Hollinger:l’ultima cassandra

Popovich mostra quattro dita: tante come i titoli vinti

"It never gets old! It never gets old!"– ripeteva sorridente Tim Duncan ai microfoni della Espn, pochi secondo dopo la fine di gara-4. Come a dire: è già  il quarto, ma le sensazioni sono sempre le stesse. Quelle non invecchiano mai. Quali? Quelle appaganti di sentirsi ancora una volta i più forti, quelle inebrianti di aver sbaragliato la concorrenza di altre ventinove squadre, quelle indescrivibili di essere ancora una volta lì, su quel palco, con il commisioner David Stern- lui però accigliato per il flop di ascolti in tv- a consegnarti quel trofeo: che per carità , non avrà  il pregio della bellezza ma che pesa. E come pesa"

Facile ora- con i coriandoli che ancora svolazzano per i cieli di San Antonio e con il profumo di champagne ancora fresco sulle magliette celebrative- a dire quanto siano forti questi Spurs; quanto giochino- perdonateci il francesismo- con le palle; quanto quell'ex agente della CIA riciclato come coach sappia tenere il gruppo insieme. Facile dirlo ora. Meno facile averlo detto quest'inverno- a dicembre, gennaio, febbraio- quando al posto del dolce tepore di inizio estate c'era quel pungente freddo invernale; quando quelli ancora pronti a scommettere un centone su questi Spurs erano rimasti davvero in pochi. E quei pochi rimasti erano spesso vittima di sberleffi da parte degli altri.

Intendiamoci: non che noi- specialmente chi scrive- siamo esenti da colpe. Non che ora pretendiamo di fare la parte di quelli che ci avevano creduto dalla prima ora. Semplicemente perchè non è vero. Di dubbi su questa squadra ne erano venuti anche a noi, ad un certo punto. Anche noi ci siamo macchiati di miscredenza. Anche noi- San Timoteo perdonaci- siamo caduti in tentazione, credendo- anche solo per un attimo- che forse il capolinea era ormaiprossimo. Ma d'altra parte, se facciamo eccezione per il buon Buck Harvey e gli altri moralmente incorruttibili redattori del San Antonio Express News- si contano sulle dita di una mano quelli che sempre e comunque si erano schierati a difesa di Duncan e compagni, anche nei momenti più bui, anche dopo le sconfitte più demoralizzanti.

Anzi, a pensarci bene qualcun altro c'è. Anche se insospettabile. Chi? John Hollinger, di Espn.com, che a febbraio venne fuori con un "improbabile" ranking, fatto diciamo secondo criteri tutti suoi. Un ranking che- eravamo nel periodo di massimo splendore Mavs, quando nessuno aveva dubbi su chi avrebbe rappresentato l'Ovest alle Finals- poneva in vetta quei San Antonio Spurs che all'epoca facevano fatica a mettere in fila due-tre vittorie. A rileggere ora quell'episodio- con il favore del tempo- viene da sorridere, quasi da meravigliarsi; ma all'epoca il povero Hollinger fu un bersaglio vivente di scherni e critiche da parte del mondo del web. Se ne sentì dire di tutti i colori in quei giorni. Sberleffi e pernacchie. Ad occhio e croce gli Spurs hanno avuto un tifoso in più nelle ultime Finali"

In ogni caso tutta questa travagliata, ondivaga, imprevedibile stagione è sembrata ruotare per San Antonio attorno ad una parola, un concetto, una filosofia: pazienza. La pazienza, ovvero la virtù dei forti; la pazienza che solo le grandi squadre, quelle abituate a vincere, hanno; la pazienza data dall'esperienza, che ti permette di non demoralizzarti nei momenti difficili e di non esaltarti in quelli felici. La "medietà  aristotelica".

"Popovich sa che una stagione Nba non è uno sprint, ma una maratona"- dice Danny Ferry, ora GM dei Cavs ma per tanti anni a San Antonio- "E lavorano in quest'ottica giorno dopo giorno. Hanno pazienza."

Appunto. Una maratona. Chi ha seguito- da novembre a questa parte- il team report dedicato agli Spurs sa le difficoltà  attraverso le quali questo gruppo è dovuto passare nel corso dei mesi. Problemi a livello di gioco, di intensità , di continuità . Probabilmente però una serie di questioni che sono servite a rafforzare caratterialmente il team. Che in qualche misura lo hanno forgiato, preparando il terreno per la magnifica progressione- quasi un climax di emozioni- culminata con la consegna del Larry O'Brien Trophy. E chissà  se- nessuno lo potrà  mai accertare- sia stata proprio questa la chiave dell'ennesimo, prestigioso successo. Dallas, ad esempio, è andata in carrozza fino alla fine di aprile; fino all'inizio dei Playoffs, fino a che sulla loro strada non ha trovato i guerrieri della Baia. Non ha potuto beneficiare della tempra maturata invece dai nero-argento dopo ogni sconfitta, dopo ogni urlo di coach Popovich. E anche questo conta.

E' vedendo Manu Ginobili, Tony Parker, Bruce Bowen- e tutti gli altri- festanti sul palco di premiazione, indossando quelle magliette con su scritto "Nba Champions", che si capiscono il perché di tante cose il cui senso, invece, all'origine molte volte era sfuggito. Per esempio capisci il senso di quell'aggettivo, "pathetic", usato da coach Pop per commentare la vittoria dei suoi ragazzi a Sacramento, in un ora lontano 2 dicembre. O quello della pesantissima dichiarazione ("Questa è la peggior squadra che ho avuto da quando alleno qui") uscita sempre- e ci mancherebbe- dalle glaciali labbra dell'ex agente CIA. Perché è questo, più di ogni Tim Duncan o di ogni altra cosa, che fa la differenza; che rende San Antonio da una decade a questa parte una squadra diversa, che la pone un gradino sopra tutte le altre. Prescindendo da qualunque discorso tecnico. E' la disciplina, la mentalità  ferrea, vincente; il non accontentarsi di una vittoria se conseguita in malo modo.

Un qualcosa, questo, che ha potuto toccare con mano anche LeBron James, provandolo dolorosamente sulla sua pelle. "Non hanno i migliori atleti, non hanno i migliori tiratori, ma sono probabilmente la miglior squadra al mondo. E questo è tutto ciò che conta"– riconosce il Prescelto.

Già , la miglior squadra al mondo. Se lo dice LeBron ci sarà  da credergli. Sicuramente è quella con il più alto tasso di veterani (tre uomini con più di 35 anni e altri comunque sopra i 30), di uomini che sanno come comportarsi quando arrivano i momenti decisivi. Un team sul quale- checché lo si possa criticare per la scarsa fantasia tattica- la mano di Popovich si vede ogni anno di più. Non fosse altro per l'atteggiamento. Non è eresia- tutt'altro- scrivere che gran parte del merito per la decisiva sferzata- la striscia di ben tredici vittorie di fila a cavallo tra febbraio e marzo- vada attribuito proprio al burbero, mai soddisfatto, allievo di Larry Brown.

Pochi se le ricordano, e ancor meno tendono a riconoscergli la dovuta importanza, ma quelle parole soppesate accuratamente, studiate, tirate fuori al momento più opportuno, con tutta probabilità  sono state la chiave di volta della stagione, il secchio d'acqua gelida che ha definitivamente ridestato il sopito orgoglio dei San Antonio Spurs, dei suoi giocatori; nonché il suo vero capolavoro.

Era il 24 gennaio, nel pieno della mareggiata, si veniva da un'altra sconfitta, con Houston. Il record era quello che era: 30-14. Bene ma non benissimo. I rumors che volevano Corey Maggette sulla via di San Antonio si facevano via via sempre più insistenti, tanto che erano in molti quelli pronti a scommettere che prima del 22 febbraio lo swingman avrebbe vestito la casacca nero-argento. Molti, ma non tutti. Tra quelli che la pensavano diversamente c'era Gregg Popovich.

"Questa squadra ha già  tutto quello che serve per arrivare fino in fondo"- arringò in un'infuocata conferenza stampa- "Basta chiacchiere. Non ci sarà  nessuna trade per Maggette o per chiunque altro possa rientrare nei primi dieci posti della nostra rotazione. Non ci sarà  nessun salvatore. Ce la dovremo cavare da soli." .

Period.

L'essenza di quest'annata sta tutta in quella dura, durissima frase; che suona come un ultimo disperato squillo di tromba, come un definitivo avvertimento : ce la dobbiamo cavare da soli. Infatti alla fine Maggette non arrivò e il nucleo restò intatto.

Per la serie "coincidenze ma non troppo", proprio in quei giorni- a ridosso dell'All star game, poco prima della trade deadline- San Antonio librò le ali per la prima volta in tutta la stagione, svegliandosi dal torpore che l'aveva avvolta nei prime tre mesi. La sferzata arrivò.
Sarebbe indubbiamente interessante sapere cosa sia accaduto nello spogliatoio dell'American Airlines Arena di Miami nel post-sconfitta con gli Heat dell'11 febbraio. L'ultima sconfitta prima della striscia. Sapere cosa si siano detti Ginobili, Parker e gli altri per dare una svolta- questa volta vera- alla stagione, che stava andando sempre più a sud.

Probabilmente- salvo miracoli- questi sfizi non ce li toglieremo mai, e gli interrogativi saranno destinati a rimanere tali. Poco importa. Ciò che conta è che quella svolta fu effettiva. Fu- in poche parole- il "pivotal moment" della stagione. L'attimo in cui il vento cambiò direzione per gli Spurs, e gli eventi iniziarono a prendere altre pieghe.

E' finita così. Un'altra volta. Quelli noiosi, ripetitivi, con poco "appeal" a festeggiare sul River Walker e quegli altri- quelli dello spettacolo, quelli dei punteggi alti, quelli "che vendono i biglietti"- comodi sul divano di casa a gustarsi l'ultimo show di Oprah. "Niente di nuovo all'ombra dell'Alamo"– sentirete dirvi ora in tutta America. D'altronde ormai ci hanno fatto l'abitudine, si stanno adeguando. L'unico che non ci sta è proprio lui, il grande capo, il commisioner David Stern; che ormai ogni qualvolta sente nominare Tim Duncan, Gregg Popovich o anche soltanto i colori nero e argento in fila- dicono- abbia reazioni autolesioniste. Ma si metta il cuore in pace anche lei, Stern: c'est la vie, direbbe l'MVP delle Finali del suo campionato. Tra qualche anno tutto questo finirà . Duncan smetterà , Ginobili andrà  a simulare altrove, Popovich si darà  alla viticoltura a tempo pieno e lei potrà  riavere il suo spettacolo.

Intanto- ce lo permetta- noi continuiamo a levarci il cappello dinanzi a questa squadra.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Informativa cookie

Per far funzionare bene questo sito, a volte installiamo sul tuo dispositivo dei piccoli file di dati che si chiamano "cookies". Anche la maggior parte dei grandi siti fanno lo stesso.

Cosa sono i cookies?

Un cookie è un piccolo file di testo che i siti salvano sul tuo computer o dispositivo mobile mentre li visiti. Grazie ai cookies il sito ricorda le tue azioni e preferenze (per es. login, lingua, dimensioni dei caratteri e altre impostazioni di visualizzazione) in modo che tu non debba reinserirle quando torni sul sito o navighi da una pagina all'altra.

Come utilizziamo i cookies?

In alcune pagine utilizziamo i cookies per ricordare:

  • le preferenze di visualizzazione, per es. le impostazioni del contrasto o le dimensioni dei caratteri
  • se hai già risposto a un sondaggio pop-up sull'utilità dei contenuti trovati, per evitare di riproportelo
  • se hai autorizzato l'uso dei cookies sul sito.

Inoltre, alcuni video inseriti nelle nostre pagine utilizzano un cookie per elaborare statistiche, in modo anonimo, su come sei arrivato sulla pagina e quali video hai visto. Non è necessario abilitare i cookies perché il sito funzioni, ma farlo migliora la navigazione. è possibile cancellare o bloccare i cookies, però in questo caso alcune funzioni del sito potrebbero non funzionare correttamente. Le informazioni riguardanti i cookies non sono utilizzate per identificare gli utenti e i dati di navigazione restano sempre sotto il nostro controllo. Questi cookies servono esclusivamente per i fini qui descritti.

Che tipo di cookie utilizziamo?

Cookie tecnici: Sono cookie necessari al corretto funzionamento del sito. Come quelli che gestiscono l'autenticazione dell'utente sul forum.

Cookie analitici: Servono a collezionare informazioni sull'uso del sito. Questa tipologia di cookie raccoglie dati in forma anonima sull'attività dell'utenza. I cookie analitici sono inviati dal sito stesso o da siti di terze parti.

Quali sono i Cookie di analisi di servizi di terze parti?

Widget Video Youtube (Google Inc.)
Youtube è un servizio di visualizzazione di contenuti video gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine. Dati personali raccolti: Cookie e Dati di utilizzo. Privacy policy

Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook (Facebook, Inc.)
Il pulsante "Mi Piace" e i widget sociali di Facebook sono servizi di interazione con il social network Facebook, forniti da Facebook, Inc. Dati personali raccolti: Cookie e Dati di utilizzo. Privacy policy

Pulsante +1 e widget sociali di Google+ (Google Inc.)
Il pulsante +1 e i widget sociali di Google+ sono servizi di interazione con il social network Google+, forniti da Google Inc. Dati personali raccolti: Cookie e Dati di utilizzo. Privacy policy

Pulsante Tweet e widget sociali di Twitter (Twitter, Inc.)
Il pulsante Tweet e i widget sociali di Twitter sono servizi di interazione con il social network Twitter, forniti da Twitter, Inc. Privacy policy

Come controllare i cookies?

Puoi controllare e/o verificare i cookies come vuoi - per saperne di più, vai su aboutcookies.org. Puoi cancellare i cookies già presenti nel computer e impostare quasi tutti i browser in modo da bloccarne l'installazione. Se scegli questa opzione, dovrai però modificare manualmente alcune preferenze ogni volta che visiti il sito ed è possibile che alcuni servizi o determinate funzioni non siano disponibili.

Chiudi