Houston, a chi la colpa?

Lo sguardo di McGrady è emblematico: un'altra eliminazione dura da buttar giù.

Ci sono cose a cui non si riesce mai a fare l'abitudine per quanto esse possano avere una natura imprevedibile, ingiustificata, delle cose che non seguono una logica predefinita ma premiano chi si adatta meglio dell'avversario per superare l'ostacolo ed andare avanti, proseguendo verso il cammino che porta alla gloria: a questa categoria di eventi appartengono di certo i playoffs Nba, che con l'edizione 2007 stanno regalando delle emozioni simili ma contemporaneamente diverse a quella del 2006, ed a differenza di un anno fa, dove i pronostici furono pressoché rispettati ma con un equilibrio itinerante che portò a diverse gare 7, il presente campionato sta dispensando i cosiddetti "upsets", grazie alla storica disfatta dei Dallas Mavericks delle 67 vittorie in regular season, alla cancellazione materiale dei Miami Heat, e sì, anche all'ennesima uscita prematura dai playoffs di un campione la cui carriera sta assumendo sempre più connotati drammatici (sia inteso, a livello sportivo, visti i reali drammi del mondo odierno).

Tracy McGrady non aveva mai vinto una serie di playoffs e proprio per questo aspetto non è considerato un giocatore vincente, è pensato come un grande talento che sopprime le sue qualità  cestisticamente divine con un carattere non all'altezza delle grandi occasioni, e come in un filmato che gira perennemente a vuoto anche quest'anno l'impresa non gli è riuscita, ironicamente proprio nell'occasione in cui aveva dimostrato la sua grande leadership trascinando i Rockets a superare le 50 vittorie nonostante l'assenza dal parquet per 2 mesi del nuovo riferimento offensivo di Houston, Yao Ming.

In molti si sono chiesti se il 2-0 con cui i texani avevano aperto la serie contro gli Utah Jazz fosse un ennesimo presagio di ciò che li avrebbe attesi dopo, perché il buon Tracy era già  avvezzo ad esperienza del genere quando, nella primavera del 2003, commisse un clamoroso errore di presunzione davanti alle telecamere analizzando l'oramai sicuro secondo round che i suoi Orlando Magic avrebbero dovuto affrontare, salvo incassare 3 sconfitte consecutive dai Detroit Pistons ed uscire dopo un vantaggio di 3-1 nella serie, oppure quando nel 2005 i Rockets subirono una severissima lezione in gara 7 dai precedentemente menzionati Mavericks, forse non tanto casualmente dopo aver vinto le prime due partite della contesa addirittura a Dallas.

Purtroppo per i fans di Houston i calcoli dei pessimisti erano giusti, ed i Rockets hanno pagato a carissimo prezzo il fatto di aver mancato di chiudere la serie anzitempo, andando a perdere gara 7 al Toyota Center, diritto per il quale avevano giocato un memorabile finale di stagione approfittando proprio della debà cle della squadra di Sloan.

L'evento ha gettato il loro numero 1 di maglia e di fatto nel più totale sconforto per l'ennesima occasione mancata, portando a 6 il numero di serie perse in carriera da McGrady, sostanzialmente tutte quelle giocate, ed allungando la striscia negativa della squadra della ribattezzata Clutch City, che dal 1997 non riesce a superare il primo round della postseason, una delle striscie negative più lunghe di tutta la Nba.

Certo, playoffs a parte Tracy McGrady agli occhi dei più non ha nulla di che lamentarsi, nel senso che qualche dollaruccio ogni anno riesce in linea di massima a metterlo via, ha un tenore di vita che tre quarti del pianeta gli invidia, è baciato da un talento stratosferico ed un giorno, se avrà  fortuna, sarà  ricordato tra gli immortali del basket planetario.

L'unica cosa che gli manca forse non è nemmeno l'anello stesso, è riuscire ad arrivarci vicino. E se le altre volte gli si potevano imputare delle colpe evidenti come mai possiamo giudicarlo in questa occasione, dopo un anno passato a mostrare la sua enorme trasformazione da superstar intoccabile ed egoista a gregario (il termine fa sorridere anche noi, ma passatecelo) disposto a far giocare una squadra senza fantasia mettendosi a completa disposizione di un centro cinese universalmente riconosciuto come nuova opzione primaria?

Il nostro giudizio resta di colpevolezza solo parziale, limitata ad un paio di partite della serie contro i Jazz, una colpevolezza da condividere ampiamente con molti compagni e con il sistema di gioco voluto da Jeff Van Gundy, e nonostante Tracy stesso abbia sempre sostenuto che la squadra sarebbe arrivata solo dove l'avesse portata egli stesso sinceramente non ce la sentiamo di sparargli addosso senza ritegno, cercando di analizzare meglio una stagione che senza di lui sarebbe deragliata di fronte allo spauracchio (l'ennesimo per Houston) degli infortuni, che determinò l'esclusione dai playoffs 2006 di una squadra sulla carta molto più forte del record finale.

Ciò che fa più male di questa eliminazione è il ripensamento ai presupposti di questa avventura verso l'elite della Nba, presupposti che legittimavano Houston non come una super potenza della Western Conference, forse ancora un gradino troppo competitiva per consentire loro la Finale, ma adeguata per considerarli una sorta di mina vagante che avrebbe potuto dare fastidio a chiunque qualora avesse tenuto a mente due cose ben distinte: continuare nella filosofia "old school" di Van Gundy secondo la quale è ancora meglio essere limitati in attacco ma super in difesa, non a caso i Rockets hanno concesso difensivamente la media punti più bassa di tutta la lega, ma soprattutto il trovare la forza di non buttare via le partite nel quarto periodo come avevano invece fatto in regular season, dove sarebbero potute arrivare con tranquillità  5-6 vittorie in più se i nervi e la stanchezza non fossero risultati così dannosi per i Razzi.

Dunque le premesse per tentare il colpaccio provando l'aggancio ad una finale della Western Conference c'erano tutte, perché Houston era considerata una squadra che sulle 7 partite poteva giocarsela con tutti, Dallas e (probabilmente) Phoenix comprese, perché presentava caratteristiche di adattabilità  anche ai quintetti piccoli proposti dalla maggior parte delle squadre vincenti dell'ovest, rispondendo con tenacia difensiva, un centro di rara stazza e di grande tocco, oltre ad una superstar come T-Mac in grado di risolvere una partita in qualsiasi momento, perlomeno in stagione regolare.

Proprio per questi motivi l'uscita la primo turno è stata amara come poche altre.

Nessuno aveva detto che gli Utah Jazz sarebbero stati facili da abbattere in virtù della grande fisicità  in dote al team di Jerry Sloan e nessuno si era sognato di sottovalutare l'impegno, ma sulla carta pochissimi avrebbero scommesso sul passaggio del turno da parte della squadra mormone, partita in maniera straordinaria ad inizio anno solo per sgonfiarsi gradualmente fino a perdere con le sue stesse mani un vantaggio del campo al primo turno che era saldamente sotto il loro controllo.

Questo perché si presumeva che la coppia Boozer-Okur non fosse nelle possibilità  di decidere la serie difensivamente avendo a che fare con Yao Ming, che avrà  pure la scusante di non aver recuperato i ritmi di gioco dopo 60 giorni passati a guardare, ma che non può essere scusato per la mancanza di aggressività  dimostrata per l'ennesima volta proprio in occasione di gara 7, quando in tre distinte occasioni avrebbe dovuto letteralmente mangiare i rimbalzi difensivi anziché farseli soffiare da avversari fisicamente inferiori ma caratterialmente anni luce più tosti, arrivando ad essere decisivo in negativo nell'epilogo della gara decisiva del passaggio del turno facendosi trovare tagliato fuori dalla lotta sotto le plance, perdendo anche la solita marea di palloni, 4.7 a gara.

Yao aveva dato segnali di strapotere fin da quando la prima palla a due di questa stagione era stata alzata in cielo, le sue prestazioni erano state dominanti non solo numericamente, era quasi consensualmente stato giudicato come probabile Mvp della stagione con mesi di anticipo ed era arrivato ad accaparrarsi lo status di miglior centro della lega superando Shaquille O'Neal, contro il quale aveva dominato in lungo ed in largo (34 punti e 14 rimbalzi) nella partita dello scorso 13 novembre ricevendo simbolicamente il testimone dal giocatore più decisivo degli ultimi 10 anni di basket professionistico, un testimone che forse tanti hanno ritenuto passato di mano con eccessiva fretta verrebbe da dire, perché nemmeno Ming può essere ricordato come vincitore di una serie di playoffs Nba nella sua carriera.

Parlavamo prima di condivisione di colpe e ci sembra giusto rimarcare questo concetto, perché una squadra è pur sempre una squadra, e per definizione è un'entità  composta da più individui, ognuno con il suo compito da svolgere per raggiungere l'obbiettivo finale.

Non è mai corretto fino in fondo limitarsi al giudizio delle statistiche, però proprio in esse si può trovare facilmente traccia di cosa sia andato storto, dato che oltre i 25 punti di media a testa dei due pezzi grossi non c'è stato molto altro a fare da contorno: una delle delusioni maggiori è arrivata da Luther Head, elemento che aveva saputo, in regular season, risolvere delle gare con la precisione dalla distanza fornendo un fatturato in doppia cifra dalla panchina, fermatosi nella serie di playoffs a soli 4.6 punti a gara con un orrido 26% da tre punti (30% complessivo), numeri inaccettabili per ciò che la giovane guardia aveva dimostrato in precedenza, così come tali possono essere ritenuti i 5 punti a gara di Juwan Howard, che ha dimezzato la sua produzione offensiva rispetto alla regular season in 22 minuti medi di impiego.

Per rimediare a questi "tradimenti" ben poco avrebbero potuto fare Rafer Alston, troppo impreciso dalla distanza per il tipo di gioco voluto da JVG, ed il buon Shane Battier, l'unica non superstar in grado di mantenere i valori di rendimento, garantendo cinque gare su sette in doppia cifra con discrete percentuali da fuori assieme alla solita difesa intelligente; se poi dovessimo salvare uno ed uno solo degli elementi di contorno sceglieremmo senza esitazione il guerriero Chuck Hayes, che ha lottato come un leone per tutta la fine della regular season e che ha tirato giù 6.4 rimbalzi nei 28 minuti di impiego nei playoffs, cercando di guadagnarsi il rinnovo contrattuale che Houston farebbe bene ad elargirgli, di modo da tenersi un giocatore sottodimensionato ma con voglia ed impegno da vendere, uno di quei piccoli e non troppo insignificanti pezzi dei puzzle che compongono le squadre vincenti, chiedere ad Udonis Haslem per conferme circa l'argomento.

Dopo la disfatta non resta che affrontare il futuro, che vede molte incertezze soprattutto riguardanti la gestione tecnica della squadra.

La notizia trapelata la settimana scorsa dalla Espn riguardo alle dimissioni di Van Gundy, che avrebbe dovuto discutere un prolungamento del suo accordo nella offseason, secondo le fonti che l'hanno riportata sarebbe volontà  del coach stesso, mentre da Houston rimbalzano smentite sia da parte del proprietario Les Alexander e sia da parte del nuovo general manager Daryl Morey.

Comunque stiano le cose è certo che Van Gundy ha accusato il colpo, tre uscite al primo round in quattro stagioni potrebbero essere dure da digerire persino per lui, sempre convinto delle sue capacità  ma arrivato ad un livello di frustrazione che solo lui può conoscere: i giocatori lo stimano tantissimo e lo rivogliono in panchina, ma il suo tipo di gioco è quello giusto per fare strada nei playoffs?

C'è quindi da chiedersi quale sia la decisione migliore da prendere per la collettività , dato che le indicazioni filosofiche del coach non sembrano aver portato progressi evidenti se non in difesa, costruendo di fatto un'ottima squadra per la regular season ma poco adatta ai playoffs, dove di continuo ci sono partite che richiedono aggiustamenti volanti e nelle quali i Rockets soffrono tantissimo avversari più veloci di loro.

Quindi, tra le decisioni importanti che l'organizzazione affronterà  in estate, ci sarà  da scegliere se continuare con un allenatore (ammesso che voglia continuare lui) poco incline a spettacolarizzare la parte offensiva del gioco, oppure affidarsi a qualcuno che sia pronto a sciogliere le briglie offensive dei talenti di cui il team dispone, anche a patto di perdere qualcosa in termini di progressi fatti sulla propria metà  campo.

Riguardo i giocatori, è senza dubbio latente l'esigenza di trovare un playmaker vero, che possa dare il cambio ad Alston o addirittura sostituirlo, essendo Skip To My Lou troppo discontinuo al tiro e poco adatto a prendere decisioni importanti, non senza attendere notizie circa le decisioni di Vassilis Spanoulis, che sarebbe più propenso a tornare in Europa dopo la deludente stagione appena terminata, fatto per il quale la cui responsabilità  va ricondotta alla scarsa stima di Van Gundy nei confronti del play europeo.

Si attendono notizie anche da Dikembe Mutombo, commovente per il suo impegno durante l'assenza di Yao Ming ma limitato nella presenza in campo verso il termine della stagione per via degli acciacchi sempre più in aumento (nonché per decisioni tecniche), l'africano potrebbe ritirarsi o decidere di giocare per l'ultimo anno, resta da vedere che impatto avrà  sul suo morale questa precoce uscita di scena: sull'onda dell'entusiasmo Deke aveva lasciato intendere che sua moglie avrebbe dovuto pazientare un altro anno per il suo ritiro, vedremo quali consigli gli porterà  l'estate tenuto conto anche delle numerose attività  benefiche che l'africano puntualmente organizza e stipendia per la sua terra d'origine.

E mentre Yao Ming si prepara a vivere mesi di lavoro intenso, al fine di recuperare il tono fisico ed il fiato che sono venuti a mancare, ecco correre in aiuto del cinese nientemeno che Hakeem Olajuwon, con il quale ci sono stati seri contatti per tramandare i segreti del ruolo al (relativamente) nuovo adepto, sperando che quando a novembre si ripartirà  con un'altra avventura si confermino i presupposti d'entusiasmo che hanno portato il Toyota Center ad esaurirsi per 25 volte quest'anno, restituendo a questa squadra un pubblico che non si è mai distinto per essere particolarmente infuocato.

Ma per evitare di deludere i fans, dopo il prematuro risveglio dal sogno di un qualcosa di grande, ci vorrà  ben di più di una serie di lezioni di tecnica e di trucchi: quando si ricomincia dovremo assistere a dei miglioramenti soprattutto caratteriali da parte di chi questa squadra deve traghettarla in alto, altrimenti anche per l'ottimo Yao diventerebbe eccessivo il rischio di passare i propri anni migliori a chiedersi i motivi di tanti fallimenti. Rischio che un suo compagno abbastanza famoso ha già  corso per sei volte nella sua carriera.

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