giocare e rendere sotto pressione"); ha mostrato, in definitiva, come sia in grado di percepire l' onda emotiva della gara per farla propria.
I motivi di questa crescita sono probabilmente diversificati: innanzitutto un generale senso di maturazione che prima o poi (si spera") ogni uomo raggiunge e lo porta ad affrontare con più consapevolezza ed equilibrio fatti ed eventi. Aggiungiamo poi il talento offensivo della squadra che, dopo la famosa trade, si è impennato a dismisura permettendo così al Barone di nutrire ben altra fiducia (=distribuzione responsabilità ) verso i compagni; in particolare la crescita, e il ricorrente impiego da point-guard, di Monta Ellis, hanno spesso consentito al Barone di spostarsi in posizione di guardia sollevandolo così da compiti di regia e permettergli di gestire meglio le proprie scorribande personali.
Su tutto e tutti però, un nome un cognome: Don Nelson, ovvero l'allenatore con cui Baron è riuscito ad instaurare un rapporto solidissimo, di fiducia totale e reciproca, e probabilmente l'allenatore che con il suo stile di gioco, ha saputo più di chiunque altro estrarre tutto il meglio del talento presente nel giocatore.
L'abbraccio tra i due, alla fine della serie contro Dallas, è l' immagine che idealmente tutti i tifosi Warriors consegnano ai posteri come base per il proprio futuro successo e che ripercuote, come un incubo, le menti dei Mavericks.
Ora l'estate porterà con se due importanti dilemmi per Chris Mullin: i dubbi di Don Nelson sulla propria presenza anche per il prossimo anno sulla panchina dei Warriors, e il prolungamento contrattuale del Barone che nel 2007 potrebbe decidere di diventare anche free-agent. Ora la dirigenza deve decidere se rendere o meno Baron Davis proprio "uomo franchigia" perché il prolungamento richiesto dal giocatore a quelle condizioni deciderà in gran parte le sorti della squadra nei prossimi anni.
A riguardo, G3 della serie contro i Jazz: il Barone si sposta sul lato sinistro del campo e con un' occhiata fulminea intravede uno spiraglio nella difesa allargata dei Jazz. Con tutta la forza e la carica che lo contraddistingue, il "5" spinge sull' acceleratore, e con l'asse delle spalle parallelo al canestro, rovescia sulla testa dell' impotente Kirilenko una schiacciata subito ridefinita come "one of the greatest plays in play-off history".
In quel momento erano pronti per essere confezionate foto, poster, screensaver, ma soprattutto a qualsiasi domanda fosse stata loro posta (rinnovo contrattuale? M.V.P dei play-off?), i "twentyhousand maniacs" della Oracle Arena avrebbe risposto uno e un solo nome: Barone, of course"
Rileggi qui le prime puntate del focus:
Focus: Baron Davis – Part I
Focus: Baron Davis – Part II