Rockets, tempo di scelte

Aaron Brooks, pepata guardia da Oregon State, combatterà  per un posto nel backcourt.

C'eravamo lasciati alle profonde delusioni seguite all'eliminazione patita al primo turno contro gli Utah Jazz, la quale aveva lasciato la convinzione che le entusiastiche modifiche apportate nella offseason evidentemente non fossero state sufficienti, visti appunto i risultati. Un perfetto meccanismo da regular season, presumibilmente ben più competitivo di quanto indicasse il pur buonissimo record finale in un West combattivo, aveva saputo porre i Rockets tra le favorite per l'accesso alla finale, salvo complicazioni puntualmente affermatesi tramite infortuni alle due stars della squadra, in particolare quello ai danni del promettente Yao Ming, meccanismo inceppatosi però sul più bello, quando c'era da fare veramente sul serio.

Inutile, in questa sede, stare qui a chiedersi come sarebbe andata avendo il cinese a posto, se McGrady non avesse la schiena che brucia, se Head non si fosse dimenticato di scendere in campo nei playoffs: la realtà  parla di una squadra di una determinata potenzialità , che non è riuscita a tradurre in risultati vincenti l'alchimia quasi perfetta creata da elementi consci del proprio singolo compito, ed apparentemente in grado di rispettare ciascuno la propria assegnazione in virtù dell'obbiettivo finale, una strada più lunga possibile da macinare nel mese di maggio.
Del perché questo non sia accaduto abbiamo parlato abbondantemente in queste stesse pagine, al come risolverlo abbiamo dato un accenno.

Giova ricordare che il buon Carroll Dawson, uno dei migliori GM della Nba, ha appeso la scrivania al chiodo, lasciando il posto a Daryl Morey, sua creatura rimasta a guardarne l'operato al fine di trovarsi nella giusta rampa di lancio al momento opportuno: quel momento è ora.
Morey ha cominciato quello che sarà  il suo primo vero anno alla guida manageriale della franchigia pensando alle nuove soluzioni necessarie ai Rockets per meglio adeguarsi ai trends tecnico/tattici della Nba di oggi, troppo veloce ed offensiva rispetto alle vetuste filosofie di Jeff Van Gundy: ecco quindi il benservito all'operato del coach che non dorme mai per lasciare spazio alle idee considerate maggiormente idonee di un allenatore pronto a ritornare da un anno sabbatico, quel Rick Adelman capace di creare il giocattolo Kings con cui ha quasi raggiunto una finale Nba, ed al quale ha regalato anni di glorie, seppur incompiute, che in città  non si sognavano nemmeno.

L'operato di Morey al draft appena concluso ha portato in casa sostanzialmente due giocatori ai Rockets in quanto il terzo, l'australiano Brad Newley, resterà  un altro anno a maturare fuori dagli Stati Uniti: i nuovi arrivi sono Aaron Brooks da Oregon State e Carl Landry da Purdue, che occupano dei ruoli critici, play e power forward, ovvero quelli oggetto di maggior scrutinio da parte di chi aveva trovato le falle del sistema precedente.

Brooks è un diavoletto di 5-10, il più piccolo giocatore selezionato giovedì scorso e dotato di una velocità  abbagliante, qualità  che più delle altre ha attirato l'attenzione dei texani verso di lui, che è stato il miglior scorer della Pac 10 giusto pochi mesi fa.
Se l'intenzione era quella di orientare il gioco verso una fluidità  offensiva maggiore, cosa ottenibile solo con l'aggiunta di rapidità , l'obbiettivo sembra centrato, anche se come si è scoperto più tardi non era certo quello primario: fino all'ultimo secondo, infatti, Houston ha provato in ogni sorta di modo a prendere la scheggia spagnola Rudy Fernandez, andatosene giusto con due selezioni di anticipo a causa della trade tra Portland e Phoenix, che ha permesso ai Blazers di accaparrarsi il giocatore desiderato.

Descritto da Adelman come "difficile da marcare per merito della sua velocità , molto migliorato al tiro ed in possesso della rapidità  di movimenti ricercata dalla squadra", Brooks potrà , nei minuti che dimostrerà  di meritare, aggiungere ritmo all'azione e spingere la palla creando contropiede dal rimbalzo difensivo, uno dei maggiori fallimenti dei Rockets dello scorso campionato; ferma restando la presenza di Rafer Alston a meno che di movimenti di mercato che lo coinvolgano, e del cavallo di ritorno Mike James, che poteva essere firmato un anno fa senza il sacrificio di Juwan Howard, Brooks troverà  parecchia competizione nel ruolo e dovrà  far valere al massimo le sue qualità  positive, che parlano di abilità  nell'attaccare il canestro avversario, altra qualità  latente in squadra, e nel procurarsi tiri liberi, che segna con grande continuità .
Preoccupa un pochino la scarsa visione di gioco, da migliorare assolutamente, e la testardaggine nel voler finire da solo in alcune occasioni, fattori che non fanno corrispondere l'identikit del piccoletto al play ragionatore che si tentava di far approdare in squadra. Solo il tempo ci dirà  se i Rockets saranno riusciti ad avere per le mani una sorta di TJ Ford, sia nel bene che nel male.

Landry è arrivato con la 31ma scelta assoluta, che Houston ha avuto da Seattle in cambio di soldi e di una futura selezione di secondo giro. All'ex Purdue piace sbattersi per i compagni, qualità  che potrebbe complementare Ming sotto le plance, in quanto l'egoismo qui non è di casa: Carl usa selezionare discretamente i suoi tiri, ne possiede uno buono dalla media distanza, e va sovente in post eseguendo una buona varietà  di finte, che lo porta in lunetta con continuità  dandogli spesso l'opzione di ritornare il pallone fuori, dove non mancheranno certo le bocche da fuoco.
Le sue doti, pure quelle fisiche, sembrerebbero adatte a collimare con le esigenze di affiancare determinazione all'attuale morbidezza sotto canestro ma resta il dubbio, lecito, di quale contributo possa dare un rookie inesperto ad una squadra che vuole vincere subito, e di come questi riuscirà  a trasformare ed adattare tutte le sue qualità  ad un livello di gioco diverso ed a corpi più massicci di quelli che ha trovato sinora.
Per questo motivo, nonostante tutta la bontà  che traspare dalla scelta, sembra necessario lavorare ancora sul mercato per trovare quella guardia del corpo che tanto servirebbe a dare da subito il salto di qualità , quel rimbalzista che, ad esempio, sarebbe tornato utile nei possessi decisivi di quel primo turno di playoffs che tutti ricordiamo.

Lo scenario dei giorni scorsi prevedeva anche la strada Rashard Lewis, che come noto, era il free agent più ghiotto ed ambito del momento: una sua eventuale firma, che Morey sembrava inseguire con decisione solo per poi dichiarare di sapere già  che le possibilità  erano nulle, avrebbe portato a Houston un ragazzo di casa che già  all'epoca della suo ingresso in Nba aveva tanto desiderato far parte della squadra della sua città  natale. Altamente considerato per le qualità  di tiratore dalla distanza e per il delizioso trattamento della palla dall'alto dei suoi due metri e quasi dieci centimetri, Lewis avrebbe necessitato di un sign & trade per essere portato in loco, data l'esigenza dei Rockets di far quadrare i conti: ma chi poteva ingolosire Seattle al di là  della solita mercanzia (leggasi Alston, Rafer e Sura, Bob) senza che i Rockets togliessero un tassello troppo importante alla squadra (Shane Battier?) per prendere un talento un tantino sopravvalutato che sovente si accontenta del tiro da fuori e che quindi non sarebbe stato utile ad una causa che manca come l'acqua nel deserto di aggressività  nei confronti del cesto?
A nostro avviso, quindi, il fidanzamento di Lewis con gli Orlando Magic, che dovrebbero pagargli qualcosa come 90 milioni di dollari nei prossimi 5 anni, evita a Morey un potenziale e costoso errore, che i GM del giorno d'oggi tendono a ripetere in continuazione.

Il successore di Dawson ha comunque comunicato che le strategie di mercato non sono assolutamente cambiate in virtù delle tipologie di giocatori presi nel draft, e che specialmente il ruolo di ala grande è sotto stretta osservazione. I candidati che verranno scrutinati e per i quali verranno avviate delle trattative al momento sono Antonio McDyess, Mikki Moore e Joe Smith, senza lasciare da parte l'importante ipotesi di Andres Nocioni, il vero sogon nel cassetto. Proprio l'argentino garantirebbe grinta, rimbalzi, presenza in post e tiro da fuori, e l'occasione della sua free agency ristretta potrebbe cadere a puntino dando uno sguardo alla situazione generale dei Bulls, da una parte impegnati monetariamente da impellenti rinnovi di giocatori chiave, dall'altra abbastanza solidi in un ruolo nel quale si aggiunge ora pure Joakim Noah. Ciò che sembra davvero difficile, è riuscire a portarlo via con una midlevel exception alle numerose concorrenti che lo desiderano.

Per quanto concerne infine il roster dei veterani è attesa a giorni la comunicazione del rinnovo contrattuale per Chuck Hayes, la meritevole ala sottodimensionata dal cuore che fa provincia: Morey si vedrà  a breve con il suo agente, Bill Duffy, per finalizzare l'accordo e mettere il giocatore fuori dal mercato in velocità , per poi captare le intenzioni di Dikembe Mutombo, apparentemente tentato di provarci per l'ultima volta.

Vassilis Spanoulis, infine, vorrebbe non fare ritorno in Texas una volta assolti gli impegni con la nazionale greca, per la quale salterà  la Summer League, deluso dal suo impiego dello scorso anno: il giocatore desidererebbe rientrare in Europa per ritornare a giocare a livelli alti ed in ambienti a lui più consoni, ma non può tecnicamente firmare con nessuno finchè Houston non decide di tagliarlo ufficialmente. A sentire Morey la direzione scelta nei confronti del greco, che ha un triennale da adempiere, non è la stessa che il giocatore intende intraprendere, ecco quindi all'orizzonte ulteriore carne al fuoco per un rapporto gestito male e che rischia di terminare ancor peggio.

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