Duncan contro Ilgauskas a rimbalzo: chi vincerà la sfida sotto i tabelloni?
La finale dall'esito più scontato degli ultimi dieci anni.
Quotidiani, siti specializzati, tifosi e appassionati non lasciano scampo ai Cleveland Cavaliers.
Non c'è speranza di vittoria finale, in assoluto, men che meno con gli Spurs in vantaggio 2 a 0 e dopo il mezzo massacro di gara2. I più drastici prevedono uno sweep dagli scarti di punteggio sempre attorno alla doppia cifra, i più ottimisti danno i Cavs in linea di galleggiamento in ogni sfida della serie, ma li danno perdenti in virtù dell'enorme gap di esperienza in termini di playoff e di finali Nba.
Ammesso e non concesso che le precedenti supposizioni siano molto vicine alla realtà , viene da chiedersi perchè, tifosi nero-argento esclusi, i semplici appassionati della palla a spicchi debbano, da questa parte dell'atlantico, passare altre notti insonni davanti a partite il cui esito pare scontato.
Una domanda che ha più risposte di quante si possa immaginare.
1. La sfida sul pino
L'allievo Brown contro il maestro Popovich. La sorprendente facilità con cui Don Nelson ha scherzato Avery Johnson e i suoi Mavs, al primo turno della Western Conference, dovrebbe aver messo in guardia coach Brown riguardo ai vantaggi che i grandi vate della panchina possono avere sui propri allievi.
Le due sfide giocate in Texas, hanno, per ora, confermato il vantaggio in partenza di Greg Popovich , ma non possono aver segnato il destino di tutta la serie. Non è detto infatti che ne possa prevedere ogni iniziativa, o che per ognuna di queste serbi una valida contromossa.
La palla è ora nelle mani di Mike Brown. Gli accorgimenti di gara2 hanno dato buoni segnali, ma non sono stati sufficienti, anche a causa di altri fattori. E' possibile che sia sufficiente trasferisi alla Q Arena per ottenere già migliori risultati e dare realmente filo da torcere ai pluricampioni.
2. Due superstar agli antipodi
LeBron James contro Tim Duncan.
La differenza, a livello di interesse mediatico tra Tim Duncan e LeBron James è abissale, e non per loro scelta.
Lebron James, non ha deciso di essere il prescelto, la precocità del suo talento e della sua maturità hanno fatto sì che diventasse the chosen one, la prima scelta assoluta, diversi mesi prima del draft 2003 e diversi mesi prima dell'assegnazione di tale scelta ai Cavaliers.
Lui ovviamente non si è mai sottratto a tale interesse, andando al liceo a bordo di un Hummer H2 non cercava certo di passare inosservato…
Duncan dal canto suo, è l'antistar per definizione. In campo e fuori.
Provate a passare un'intero match ad osservarlo, quello che fa, come si muove. A fine partita avrà messo insieme statistiche delle quali non vi eravate accorti pur avendolo sotto il microscopio.
Statistiche pesanti, sui due lati del campo. Non stratosferiche, ma micidiali per la costanza con cui vengono prodotte.
Il suo stile non prevede schiaffi al tabellone dopo aver infilato la bimane, non spruzza una nuvola di gesso in aria per caricare sè e il proprio pubblico, se schiaccia lo fa per avere la certezza di mettere due punti in carniere.
E' il miglior difensore della Nba per quanto riguarda gli errori imposti agli avversari (statistica invisibile ma tra le più importanti), la sua espressione facciale varia si e no di qualche pixel, e dopo essersi beccato un espulsione per aver riso in panchina, state certi che per un pò non lo vedremo nemmeno inarcare le labbra…
Ora sono entrambi sul parquet. Uno con tutti i flash puntati addosso, l'altro nell'ombra.
Uno con un intero team sulle spalle, l'altro come parte più preziosa di una macchina quasi perfetta.
Gara1 e Gara 2 sono state a totale appannaggio del 21, ma lo sguardo di LeBron nel tunnel verso gli spogliatoi prometteva scintille per le sfide della Quicken Loans Arena. L'unica cosa che in fondo li accomuna, è quello che vogliono. Il titolo.
3. Le incognite Cavs
Gibson, Gooden e Hughes.
Accantoniamo per un attimo Pop e gli Spurs, e prendiamo in considerazione i Cavaliers. Alla voce “rendimento atteso” campeggiano tre pesantissimi punti interrogativi. I nomi a cui sono affiancati? Daniel Gibson, Drew Gooden e Larry Hughes.
La matricola da Texas, selezionato con la scelta numero 42 nel 2006, ha confermato in gara1 e gara2 che la prestazione mostruosa contro Detroit non è stata un fuoco di paglia. Il minutaggio non è salito di pari passo con la sua valutazione, ma Mike Brown non è uno sprovveduto e sa che gli eventuali successi tra le mura amiche, dovranno passare anche per le mani di questo 21enne con la faccia da bambino, magari iniziando con la tanto acclamata promozione in quintetto.
Gibson saprà diventare un fattore pro Cavs a Cleveland o si scioglierà come neve al sole sotto la crescente pressione delle finali?
In seconda battuta, Drew Gooden.
Sulla lavagna di coach Mike Brown, il numero 90 dei Cavs, avrà l'accoppiamento più difficile, su entrambi i lati del campo: dovrà infatti “prendersi cura” dei 6 piedi e 11 pollici di Tim Duncan. L'ala da Kansas a dispetto dell'opinione generale, ha mezzi tecnici e fisici per limitare il 21 originario delle Isole Vergini.
Pur se l'esordio non è stato dei migliori, alternandosi con i compagni di reparto Varejao e Ilgauskas, più il primo del secondo onestamente, potrà diventare un fattore importante, specialmente spinti dall'entusiasmo del caldissimo pubblico oro-granata. La sua carriera sin qui non ha probabilemte giustifiacto la quarta scelta assoluta del draft 2002, ma tra i possibili underdog di queste finali, ci può stare anche lui.
Larry Hughes, infine, è, tra i punti di domanda, il più marcato.
Nei piani del GM dei Cavs Danny Ferry, infatti, la guardia acquisita da Washington avrebbe dovuto essere la spalla ideale di LBJ, la seconda opzione offensiva della squadra; quello che, scomodando un ingombrante paragone, fu Scottie Pippen per sua altezza Michael Jordan.
Le prestazioni del giocatore hanno, per ora, dato torto all'ex Messaggero Roma: le cifre di Hughes sono diminuite clamorosamente da che è passato ai Cavs, i punti in particolar modo son passati da 20.2 a 14.9 ad allacciata di scarpe, con abissi inimmaginabili nelle prime due gare di finale. Perchè, allora, credere ancora in lui? O perchè no?
Le rinascite, dopotutto, scaturiscono sempre da periodi negativi. Se Hughes riuscisse a venire a patti con la fascite plantare che lo assilla da tempo, potrebbe diventare un arma molto pericolosa in mano a coach Brown, specialmente da oltre l'arco, da dove tirava col 35% abbondante prima delle finals.
Per sfruttare Hughes da tre, però, lo si deve esonerare dai compiti del playmaker, dandogli l'occasione di uscire dai blocchi e di fungere esclusivamente da terminale offensivo, magari con meno minuti nelle gambe a proteggerne l'integrità . Gibson playmaker in quintetto e Hughes sesto uomo, o LBJ a portar palla con DG dalla panchina?
4. L'italico orgoglio
In chiusura, una piccola nota a margine di stampo patriottico. Da diverso tempo a questa parte, Nba in italia è sinonimo di Buffa e Tranquillo. Le finali 2007 non saranno da meno, con l'avvocato e the voice che, in diretta dal Texas e dall'Ohio, ci delizieranno con telecronache di rara competenza e dal ricchissimo menù.
Per gli appassionati che, lavoro permettendo, amano seguire in tempo reale lo svolgersi della serie, quale maniera migliore di passare la notte in bianco?
I motivi per avere ugualmente a cuore le Finals 2007 ci sono, ad alcuni non saranno sufficienti, ad altri non saranno necessari.
Qualsiasi strada prenderà la serie, però, si potrà e si dovrà partire da questi stessi punti per analizzarne l'esito. Come chiavi di lettura di una finale che, solo in apparenza, ha un finale già scritto.