Sam Mitchell nella sua classica posa a bordo campo…
Arriva l'autobus dei Toronto Raptors e in mezzo a tanti ragazzoni bianchi, neri, mulatti, eleganti, sportivi, stralunati, con auricolari, al telefono o sorridenti davanti alle telecamere sbuca un signore che sembra pronto per una serata di lettura o per una cena di gala o per un saggio di pianoforte.
Abito gessato, giacca rigorosamente con doppiopetto, occhiali da vista rettangolari e sottili, capelli perfetti, pizzetto e basette a punta freschi di barber's shop, sorriso di circostanza e mani immancabilmente in tasca. Signore e Signori ecco a voi Sam Mitchell: COACH OF THE YEAR 2007!
Toronto si ripeterà come peggior squadra della lega! Sam Mitchell non ha la più pallida idea di cosa significhi X's and O's (espressione di gergo traducibile circa con schemi tattici) . L'allenatore e il presidente, Bryan Colangelo, non vanno d'accordo, siccome il secondo in sei mesi ha fatto piazza pulita della precedente gestione Babcok la testa di Mitchell sarà la prima a rotolare. I Raptors sono una squadra troppo giovane, con nove giocatori nuovi su quindici e poi con tutti questi europei dove vogliono andare? Non hanno carattere" ecc.
Queste le premesse ad una stagione che si conclude con 47 vittorie e 35 sconfitte (venti in più dello scorso anno), il titolo di Campioni dell'Atlantic Division, la testa di serie numero tre ai playoff, Sam Mitchell allenatore dell'anno, Chris Bosh in corsa per l' MVP , Andrea Bargnani secondo nella corsa per Rookie of the Year e una serie combattutissima contro dei molto più esperti New Jersey Nets finita all'ultimo tiro di gara sei.
Partiamo da quest'ultimo tiro nell'ultima partita: Lawrence Frank e Richard Jefferson sorprendono la difesa dei Raptors per un layup a mezzo metro dal canestro. Dall'altra parte su una situazione di blocco cieco di Bargnani per Bosh abbastanza scontata per portare l'airone vicino a canestro contro RJ, Jefferson cambia e legge il lob con mezz'ora di anticipo e col più classico degli intercetti mette fine alla partita e alla stagione di Toronto.
Questo finale è la fotografia della stagione dei Raptors: bravissimi a rimanere sempre in partita, a giocare sempre con il cuore, a lottare punto a punto, a buttarsi su ogni palla, a giocarsela fino alla fine ma un po' meno bravi quando la partita si decide sul filo di lana.
La sensazione generale che un sacco di partite dei Raps hanno lasciato a tanti osservatori è di non saper bene cosa fare nell'ultima azione, di sembrare persi appena si è presentata loro una situazione diversa da quella preparata nel timeout.
Qui entra in gioco Sam Mitchell, qui i detrattori sono pronti a sventolare questa disorganizzazione nei momenti chiave contro la gestione tattica della squadra, qui ci si chiede il perché il "mister" non sia a bordo campo a sbracciarsi per suggerire le varie letture ai suoi ragazzi, qui nasce la sensazione che Toronto sia stata ouplayed ma soprattutto outcoached da New Jersey.
La preparazione di coach Lawrence Frank, la sua cura di ogni aspetto del gioco sembra a volte maniacale, ma cosa dire delle mani in tasca di Sam e della sua smorfia di disappunto ad ogni brutta giocata dei suoi??
Figlio del sud degli Stati Uniti, nato a Columbus, Georgia, Samuel E. Mitchell Jr., ha fatto molta gavetta prima di arrivare alla Nba. Snobbato dai college principali, il giovane Sam va a Mercer, un piccolo college di impronta battista della Georgia, dove diventa recordman ogni epoca dei Bears praticamente in ogni statistica.
Scelto al terzo giro del Draft Nba del 1985 da Houston, l'ala piccola Mitchell gioca per tre stagioni nella CBA e per due anni a Montpellier in Francia prima di approdare come free agent nell'appena nato expansion team di Minnesota: i Timberwolves. Ha giocato nella Nba per tredici stagioni con Indiana e soprattutto Minnesota dove oltre a leader emotivo è stato considerato il padre spirituale e tecnico di un ragazzino proveniente da un liceo di Chicago e dall'infanzia travagliata di nome Kevin Garnett.
Ritiratosi nel 2002 passa subito al ruolo che tutti prevedevano per lui quando ancora giocava: l'allenatore. Coach George Karl lo assume come suo assistente a Milwaukee dove rimane anche l'anno seguente nello staff del nuovo head coach Terry Porter. A questi anni ai Bucks risalgono due caratteristiche fondamentali del personaggio: la capacità di motivare ragazzi (magari di colore, l'aspetto del colore della pella non è affatto da sottovalutare) molto giovani, dall'assoluto potenziale ma dalla psiche complessa, il suo protetto Michael Redd (da molti snobbato il giorno del draft 2000 fino a farne una seconda scelta) è letteralmente esploso e diventato una stella assoluta della lega.
La seconda molto più importante caratteristica è l'eredità delle mani in tasca trasmessagli da "Furious"George Karl, entrambi sempre e comunque impassibili hanno le mani incollate nelle tasche laterali dei pantaloni.
La metafora delle tasche è emblematica e rappresenta l'imperturbabilità e il controllo delle emozioni (a volte ossessivo)dell'head coach di Toronto: tante volte i suoi giovani Raptors si sono trovati in situazioni decisive punto a punto e hanno sbagliato la lettura che ha portato ad una palla persa, a un tiro forzato (in attacco) o ad una schiacciata, un layup o un tiro piedi per terra degli avversari (in difesa). Non c'è bisogno di essere per forza isterici come Larry Brown o Jeff Van Gundy ma neanche Phil Jackson lascia così tanto i suoi giovani Lakers a cuocere nel loro brodo Zen"
L'eccellente lavoro di Mitchell a livello umano su Chris Bosh, aiutandolo a trasformarsi nel leader e simbolo della franchigia non passa inosservato, dopo KG e Redd, è infatti il terzo capolavoro della sua carriera da "Padrino"!
Pur con metodi a volte poco ortodossi, si parla tanto del suo approccio da duro in allenamento fatto di insulti e continue sfide ai giocatori, Coach Sam riesce a toccare i tasti giusti nelle menti non sempre facili di questi ragazzi dalle infanzie difficili che non sono sempre pronti a gestire la pressione che certi contratti caricano sulle loro giovani spalle. Mitchell, avendo vissuto diverse esperienze e realtà difficili sia nella vita reale che in quella cestistica, risulta essere ottimo consigliere oltre che padre putativo per acerbi talenti.
Altro aspetto fondamentale è la speciale chimica di squadra che si è creata ai Raptors nelle ultime due stagioni, di solito l'allenatore ne è il principale responsabile. Queste sue doti vengono valutate molto positivamente nella Lega e suggeriscono l'inserimento del nuovo Coach of the Year in un lungo elenco di ex giocatori di colore che, una volta diventati allenatori, hanno fatto della capacità di dialogare e motivare la loro caratteristica principale anche se spesso a scapito dell'aspetto tattico.
Isiah Thomas, Maurice Cheeks, Nate McMillan, Glenn Doc Rivers, Byron Scott e appunto Sam Mitchell raccolgono l'eredità dei Lenny Wilkens e dei Paul Silas nella lista di allenatori che, pur non avendo mai ottenuto risultati eccellenti (a parte il titolo della Seattle di Wilkens), riescono sempre a trovare un general manager che li nomina "domatori" di branchi di giovani indisciplinati o enigmatici o underachieving (che non esprimono il loro grande talento).
Ora resta da stabilire se Bryan Colangelo sia convinto che è di questo che hanno bisogno i suoi Raptors o se è già ora di fare un passo ulteriore dal punto di vista tecnico-tattico. La previsione di tanti è per la seconda ipotesi. Tanti sostengono che dietro al successo di Toronto ci sia quasi esclusivamente la mano del duo Colangelo-Gherardini, che dopo l'avvio a dir poco disastroso, il tecnico si sia visto imporre dall'alto la scelta VINCENTE di dare spazio al ragazzone italiano prima scelta assoluta, di dare più spazio a Calderòn in regia col proseguo della stagione, di insistere con Garbajosa e Parker dopo che nelle prime dieci partite non avevano ancora messo un tiro da fuori e sembravano pesci fuor d'acqua da questa parte dell'oceano, ecc.
Anche in questi playoff, il repentino cambio di rotta dopo gara tre con molto più spazio a Bargnani e Peterson ai danni Nesterovic e Graham, si vocifera sia stato suggerito dai piani superiori. È evidente che la squadra ha carenze organizzative, non si va molto oltre il pick and roll Ford-Bosh o i blocchi per i riccioli di Parker con tutti gli altri fermi ad aspettare le briciole.
Lo stesso Bosh nei playoff ha difficilmente ricevuto la palla nelle sue comfort zone , soprattutto con in campo l'amico TJ, la stellina della squadra si è limitata a prendere quello che i Nets gli lasciavano ovvero un tiro dalla media in sospensione: raramente una ricezione dinamica ma un sacco di pick and pop che accendevano il motore di Kidd e il suo circo a tre piste. Senza accennare all'assenza di regole difensive precise che dovrebbero fare da coperta di Linus a una squadra di difensori mediocri.
In tutto questo l'allenatore dell'anno dov'era?
In panchina a fare smorfie e a tenere ben salde le sue mani in tasca.
Per questi motivi ci si avvicina a grandi falcate ad un divorzio consensuale in cui entrambe le parti sono soddisfatte: Mitchell ha ottenuto un trofeo molto ambito, il Red Auerbach Trophy battendo (forse ingiustamente) Jerry Sloan che in tre anni ha rifondato una squadra solida come gli Utah Jazz (ora al secondo turno di playoff nel Far West).
Non solo, il trofeo è arrivato grazie ad attestati di fiducia di tantissimi giocatori, opinionisti e addetti ai lavori (in primis gli stessi executives dei Raptors)che vanno a rinforzare la posizione di Sam per quest'estate quando un sacco di squadre dovranno decidere in che direzione tecnica andare.
È amico di Dwight Howard di Orlando e Larry Bird ad Indianapolis, dopo il fallimento di Carlisle, sembra deciso a puntare su un allenatore con capacità umane migliori per provare ad entrare nella testa di un Jermaine O'Neal all'ultima fermata sulla via del successo Nba (e chissà che Mitchell non riesca a cavare un ragno dal buco enorme che c'è nella testa di Jamaal the Abuser ,Tinsley!!).
D'altra parte Colangelo e Gherardini sembrano pronti a fare una corte serrata al defensive cordinator di D'Antoni ai Suns Mark Iavaroni o a PJ Carlesimo, defensive cordinator di Popovich a San Antonio ed ex "motivatore" di Latrell Sprewell a Golden State.