Il futuro dei Warriors passa anche per le sapienti mani di Baron Davis…
"Wait 'til the next season" , ovvero "aspetta ormai la prossima stagione": questa, in sostanza, è una della frasi che più frequentemente si pronunciano e si ascoltano nei circoli delle franchigie NBA che hanno appena concluso (o che stanno concludendo) un campionato negativo senza alcuna speranza di play-off.
In queste poche e rapide parole si concentrano la frustrazione e l'amarezza per quello che è trascorso in maniera poca gloriosa, quando magari le ambizioni e le aspettative erano ben altre, ma si può cogliere tuttavia il sano realismo di chi si rende conto, giustamente, che è inutile infatti rammaricarsi per la stagione appena conclusa; meglio archiviarla definitivamente e cominciare a progettare quella ventura.
Tale "forma mentis", che in queste situazioni, è probabilmente anche l' unica da cavalcare proprio per la sua buona dose di concretezza e disincanto, si è potuta respirare per tanti anni nei corridoi dirigenziali dei Golden State Warriors poiché, per dodici anni, i play-off sono rimasti un autentico sogno proibito visibile, da casa propria, solo con il catodo satellitare. Poi qualcuno abbia il coraggio di andare a dire a quelli di San Francisco, "home, sweet home""
In particolare, fino all'anno scorso, ciò che più rattristava e aumentava ulteriormente il senso di frustrazione di dirigenti e tifosi Warriors, era il fatto che la delusione, per l' ennesimo fallito accesso alla off-season, si coniugava con una sinistra e ricorrente mancanza di prospettive future: infatti, gli errori commessi dalla dirigenza nei draft, nelle trade di mercato, nella scelta degli allenatori, avevano avuto, spesso, come unico e inevitabile risultato quello di creare un gruppo con tali limiti tecnici e caratteriali da essere, non solo perdente nel presente, ma anche, e soprattutto, privo di un progetto a lunga scadenza.
La stagione appena conclusa potrebbe essere stata, però, quella della svolta, e non solo perché quel "sogno proibito", dopo dodici lunghi anni, è diventato finalmente realtà ; i Warriors del campionato scorso, soprattutto dopo "the trade" del 17 Gennaio (acquisti di Step Jackson e Al Harrington) e il rientro di tutti gli infortunati (Davis e Richardson), sono diventati una squadra con una precisa identità , in cui il (notevole) talento dei giocatori non era fine a sé stesso ma si inseriva ed era perfettamente funzionale alle coordinate tecniche volute da Don Nelson. In definitiva: quella sintonia tecnica, per non dire poi caratteriale, che per tanti anni è mancata all' interno di questa squadra tra allenatore e giocatori, nello scorso campionato, si è realizzata totalmente, esprimendo così un gioco in perfetta armonia con i principi di Nelson.
I Warriors, perciò, in particolare da Marzo fino alla fine del loro ritorno ai play-off, sono stati divertenti, a tratti persino travolgenti, e hanno ridato entusiasmo ed scosse di adrenalina al loro pubblico che, da troppo tempo, li seguiva più per la propria inesauribile fedeltà che non per i reali stimoli offerti da chi andava in campo.
La serie trionfale contro Dallas, nei play-off, è stata l' ulteriore coronamento di un rendimento che era già cresciuto in maniera esponenziale nelle ultime venti gare di regular season (16v-5p il parziale, e 9-1 il record nelle ultime dieci); la serie con Utah è stata tirata, più equilibrata di quanto non dica un punteggio finale (1-4) che punisce oltremodo i Warriors, i quali sono stati veramente ad un passo dallo sbancare una, se non addirittura due volte, il campo dei Jazz nelle prime due gare delle serie, per perdere poi in volata la decisiva gara-5 sempre a Salt Lake City.
In realtà , la serie con i Jazz, più ancora che l' Apocalisse inflitta ai Mavs, rappresenta uno dei principali e necessari punti di partenza per valutare limiti, e conseguenti margini di miglioramento, che i Warriors hanno comunque evidenziato quest'anno, e su cui la dirigenza dovrà forzatamente lavorare per dare continuità a questo plausibile progetto nel tentativo di migliorarlo ulteriormente.
Continuità e miglioramento: sono questi i due termini chiave attorno ai quali ruoterà l' estate davvero infuocata di del g.m. Chris Mullin, il quale avrà , da un lato, lo stimolante, ma non per questo meno semplice, compito di consolidare le importanti basi create con il lavoro di quest'anno, e dall' altro quello di rafforzarle ulteriormente in chiave play-off.
"We are focusing to improving, the main goal is to improve" : nella sintetica franchezza di queste parole, il Mullin ha indicato quale strada debbano perseguire i Warriors, una strada che non è solo tecnica, ma che è soprattutto mentale, da parte di una franchigia che vuole fare ora quel salto di qualità decisiva per ritornare definitivamente competitiva, ed abbandonare lo squallido anonimato di prima. Un obbiettivo, come già detto, che si propone come tutt'altro che facile da perseguire, poiché il miglioramento di questi Warriors deve partire indiscutibilmente dalla conferma di quelli che sono stati i protagonisti chiave della stagione passata e che possono rappresentare i perni su cui avvitare le certezze della prossima annata; proprio su molti di questi protagonisti, aleggiano però preoccupanti dubbi riguardanti la possibilità di instaurare con loro un rapporto a lunga scadenza.
E il primo della lista, nei confronti del quali il Mully dovrà perseguire una prepotente opera di convincimento, è colui che ha contribuito in larga misura a ridefinire il restyling tecnico della squadra: Don Nelson.
Per evidenziare l' importanza del ruolo di Nelson, si potrebbe facilmente (e di conseguenza superficialmente) affermare che i Warriors sono ritornati ai play-off proprio nell' anno in cui Nelson è ritornato ad allenarli; tuttavia questo aspetto non farebbe luce completamente su tutta la profondità del lavoro tecnico ma anche psicologico che Nellie ha svolto all' interno della franchigia.
Il contributo di Nelson è stato totale, ed ha toccato tutti gli aspetti più profondi che contraddistinguono una squadra: ha dato ai Warriors uno stile di gioco ben definito in cui i giocatori potessero credere e identificarsi, poiché in un sistema offensivo basato sulla creatività , sulla velocità e sulla ricerca continua del tiro da 3 punti, è chiaro come siano i giocatori stessi per primi a crederci per la naturale possibilità di divertirsi e di esprimere tutto il loro talento.
Nelson in questa maniera ha dato alla squadra un vero lifestyle, come lo ha definito il Mullin ( "Questo è il nostro stile, è ciò che mettiamo in pratica, e chi non è in grado di giocarlo non può essere qui: essere capaci di giocare così è un' attitudine mentale" ), che ha permesso ai Warriors di proporsi con un preciso identikit tecnico, senza essere invece un' accozzaglia di talento senza logica architettonica o, peggio ancora, una squadra senza talento, come accaduto spesso in passato.
E proprio la dose di talento è stato uno degli aspetti su cui Nelson ha puntato per esaltare e rendere attuabile il suo "lifestyle": è stato lui la mente che è si aggirata dietro alla trade cha permesso al Mullin di portare in gialloblu Jackson e Harrington, è stato Nelson a dar fuoco al talento esplosivo di Monta Ellis, all' emergente Biedrins, è stato sempre Nelson a valorizzare un giocatore come Matt Barnes, perennemente "rinnegato" dalla altre squadre.
Probabilmente, però, ciò in cui la personalità del Nellie ha avuto maggiori ripercussioni, è stata la questione mentale e caratteriale: per anni lo spogliatoio degli Warriors è stato uno dei più turbolenti della lega per la presenza di alcuni personaggi facili a surriscaldarsi (Sprewell, Webber, Van Exel), ma pure per l' incapacità stessa di alcuni allenatori nel saper gestire questi caratteri turbolenti.
Nelson quest'anno è riuscito nell'impresa di saper gestire autentiche "mine esplosive" come Baron Davis, Step Jack, alternando lode e rimprovero (ricordate la multa inflitta a Jackson dopo l'espulsione del giocatore in gara-2 della serie contro Dallas?) e ottenendo così il rispetto dei giocatori grazie al suo glorioso passato (il che non guasta mai agli occhi dei giocatori), ma in particolare con la sua fermezza caratteriale.
La fiducia dei giocatori nell' allenatore e l' abilità , storicamente riconosciuta, di Nelson nel saper valorizzare al massimo le qualità del personale a propria disposizione, si sono poi concretizzate in una squadra che con il trascorre delle gare ha vinto sempre di più, divertendo e divertendosi, e che di conseguenza ha imparato a maturare ben altra fiducia e convinzione in sé stessa: i Warriors, che in passato erano perdenti come mentalità prima ancora che come record (per quanto le due cose siano in qualche modo inevitabilmente legate), quest'anno hanno sviluppato ben altra attitudine mentale che, a lungo andare, ha generato in loro la convinzione di poter vincere contro chiunque.
I Warriors, in pratica, hanno imparato cosa voglia dire lottare fino in fondo e soprattutto saper soffrire: senza questa attitudine non avrebbe potuto verificarsi la grande rimonta per il raggiungimento dei play-off, non si sarebbe concretizzata l' impresa titanica contro i Mavs, i Jazz stessi avrebbero avuto vita molto più tranquilla nelle Semifinals di Conference.
È logico quindi come (giustamente) secondo molti, e noi non siamo di certo la voce che si distingue dal gruppo, gran parte delle future fortune dei Warriors, almeno per la prossima stagione, passino per la riconferma di Nellie che, se per il Mully sarebbe scontata, anche in forza del contratto che lega l'allenatore alla franchigia per altri due anni, da parte di Nelson è tutt'altro che tale.
Qui, senza voler fare gli psicologi della situazione, ma analizzando il caso con un minimo di comprensibile e naturale umanità , risulta facile capire i dubbi che annebbiano le mente del 67enne coach:
L' importante è essere ritornati qui, non che io stia qui ancora. Quest'anno mi ha tolto molte energie; ha dato a tutti noi grandi soddisfazioni, ma è un lavoro duro e per il momento sono molto stanco, e comunque ci sono molte cose nella vita al di fuori del basket, e io voglio godermele, anche perché quest'anno ho un anno in più
Da un punto di vista umano, il discorso è praticamente inattaccabile, soprattutto se consideriamo che il Nellie, con l' atteggiamento senile di chi si avvia verso i 70 anni e che, non poco tempo fa, è uscito indenne da quello che in gergo viene definito "un male incurabile", tende a considerare la vita attimo per attimo, senza fare programmi a lunga scadenza o farsi travolgere dall' emotività del momento.
Aggiungiamo inoltre che Nelson ama trascorrere molto tempo nella sua residenza di Maui nelle Hawaii, e che la positività dell'ultima stagione con gli Warriors, rappresenterebbe potenzialmente l'occasione giusta per ritirarsi in modo trionfale e godersi a tempo pieno le onde e i tramonti del Pacifico.
A tali considerazioni tutt'altro che promettenti, se ne contrappongono altre che potrebbero spingere invece il Nellie a rimanere: il feeling che ha instaurato con i giocatori e che non vogliono assolutamente il suo ritiro (Baron Davis: "Non voglio sentire nulla di tutto ciò; spero e prego che rimanga con noi perché è qui con noi che lo vogliamo. Farò tutto ciò che è in mio potere per far sì che lui non smetta, anche perché questo vorrebbe dire ricominciare tutto da capo e ribaltare tutto ciò che abbiamo costruito quest'anno" ), l'amore per il gioco e per una franchigia a cui è rimasto indissolubilmente legato negli anni, il suo rapporto con Chris Mullin, l' entusiasmo dei tifosi, l' opportunità davvero allettante di vedere crescere ulteriormente una creatura che lui stesso ha forgiato a sua immagine e somiglianza.
Le parole del Barone sono quelle che fotografano i rischi che deriverebbero dal ritiro di Nelson: ricominciare da capo proprio quando sono state poste le basi per un progetto a lunga scadenza. Anche perché in realtà il nuovo sostituto sarebbe pronto o quasi, e tra l'altro sarebbe pure un discepolo cha sta imparando l'arte del coaching proprio da Nelson: tra Larry Riley e Keith Smart, si fa soprattutto il nome del secondo, noto più per aver segnato il tiro vincente nella finale NCAA Indiana-Syracuse del 1987 che non per i suoi precedenti da coach (tanta CBA e 9-31 il suo record quando sostituì ai Cavs Jerry Lucas nel 2003).
Il problema è questo: per quanto Smart possa aver appreso la filosofia tecnica di Nelson, è tutto da dimostrare quale ascendente psicologico l'ex-Hoosier potrebbe avere nei confronti di giocatori come Davis, Richardson e Jackson che Nelson ha saputo motivare e controllare al massimo o quasi (Jackson sul suo ritiro: "È davvero sorprendente per me, ma mi auguro che sia solo quello che prova in questo momento. Mi auguro che all' inizio della prossima stagione lui sia in panchina con noi: i nostri miglioramenti passano necessariamente attraverso il suo contributo e la sua presenza." )
Per il momento, Nelson ha garantito la sua presenza fino al 1° Luglio data in cui comunicherà la sua decisone ufficiale per la prossima stagione: intanto ha garantito la sua massima collaborazione al club e in particolare la sua consulenza per il prossimo draft del 28 Giugno, in cui i Warriors chiameranno con la 18° scelta.
Tale situazione appare abbastanza paradossale, poiché la scelta del prossimo rookie non può prescindere dalla impostazione tecnica (=allenatore) che la squadra avrà per il campionato venturo; a meno che la decisione del Nellie non contenga un significato implicito, quello cioè che alla fine di tutto il Nellie comunque rimarrà . Insomma, la sensazione complessiva da parte di chi scrive è che Nelson, come tutto il resto della dirigenza, abbia solo voglia di staccare per smaltire le emozioni e le fatiche della stagione appena conclusa, per valutare solo in seguito la situazione con più calma e raziocinio, ma che alla fine il 67enne coach il prossimo anno siederà ancora sulla panchina dei Warriors.
Riprendendo le parole del Jack: ""i nostri miglioramenti passano necessariamente attraverso il suo contributo e la sua presenza."
Noi aggiungiamo: il ritorno di Nelson sarà , molto probabilmente, la conditio sine qua non da cui dipenderà anche la presenza di alcuni giocatori, che quest'anno si sono legati a Nelson come non mai ad un allenatore nel corso della loro carriera.
Ci riferiamo ovviamente al Barone, il cui contratto con la franchigia della Baia scade ufficialmente tra due anni, ma che, secondo una clausola firmata nel 2003, quando ancora militava negli Hornets, gli consentirebbe di diventare free-agent già al termine della prossima stagione.
Il Barone ha già espresso il desiderio di prolungare il suo rapporto con i Warriors ( "Ho sempre voluto prendere casa e tornare a Los Angeles; ma credo che la Bay Area sia una grande opportunità per me, sia per la mia carriera di giocatore che per ciò che riguarda la vita al di fuori del campo" ), ma anche sulle condizioni economiche di questo eventuale prolungamento ha lasciato ben poco all' interpretazione personale: una estensione contrattuale di 4 anni, oltre logicamente ai 2 rimanenti, per un totale di 89mln di dollari, condizioni quindi che, per la loro onerosità sia temporale che economica, costringeranno la dirigenza a precise e approfondite riflessioni.
Il Barone, quest'anno, è stato in campo quello che Nelson è stato in panchina per Golden State: un leader, un trascinatore, la guida tecnica della squadra, la mente da cui è partito il "Nelson style" ma spesso pure il braccio armato (20.1ppg in regular season e 25.3 nei play-off con il 51% dal campo), e il suo rendimento (Mullin:" è uno dei più forti giocatori della Lega"; Nelson:"Ha provato ampiamente nei play-off quando inarrestabile possa essere sotto pressione"), per maturità e spirito vincente, ha toccato vette da apnea.
Logico che la credibilità futura del "progetto Warriors" sia, in gran parte, direttamente proporzionale alla permanenza del Barone. Altrettanto logico poi, che il Barone (che si sta avvicinando alla soglia dei 30 anni, è un '79) voglia un allungamento contrattuale così consistente per dare precise sicurezze al suo futuro, potendo lucrare tra l'altro sulla sua ultima travolgente stagione.
Bisogna tuttavia considerare che concedere un contratto di tale consistenza significherebbe rendere praticamente "uomo franchigia" un giocatore che comunque nelle ultime cinque ha saltato più di cento gare per infortuni vari e la cui solidità fisica è quanto meno incerta; inoltre i Warriors con tale investimento si avvicinerebbero in maniera pericolosa alla soglia della luxury tax, allontanata in Gennaio con la cessione dei contratti di Murphy e Dunleavy.
Di più: quest' estate scadono i contratti di Pietrus e Barnes con, almeno, uno tra i due che va necessariamente rifirmato, mentre nel 2008 scadranno quelli di Ellis e Biedrins, anch'essi pietre angolari per il futuro della franchigia. Tuttavia, anche in questo caso, come per il Nellie, le conseguenze derivate da una eventuale dipartita del Barone a fine stagione, per di più senza nulla in cambio, sarebbero troppo gravi per potere permettere ciò: come sostenuto da Eric Gilmore (giornalista di ContraCosta.Times), i Warriors rischierebbero di perdere il loro miglior giocatore, il loro leader, uno dei giocatori più dominanti della lega.
Inoltre che messaggio darebbe di sé la franchigia se non accontentasse un giocatore che "davanti a tutto il mondo ha già affermato di voler rimanere con quella squadra"??? Trattenerlo significherebbe in pratica per i Warriors, non solo rimanere competitivi, ma dare un preciso messaggio di credibilità societaria a qualsiasi free-agent decidesse di valutare l' ipotesi Golden State.
E pazienza se, in passato, il Mully ha commesso alcuni errori fatali nell' allungare contratti pesanti a giocatori come Dunleavy e Murphy che poi hanno sostanzialmente tradito le attese: qui si parla di un giocatore che può condizionare i destini di una franchigia.
Tra l'altro, vista la volontà del Barone di sistemarsi nelle zone di Los Angeles (ha frequentato l' Università a U.C.L.A), non sarebbe così improbabile vedere piombare come falchi sul Barone, i Lakers o i Clippers, da tempo ormai alla ricerca di un play affidabile. Data però la stima e l'attaccamento che Davis ha espresso nei confronti di Don Nelson, non è forzato affermare che la permanenza del Barone non sia solo una "business question", ma dipenderà anche fortemente dalla volontà di rimanere di Nelson: ciò, magari, potrebbe spingere Davis a rimanere abbassando persino le sue pretese economiche.
Altri due giocatori poi che, presumibilmente, faranno dipendere la loro permanenza sulla Baia dal ritorno di Nelson sono Stephen Jackson e Matt Barnes: il primo ha giocato una regular season molto positiva con i Warriors, ha giocato una serie memorabile contro i Mavs calando invece contro i Jazz, un po' per stanchezza, un po' per merito della difesa di Kirilenko.
È innegabile, comunque, che il suo rendimento in maglia gialloblu abbia dato una sensibile inpennata alle sua quotazioni tanto che, pur essendo legato ai Warriors per altri tre anni (e un totale di 21mln di dollari), l'ex-Pacers fa gola a tante squadre che hanno bisogno di un tiratore killer come lui.
Anche Step è riuscito a trovare con Nelson un feeling del tutto speciale: ha saputo sfoderare tutte le sue doti sia offensive che di mastino difensivo (chiedere a Nowitzky), ha dato fuoco a tutta la sua emotività con cui ha caricato e trascinato la squadra nei momenti decisivi, tutte qualità che ad Indiana, negli ultimi anni, si erano un po' assopite.
Nelson ha saputo motivare e sfruttare al massimo anche Jackson controllandone spesso anche gli eccessi caratteriali, logica controindicazione della sua focosa personalità da combattente di razza. È proprio quello "spesso", interpretabile malignamente anche come "non sempre", che alimenta dei dubbi sul fatto di trattenere il giocatore o di sfruttarlo come preziosa merce di scambio, scaricandone quindi il relativo contratto: secondo alcuni giornalisti, come Dave Del Grande (InsideBayArea), di Jackson si sono visti sono parzialmente gli eccessi caratteriali che spesso lo hanno portato ad inimicare gli arbitri contro lui e contro la squadra, tanto che "i Warriors, in certi casi, hanno giocato in 5 contro 8..".
Il giocatore rimane quindi una potenziale bomba ad orologeria, pronta ad esplodere in qualsiasi istante, e il processo che dovrà affrontare verso fine Giugno per rissa fuori da un night-club non fa altro che rafforzare i dubbi che sussistono su di lui; nel caso Nelson rimanesse, noi personalmente opteremmo per una pronta riconferma del giocatore il cui contributo in fatto di leadership, punti e difesa è stato indispensabile per la squadra, ma se il Nellie non dovesse tornare, allora questo caso andrebbe valutato con la massima delicatezza.
Quanto a Barnes, anche qui trattasi di ennesima scoperta nelsoniana dal sommerso NBA. Tanto per rendere l'idea: quando giocava ai Sixers, Mo Cheeks, attuale allenatore di Philly, disse a Barnes: "Ehi Matt, lascia perdere con il tiro da fuori, non fa per te; piuttosto tira in avvicinamento e difendi.." .
Nellie, quest'anno, ha sfruttato Barnes per la sua difesa, per la sua intelligenza cestistica, ma soprattutto ne ha fatto uno specialista" delle triple (36.6% da 3p in stagione regolare e addirittura il 42.2 nei play-off): Barnes quest'anno ha riscritto tutti i suoi career high offensivi da quando è nella Lega, ha firmato un micidiale 7/8 dalla lunga proprio nella gara contro Phila con ovvio dediche oculari a Cheeks dopo ogni siluro, e i suoi colpi di maglio sono stati spesso fondamentali per punire gli spazi aperti dal Barone.
Sia Barnes che Pietrus quest'anno sono free-agent: è da escludere che la società li rifirmi entrambi perché molto simili come giocatori (atletici, difensori, tiratori) e con il rischio di valicare il salary cap; tuttavia i Warriors non possono nemmeno permettersi di perdere entrambi con il rischio di indebolire troppo una panchina già adesso un po' corta.
A buon senso, la società sceglierà uno dei due: personalmente, andremo per Barnes che rispetto al francese garantisce un tiro da fuori più affidabile, maggiore intelligenza in campo e una migliore predisposizione a partire dal pino. C'è poi la solita e immancabile questione economica: Pietrus chiederà un consistente aumento del contratto e Barnes vorrebbe considerare la possibilità che qualche squadra lo metta sotto contratto con la mid-level exception al salary cap (intorno ai 5/6mln annuali).
Quella di Barnes è stata una stagione molto positiva, ma tutto sommato è stata anche solo la prima a certi livelli: difficile che qualche franchigia si impegni con lui a quelle cifre e a lungo termine. Pietrus, se non altro, è già da tre anni che mostra le sue potenzialità e che occhieggia la doppia cifra in punti, pur partendo dal pino: un sostanziale aumento di contratto potrebbe ottenerlo.
Intuitivamente quindi Barnes, ai Warriors, dovrebbe pure costare meno e comunque nel sistema di Nelson ha già minutaggio e ruolo ben definiti: cambiare potrebbe esser per lui un rischio e potrebbe significare ricominciare da capo. Il francese invece durante la scorsa annata ha spesso manifestato la propria indolenza verso il suo minutaggio, limitato dall'arrivo degli ex-Pacers: il rischio quindi è tenerlo contro voglia o senza potergli dare quello che vuole con evidenti rischi per le armonie dello spogliatoio.
Pietrus o, in casi (molto, almeno si spera..) estremi, Jackson potrebbero essere piuttosto merce di scambio pregiata per ottenere, attraverso mirate trade, i giocatori che mancano ai Warriors per far un deciso salto di qualità . In questo caso la serie con i Jazz va necessariamente richiamata alla memoria poiché è in essa che i limiti della squadra sono emersi in modo lampante: proprio la risoluzione di questi problemi rappresenta probabilmente lo spartiacque tra un campionato di buonissimo livello (46/47vittorie) ma play-off a breve scadenza a cui la squadra potrebbe tranquillamente ambire se confermasse in blocco gli elementi della scorsa stagione, e una stagione invece molto più ambiziosa soprattutto a livello di off-season.
Non vorremmo essere ripetitivi, perché chiunque abbia analizzato la serie alla fine è giunto a questa conclusione: i Warriors sono stati letteralmente massacrati a rimbalzo da Utah, una squadra di grande fisicità e aggressività , una di quelle che, prima o poi, inevitabilmente, si finiscono per incontrare nei play-off.
Il problema quindi evidentemente è la mancanza di un rimbalzista puro (Mullin:"Un rimbalzista è la chiave"), che dia energia sotto i tabelloni ma che dia maggiore intensità e consistenza anche alla difesa: la difesa dei gialloblu con l' arrivo di Jackson, e con la presenza in campo contemporaneamente del Barone, Step e uno tra Pietrus e Barnes è tutt'altro che disprezzabile in fatto di aggressività , ma troppe volte si è basata più sulla palla rubata che sulla vera difesa di posizione per mascherare certi limiti di fondo, e Biedrins, come ultimo baluardo, non è ancora del tutto affidabile. Manca quindi un lungo rimbalzista, autoritario ma dinamico allo stesso tempo dinamico e reattivo per consolidare rotazioni e movimenti difensivi collettivi.
I quotidiani di San Francisco hanno spesso citato il nome di Millsap, ala-grande emergente di Utah; noi proponiamo anche quelli di Chris Wilcox dei Sonics e soprattutto quello di Francisco Elson di San Antonio.
L' acquisto del lungo degli Spurs, in questo momento, visto l' impatto che il giocatore offre dal pino e i minuti di riposo che sa dare a Tim Duncan, appare tutt'altro che semplice, ma non va dimenticato che gli Spurs sono sempre alla ricerca di una guardia giovane, esplosiva per ringiovanire il reparto (l' anno scorso per un nonnulla fallirono l'acquisto da J.R. Smith, poi finito ai Nuggets): Pietrus risponde proprio a quelle esigenze, come Elson a quelle dei Warriors"
In tema di lunghi, il sogno proibito rimane sempre Kevin Garnett, sempre più desideroso di abbandonare i Wolves: qui però si dovrebbe di smantellare la squadra per impostare una trade (Richardson, Ellis, Biedrins), con il rischio di intaccare il nucleo base di un gruppo che non va stravolto, ma solo ritoccato nei punti strategici.
A dir la verità , ci sarebbe pure la 18° chiamata al draft da cui sperare di ricavare qualcosa, ma come sostiene giustamente sempre Dave Del Grande, "è molto difficile che a metà del primo giro possa arrivare chi sia in grado di contrastare Boozer, Duncan, Elton Brand". Tuttavia, qualcuno potrebbe sempre sostenere che i Jazz, nel draft 2006, chiamarono Millsap con la 47, ma è meglio non farsi troppe illusioni su eventuali "steal of the draft".
Appare molto più realistica con quella posizione la scelta di un tiratore puro perché, curiosamente, i Warriors, con i Suns, sono la squadra che tira di più da 3p nella Lega, ma non dispongono di un vero specialista: Richardson, Jackson, Harrington, Barnes, aggiungiamo pure il Barone, sono tutti buonissimi tiratori dalla lunga distanza, ma nessuno di loro è un tiratore puro che punisce in maniera automatica i varchi aperti dal Barone o i tiri ad alta percentuale che vengono a crearsi con il "Nelson style": manca insomma uno spanieratore alla Kyle Korver di Phila, Luther Head di Houston, tanto per indicare la tipologia di giocatore, mentre ad Orlando ci sarebbe sempre un certo J.J. Reddick che marcisce in fondo alla panchina"
Ultimo: un cambio per il Barone, per preservarlo da eventuali infortuni e per evitare che arrivi ai momenti clou della stagione totalmente stremato come successo nelle ultime due gare della serie contro Utah.
In definitiva, come si può intuire l' "estate dirigenziale" che il Mullin si appresta ad affrontare è decisamente ricca di stimoli ed intrigante per la possibilità di consolidare ulteriormente un team giovane e ricco di talento, ma allo stesso tempo è ricco di insidie poiché il bisogno di riconfermare alcuni elementi e di acquisire nuove forze sul mercato, dovrà necessariamente coniugarsi con l'esigenza di non sforare il tetto salariale: attualmente i Warriors sono al di sotto della soglia salariale per 11mln di dollari, e ci sarebbero sempre i contratti di Jasikevicius (4mln) e Foyle (9mln!!!) da scaricare"