Gregg Popovich ed i Big Three. Il titolo ai suoi leggittimi proprietari
Senza storia. Solo così può essere definita la finale 2007 che rimarrà negli annali come una delle meno combattute di sempre. San Antonio ha dominato ogni singolo aspetto del confronto con Cleveland, incapace di attuare qualsiasi tattica che le permettesse di mettere in difficoltà gli Spurs. I nero-argento sono stati perfetti: difesa intensa, attacco preciso ed efficace, movimenti offensivi rapidi ed armoniosi, circolazione di palla ad un livello superiore. Niente è andato storto agli uomini di Gregg Popovich, sergente di ferro ex CIA, capace però di dare una vera anima interna alla sua squadra.
Si perché gli Spurs hanno giocato con passione, avendo ben chiaro nella mente il sistema di gioco da mettere in pratica, facendo della sincronia difensiva ed offensiva una vera ragione di vita. Per Cleveland, scontrarsi contro questo "credo" è diventato frustrante: un muro di gomma in grado di respingere qualsiasi offensiva. Lo sanno bene i Cavs che nelle Finals hanno battuto tutti i record per le peggiori percentuali dal campo della storia.
Per gli Spurs è la conferma della Dinastia versione nuovo millennio: quarto anello negli ultimi otto anni con ampie possibilità di vincerne altri nei prossimi cinque. Dal 1999 solo i Los Angeles Lakers di Phil Jackson e i Dallas Mavericks di Mark Cuban sono riusciti nell'impresa di eliminare gli Spurs in una serie di playoff, segno questo che conferma come in una contesa a sette partite, eliminare i nero-argento è davvero un'impresa titanica.
È chiaro che, per continuare su questi livelli, c'è bisogno di energie fresche in alcuni reparti, ma è altrettanto vero che l'ossatura centrale della squadra ha davanti un luminoso futuro. Tim Duncan, infatti, è nel pieno della sua attività agonistica e lo stesso si può dire per Manu Ginobili e Tony Parker, quest'ultimo MVP delle finali, ormai pronto per prendere nelle sue mani molte più responsabilità di quante non ne avesse in passato.
Ma gli Spurs degli ultimi dieci anni, sono stati soprattutto Gregg Popovich, uomo che ha reso possibile la Dinastia utilizzando un sistema di gioco perfetto, bilanciato tra difesa e attacco, capace di esaltare al massimo le caratteristiche degli interpreti a disposizione, senza però mai diventare secondario di fronte alle individualità .
In poco tempo, perciò, si è creato un connubio perfetto tra gli schemi e i giocatori che, quelle teorie, le hanno applicate nel corso degli anni. Lo sa bene Tim Duncan che nel dopo partita ha affermato: "Coach Pop è stato quello che ci ha messi insieme e ha reso possibile tutto questo. Non ha mai avuto troppa importanza se giocavamo bene o male, lui era lì con noi e ha trovato il modo corretto di rapportarsi con noi".
Lo stesso si può dire per Tony Parker, agli Spurs dall'estate del 2003, ma che ha dovuto conquistarsi con tanto sudore quel titolo di MVP che oggi è nelle sue mani: "Il Pop è stato incredibile con me. Quando venni per la prima volta, feci un provino con gli Spurs e fu terribile. Mi disse di non volermi più rivedere. Ma quando tornai, cominciai a migliorare e alla fine mi scelsero al draft. Poi quando iniziò la stagione, dopo solo cinque partite, mi inserì nel quintetto base e da allora è stato un crescendo continuo fino ad oggi. Mi ha sempre incitato, anche nei momenti più complicati mi ha sempre spinto a migliorare. Se oggi sono MVP delle finali il merito è anche di Popovich".
E anche un veterano come Robert Horry ha sempre avuto rispetto per l'ex agente della CIA. D'altronde grazie ai suoi dettami e consigli sono arrivati altri due anelli per l'ex point forward dei Los Angeles Lakers, ormai giunto al settimo allora della sua incredibile carriera: "La cosa che ho sempre amato di Popovich è che ha sempre trattato tutti nello stesso modo. Per lui non importavano risentimento o rancore. Molti allenatori oggi si legano al dito determinate situazioni. Il Pop, invece, il giorno dopo scherza, ride e ti compra anche la cena. È un grande, è il migliore".
Ora la palla passa nuovamente alla dirigenza. C'è un draft alle porte ed un nuovo titolo NBA da conquistare. Inoltre, alcune situazioni contrattuali devono essere sistemate e nuovi giocatori dovranno sostituire chi vorrà cambiare aria o chi dovrà abbandonare per raggiunti limiti di età . Di certo non sarà un'estate noiosa per i texani in nero-argento (quando mai lo è stata) che sul finire di ottobre si presenteranno ai nastri di partenza come la favorita numero uno per l'anello 2008. Come se ci fosse qualche dubbio a riguardo.
Stay tuned