Tony Parker miglior scorer in gara3: 17 punti. MVP delle Finals?
Il quarto titolo degli ultimi otto anni è ormai ad un passo. La Dinastia nero-argento, di quelle con la "D" maiuscola, che in futuro molti ricorderanno come esempio da imitare, è praticamente cosa fatta dopo il 3-0 ai danni dei Cleveland Cavaliers, ormai totalmente in balia di San Antonio. Nel match di martedì, vinto per 75-72, non è bastata ai Cavs la Quicken Loans Arena, non sono stati sufficienti quasi 21.000 indemoniati vestiti di bianco-rosso e Lebron James non è stato in grado di piegare la resistenza degli Spurs, una vera macchina da guerra, capace di approfittare anche della minima distrazione avversaria ed ottenere con ogni mezzo l'obiettivo prefissato.
Tim Duncan, subito dopo il suono della sirena, ai microfoni di Michelle Tafoya è rimasto con i piedi per terra: "Pensiamo solo a vincerne ancora un'altra. Non importa il 4-0, non importa come otterremo questo successo, l'importante è arrivare al quarto punto. Sappiamo che la prossima sarà molto dura perché loro non vorranno essere sweppati (perdere per 4-0 n.d.r.)". Frasi doverose quelle del centro delle Isole Vergini, sempre attento a mantenere alta la concentrazione all'interno dello spogliatoio, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra andare per il meglio.
Dello stesso avviso anche Gregg Popovich, sempre pronto a punzecchiare per far rimanere alta la tensione: "Abbiamo ancora una partita da giocare. Se poi dovessimo perdere, ne avremmo un'altra. E poi un'altra ancora. E forse una ancora dopo. Dobbiamo pensare solo a questo: vincere una partita. Non importa quando".
Anche in gara3 gli Spurs sono sembrati superiori (nonostante la più brutta partita nei playoff), capaci di spingere sull'acceleratore quando occorreva veramente, in grado di mettere sul parquet una difesa inespugnabile (36,7% dal campo per Cleveland), contro la quale si sono scontrati, in molte occasioni, gli attacchi avversari e, come vuole la tradizione, anche un po' fortunati nell'approfittare degli errori dei Cavs, spesso troppo frettolosi od incapaci di scegliere la soluzione migliore nei momenti decisivi (vedi Anderson Varejao sul tiro finale, che non ripassa la palla a Lebron James, libero sul perimetro).
Molto contento a fine gara anche Manu Ginobili, capace di infilare i tre liberi fondamentali (con 10.4 secondi sul cronometro) che hanno portato il punto del 3-0 nelle mani degli Spurs: "È veramente grandioso, bellissimo. Non abbiamo giocato bene, abbiamo vinto in un'arena infuocata e nonostante questo siamo ad un solo punto dall'anello". Massimo risultato con il minimo sforzo per gli Spurs che hanno ottenuto la vittoria nonostante i soli tre punti (proprio in quei tre liberi) dell'argentino di Bahia Blanca, in altre occasioni un fattore molto più significativo (vedi i 25 punti di gara2).
La gara di martedì è stata anche quella degli uomini che non ti aspetti e che però, almeno una volta in una serie a sette partite, mettono la loro firma indelebile. È stato il match di Bruce Bowen, Brent Barry e Fabricio Oberto: rispettivamente 13, 9 e 6 punti, capaci di infilare il pallone quando, invece, i Cavs continuavano a sbagliare e impattare i ferri (soprattutto dal perimetro, con un pessimo 15,8%). La partita di Bowen, in particolar modo, è stata impressionante: 4/5 dal perimetro e 9 rimbalzi. Con statistiche di questo genere, sommate alla solita straordinaria difesa, non puoi pensare di vincere o battere San Antonio.
Lo dicevamo alla vigilia nel nostro pezzo di preview: la panchina avrebbe fatto la differenza. Questo è avvenuto in gara3, gara in cui tutto il roster di San Antonio (o almeno tutti coloro che sono scesi in campo) ha messo almeno un punto a referto. Non sono dati o statistiche fini a se stesse. Sono elementi e numeri che fanno la differenza, soprattutto quando, a volte, ti giochi la stagione nell'arco di pochi secondi.
L'aspetto che però più distanzia le due franchigie è l'esperienza. Una caratteristica assolutamente fondamentale nelle finali NBA e che gradualmente sta mettendo un baratro insormontabile fra Spurs e Cavs. Da una parte Robert Horry, Tim Duncan, Tony Parker, Manu Ginobili, Barry e Jacque Vaughn, tutta gente che le finali NBA le conosce bene, che sa quello che deve fare, come lo deve fare e quando lo deve fare. Dall'altra parte tutti giocatori molto giovani (Daniel Gibson, Drew Gooden, Larry Hughes, Sasha Pavlovic e Varejao) o anche "anziani" (Zydrunas Ilgauskas, Donyell Marshall, Damon Jones), guidati da "King James", leader di soli 22 anni, che fino ad oggi le finali le aveva viste solo in televisione. L'unico a poter vantare una "Final" nel suo passato è Eric Snow. Troppo poco per poter mettere in crisi chi, negli ultimi otto anni, ha giocato quattro eventi di questo tipo, e due anni fa una gara7 a dir poco emozionante. Stiamo parlando di due mondi completamente differenti. Di due galassie opposte.
Lo sa bene James che nel dopo gara ha detto: "Il fattore esperienza sta facendo tutta la differenza del mondo. Non vuole essere una scusa, ma sta giocando una parte decisiva in queste finali.".
Dare troppe colpe ai Cleveland Cavaliers è sbagliato oltre che sciocco. Hanno fatto una grande post-season, hanno battuto squadre più forti e preparate di loro, hanno raggiunto un obiettivo che alla vigilia non sembrava alla portata. Di buono c'è che questa finale, ormai persa, potrà essere un buon insegnamento per i prossimi anni, un ottima base per costruire futuri successi, magari inserendo giocatori nuovi, più affidabili, con più esperienza nei momenti decisivi.
Stanotte si scende in campo per gara4. Avrà la meglio la voglio nero-argento di chiudere la serie o quella dei Cavs di non prendere l'uovo?
Stay tuned