Nelson, la nemesi

Coach Don Nelson si sta togliendo belle soddisfazioni in questa stagione…

Che dire di una squadra creata per divertire che diviene in meno di un anno una compagine vincente e, dopo una trade vantaggiosa, acciuffa all'ultimo respiro i playoffs con l'ottava testa di serie?

E se nel primo turno eliminasse la squadra di cui è la vera nemesi, quei Dallas Mavericks assetati di vittorie come il loro padrone Mark Cuban, arrivato a giubilare il padrino del “Run and gun” per sostituirlo con un coach più dedito alla difesa?

Il film della stagione regolare dei Golden State Warriors è facilmente condensabile in poche ma significative scene. Quindi mettetevi comodi e… non perdetevi il finale ! Ciak si gira !!!

Scena prima

Un anno di prestazioni altalenanti, pieno di luci ed ombre, una partenza buona come altre (bilancio 7-5 dopo dodici gare), ma anche momenti in cui la squadra resta abbondantemente sotto il 50% di vittorie e vede i playoffs solo nei sogni, mentre il Barone sonnecchia pigramente, risvegliandosi giusto il tempo di lanciare qualche acuto dei suoi e son dolori per tutti, perchè quando il Barone va, è pressochè inarrestabile, forse il miglior 1 contro 1 dell'intera lega.

Scena seconda

Ed in gennaio arriva la scossa, che prende la forma di una trade inizialmente difficile da decifrare, ma che ben presto mostra come gli Warriors abbiano accumulato altro atletismo, capacità  realizzative (specie dalla lunga distanza) e soprattutto quella solidità  difensiva che spesso è mancata nelle squadre di coach Nelson, il tutto nella persona dell'esterno Stephen Jackson.

In realtà  i termini della trade sono più complessi, in quanto gli Indiana Pacers hanno ceduto agli Warriors Stephen Jackson, Al Harrington, Sarunas Jasikevicius e Josh Powell, ricevendo in cambio Mike Dunleavy, Troy Murphy, Ike Diogu and Keith McLeod.

Stephen Jackson, in cambio di Mike Dunleavy jr. ha dimostrato di valere da solo la trade, assicurando un ventello a serata, una pericolosità  dalla linea dei tre da non sottovalutare, specie in ottica playoffs, il tutto condito da rimbalzi e soprattutto difesa, che è la parola nuova nel vocabolario di questa squadra e che la mette nelle condizioni di reggere l'impatto coi playoffs.

Al Harrington ha preso il posto di Ike Diogu e forse qui la franchigia della Bay Area ha acquisito in esperienza, perdendo però un giovane dalle buonissime potenzialità  che a conti fatti, era quanto Indiana, in odor di rifondazione, andava cercando.

Josh Powell e Jasikevicius sono state le classiche pedine acquisite in sovrapprezzo, soprattutto per quanto riguarda il lituano, che alla verde età  di 31 anni, malvisto da due allenatori NBA su due, c'è da chiedersi se valga realmente la Lega.

La vera perdita è stata la qualità  e l'esperienza che Troy Murphy assicurava e che ora porterà  in dote ad Indiana, divenendone probabilmente l'uomo faro della pattuglia di giovani che ai Pacers stanno cercando di mettere assieme per poter ripartire nella era post Jermaine O'Neal.

Keith McLeod è andato a finalmente a giocare un minutaggio più consistente degli scampoli che aveva ad Oakland ed ha risposto con 4 punti a partita di media nei 34 incontri che ha disputato ai Pacers.

Scena terza

E fu la rinascita. Dopo un primo periodo di fisiologiche difficoltà  di assemblaggio, gli Warriors hanno trovato la maniera di unire al loro gioco spettacolare anche una capacità  di andare al rimbalzo dinamico fuori dal comune e di difendere aggressivamente sulla palla come mai in precedenza, rendendo così più complicato agli avversari fare un bottino sufficiente a superare o quantomeno pareggiare i cento e più punti a partita che i ragazzi di coach Nelson hanno sempre raggiunto con relativa facilità , guidati da due realizzatori come il Barone e Jason Richardson, a cui si è aggiunto ben presto anche Stephen Jackson.

Proprio Baron Davis si è risvegliato giusto in tempo per entrare prepotentemente in scena dalla porta principale, caricandosi la squadra sulle spalle assieme a Jackson e portandola, con una serie di prestazioni stellari, diritta nei playoffs all'ottantaduesima partita, seppure con l'ultimo posto utile, lasciando fuori i pur meritevoli Clippers dopo un testa a testa entusiasmante.

Al di là  delle stelle, va però detto che la pattuglia dei giocatori "normali" degli Warriors, vale a dire gli esterni Barnes, Pietrus e il giovane Monta Ellis (autore di una stagione davvero interessante), così come la pattuglia dei lunghi, Harrington, Biedrins e Foyle, hanno saputo ritagliarsi un ruolo definito ed importante in questa bella stagione e offrire un contributo alla causa davvero cospicuo, cosa che peraltro non è riuscita a Azubuike, Powell, Jasikevicius e Cabarkapa, mentre il giovane ed acerbo centro O'Bryant è andato e tornato più volte dalla NBDL, la lega di sviluppo.

Il segreto quindi di questa stagione finalmente positiva è stato in poche parole il lavoro di un uomo dato per bollito solo 16 mesi fa, buono solo a consumare oziosamente il cocktail preferito all'ombra di una palma in un elegante resort di qualche isola tropicale.

Questo deve aver pensato di lui Mark Cuban, il vulcanico proprietario dei Mavericks quando a metà  della scorsa stagione decise che l'epoca di Don Nelson a Dallas fosse terminata e decise di affidare al giovane Avery Johnson le redini di una squadra che si sarebbe giocata di là  a qualche mese il titolo coi Miami Heat di Shaq e Wade.

Dietro di lui è andata la maggior parte degli addetti ai lavori e dell'opinione pubblica. Il basket-champagne di Don Nelson andava riposto in soffitta. Così ha stupito molti il nuovo incarico di capo allenatore dei Golden State Warriors offertogli in estate ed ancora di più ha stupito che lui dato per finito a questo duro mestiere, abbia accettato.

Però Nelson ha saputo compiere un lavoro di ottima qualità , motivando e registrando a dovere un gruppo di giovani stelle dal talento e dalla fisicità  straripanti, però incapaci di usare le loro potenzialità  nell'ambito di un gioco d'insieme. Li ha fatti divertire ad interpretare un basket a loro congeniale ed assieme a loro, ha fatto divertire il pubblico che andava a vederli.

Ha saputo trovare all'interno della squadra tutto quello che serviva ed al momento giusto ha saputo cambiare, rinforzandosi clamorosamente. Ma soprattutto, pur mantenendo intatti i suoi obiettivi e le sue convinzioni, ha saputo tenere ben salde le redini di uno spogliatoio che vista l'alta concentrazione di personalità  diciamo…esuberanti, avrebbe potuto divorarlo e subito dopo autodistruggersi.

Scena quarta

La grande gioia. Il risultato di questo lavoro è stato un accesso ai playoffs che mancava da tanto, tanto tempo, cosa che ha entusiasmato oltre ogni aspettativa il popolo della California del Nord, che si è stretto attorno ai suoi beniamini in vista della prova più grande : dimostrare che Golden State ai playoffs non è come una "Cenerentola al Gran Ballo", ma vuole recitare una parte molto più importante.

Ed ecco il primo turno che ad ovest mette di fronte all'ottava testa di serie, gli Warriors, la numero 1 ad Ovest, la squadra col miglior record di vittorie, davanti a Phoenix e a San Antonio, quella Dallas costruita ed addirittura rinforzata per vincere il titolo sfuggitole l'anno prima.

Quella Dallas che aveva cacciato Nelson per un condottiero più giovane e latore di energia e fresche motivazioni per un gruppo un pò depresso da lunghi anni di vertice senza vittorie.

Quella Dallas che però detiene un curioso e infausto record contro gli uomini di Nelson quest'anno : perde spesso e volentieri contro il suo vecchio mentore, prima e dopo la trade suddetta.

Ed infatti l'inizio è di quelli col botto.
In gara 1 in Texas, Golden State si impone subito per 97 ad 85 e conquista il vantaggio campo.
Gara 2 è appannaggio dei Mavericks che in qualche modo cercano di rimettere le cose a posto ; vincono per 112 a 99.
Ci si trasferisce nel nord della California e i texani vanno subito ko per 109 a 91 in gara 3 e ricevono un altro schiaffo al loro orgoglio nella sconfitta per 103 a 99 ad opera di Golden State.

Scena quinta (e per ora ultima). L'ora della nemesi. L'ago della bussola punta inesorabilmente a sud per i ragazzi di Cuban. Jason Terry è inguardabile, in attacco gioca da solo e non fa giocare i compagni mentre in difesa viene scherzato dalle giocate del Barone o di Jason Richardson ; Stephen Jackson è una macchina e sforna bombe a ritmo industriale, mentre in difesa intimidisce e inibisce la vena offensiva dei Mavs. Il solo Nowitzki interpreta a dovere il ruolo di leader ma non riesce a tirarsi dietro la squadra.

Nel coach-to-coach Avery Johnson viene letteralmente abusato dal collega più anziano, dal vecchio mentore da cui riteneva, ahilui, di aver appreso ogni segreto, compreso quello di mantenere la giusta tensione in uno spogliatoio un pò depresso e insicuro, mai completamente ripresosi dalla batosta subita da Miami in finale lo scorso anno (quando vinte le prime due e conducendo la terza per 19 punti di scarto, i Mavs persero inerzia e titolo a vantaggio del duo Shaq-Wade.

In realtà  il vecchio Don sembra avere ancora qualche asso nella manica e i Mavericks se ne sono accorti quando, dopo una vittoria per 118 a 112 nella casalinga gara 5, al ritorno ad Oakland per la conclusiva gara 6, non è stato loro concesso neppure di entrare in partita e dove, dopo aver accumulato un passivo di 20 punti già  dalle prime battute, neppure Nowitzki, concludendo con 8 miseri punti, è riuscito a risollevare le sorti dell'incontro e della serie, finita nelle mani degli Warriors con una facilità  assolutamente impensabile in sede di pronostico.

In queste sei prime gare di playoffs si sono registrati i 25 punti di media del Barone, tornato incontenibile come un tempo e finalmente parte fondamentale di un contesto vincente (distribuisce anche 5,7 assist e cattura 6,2 rimbalzi) , ben coadiuvato da Jason Richardson (19,5 punti per gara) e da un immenso Stephen Jackson (22,8 punti per gara col 47,5% da 3 punti) ; gli altri, come detto, hanno recitato benissimo la loro parte ed è proprio per questa ragione che si può parlare ora degli Warriors come di una squadra vera, guidati dalla mano esperta e sapiente di coach Nelson.

Ammesso e non concesso (e personalmente neppure sperato, vista la mia simpatia per questa franchigia, anche se il cuore ha forma di trifoglio irlandese e colore verde acceso) che Nelson non riesca a superare il secondo turno, e lo scoglio costituito da un'altra squadra vera come gli Utah Jazz di quest'anno è dei più duri, si può dire che il coach ha meritatamente riconquistato una credibilità  appannata da troppi anni mediocri e lo ha fatto proprio dove aveva furoreggiato in un passato non troppo lontano alla testa del Run TMC, il trio delle meraviglie degli Warriors anni 80.

Senza contare che ha saputo divenire la spietata nemesi di coloro che lo avevano scacciato senza troppo rispetto o complimenti, gustando il dolce sapore della vendetta, piatto che una volta tanto è stato servito caldo, anzi bollente, come l'entusiasmo del popolo della Bay Arena.

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