Con Deron, Utah è a posto nella posizione di play per i prossimi 10 anni…
Secondo i canoni dell'American Way of Life è abbastanza normale nel corso della propria vita cambiare residenza: alcune statistiche dicono che può succedere che un middle class american prenda armi e bagagli e se ne vada dal luogo in cui è nato e cresciuto (se non lo ha già cambiato), portando con se l'eventuale famiglia e re-iniziando a vivere da un'altra parte e/o in un altro stato.
L'attuale playmaker degli Utah Jazz, e la sua famiglia hanno contribuito non poco a gonfiare queste statistiche: infatti dalla nascita all'attuale impiego nello stato Mormone il numero 8 dei Jazz è cresciuto in ben 4 stati americani.
Deron Michael Williams nacque a Parkesburg, West Virginia il 26 Giugno 1984 da una famiglia sportiva, in quanto mamma e zia furono pallavoliste a lungo al college. Al contrario di molti suoi compagni Deron visse un infanzia tranquilla, anche perché nella natia cittadina al confine con l'Ohio non è che ci si potesse sbizzarrire con i "colpi di testa".
E allora, primo trasferimento, con gli Williams che lasciarono il West Virginia per approdare in Texas. La città di arrivo scritta sul biglietto di viaggio era The Colony, piattissima città nell'area urbana di Dallas. Si guardi pure con Google Earth o affini, quel paese può essere preso a manifesto dell'occidente americano, moltissime vie parallele con le classiche villette con o senza piscina e qualche piazza per gli empori commerciali. L'America beata e innocente dei nostri telefilm insomma.
A "La Colonia" però c'era anche un High School, una delle migliori della zona, e fu qui che Deron iniziò a imitare il suo idolo Jason Kidd, facendo impazzire difese e allenatori avversari. Nel 2002, suo anno senior, con la maglia dei Cougars, guidò i compagni all'ottimo record 29-2.
Non metteva in campo solo la leadership, ma anche con 17.6 punti, 8.4 assist, 6.1 rimbalzi e 2.6 palle rubate a incontro. (In squadra c'era anche Bracey Wright, ala di Minnesota, in perenne "ascensore" con la NBDL). Certo, il livello del campionato non era quello delle Finals NBA, però il talento pulsava nelle sue mani. Si arrivò dunque alla scelta del college… Dove sarebbe potuto andare se non a migliaia di chilometri di distanza?
Urbana, Illinois. C'è Deron?
La scelta del giovane playmaker cadde su University of Illionis, un'ateneo tra i più prestigiosi dell'intero sistema universitario americano. Fare questo voleva dire volare a nord per oltre 1000 km fino a Urbana, tra i campi dell'Illinois, dove ha sede l'ateneo. Rimase 3 anni con i Fighting Illini, il soprannome della squadra dell'università , sfiorando il bersaglio grossissimo (il titolo NCAA) e facendosi notare come uno dei migliori prospetti dell'intera nazione.
Le prime 2 stagioni non furono "a partenza controllata", anzi Deron si mise in mostra da subito come uno dei migliori costruttori di gioco dello Stato. Dopo due buone stagioni da freshman e da sophomore giocò una terza stagione da junior sopra le righe, quella 2004 - 2005.
Quell'anno guidò i compagni in vetta alla Big Ten, guidando la Conference per quanto riguarda i palloni donati ai compagni e prendendosi tiri e responsabilità importanti.
Al termine della stagione regolare gli "Illini" ebbero un record di 37 W e 2 sole L, e i premi di Deron furono l'ingresso nel secondo quintetto All-America e nel primo della Big Ten. Il coach Bruce Weber (lo stesso che ha guidato gli Illini al torneo quest'anno, anche se solo per una partita) non esitò a definirlo l'M.V.P. della squadra. Con Williams chiavi-in-mano la testa di serie numero 1 Illinois schiacciò gli avversari come un carroarmato può fare con delle caramelle fino alla finale dei Regionals.
La sfida contro i Wildcats di Arizona fu una delle più belle partite mai giocate in ambito universitario, con una grandissima rimonta da parte degli Illini culminata con una bomba del nostro Deron per l'80 pari a pochi secondi dalla fine. Nei supplementari ci fu l'allungo decisivo di Illinois che si guadagnò le Final Four vincendo 90 a 89. Deron chiuse con 22 punti e 10 rimbalzi, doppia doppia di spessore. Ecco perchè molti tifosi di Arizona si sono sentiti male. Da guardare ASSOLUTAMENTE.
La tappa successiva furono le Final Four di S. Louis, dove in semifinale Deron e soci schiantarono con un grandissimo secondo tempo i Louisville Cardinals di coach Pitino per 72 a 57. Ecco il riassunto filmato.
Il Championship Game invece fu una partita con molta più storia, uno scontro tra titani contro i Tar Heels di UNC. Ne venne fuori un match molto combattuto, fatto di strappi e break, nel quale solo alla fine grazie agli errori degli Illini UNC è riuscì ad avere la meglio. Non sono bastati i 17 punti del numero 5 agli Illini per vincere. Il punteggio finale fu 75 a 70, qui l'onore ai vincitori.
L'avventura delle March Madness non si concluse dunque con lo scettro per Deron e i suoi compagni, ma quello che si dimostra durante quelle partite vale doppio nei tabellini degli scout NBA. E Williams se ne accorgerà presto…
La ricostruzione di una squadra nelle mani di un ventenne… Troppo?
Nell'estate 2003 - 2004 se ne andarono dallo Utah due leggende viventi del basket e dei Jazz: abbandonarono per motivi diversi (chi per poter stare finalmente a casa, chi per seguire un'ossessione) i 2 campioni più celebrati nella storia della franchigia, ovviamente Stocktone to Malone.
La ricostruzione della squadra fu, come sempre, lenta e dolorosa; le sconfitte divennero quasi un habitué, e i playoff furono un modo come un altro per guardare tutti insieme la Tv. L'annata 2004-2005 fu particolarmente sfortunata per la squadra della capitale dello Utah: la stella designata, Boozer (avuto da Cleveland dopo trattative di mercato degne di noi italici) si ruppe ancor prima di iniziare la stagione.
Come se non bastasse anche Kirilenko e altri fecero conoscenze ravvicinate con i dottori, lasciando il buon Jerry Sloan nelle classiche braghe di tela e incapace di fermare la valanga di punti subiti e di sconfitte: 26 W e 56 L fu il rossissimo bilancio di fine stagione.
Bilancio che ha però portato ad una scelta molto alta nel Draft 2005, un Draft a due facce, dal quale sono usciti sia buoni giocatori (Paul, Green, Ellis) sia cestisti ancora chiusi in un guscio che impedisce l'esplosione di talento (Diogu e Bynum ad esempio). Grazie ad uno scambio di scelte con Portland i "mormoni" chiamarono con la numero 3.
Pochi secondi dopo la chiamata Deron Williams era sul palco a stringere la mano a Stern con in testa il cappellino dei Jazz. Mai nella storia nessun giocatore proveniente da Illinois University è stato chiamato con una scelta così alta Ancora una volta dunque, per tornare al discorso iniziale, Deron dovette macinare chilometri per giocare, e il suo nomadismo continuò a Salt Lake City, Utah. Oltre alla sua acquisizione durante l'estate gli altri movimenti importanti dei Jazz furono la cessione di Raja Bell ai Suns e l'arrivo di Ostertag dai Kings.
Pareva però la stagione 2005- 2006 buona per iniziare a rialzare la testa dopo l'era delle finali contro i Bulls. Quando si dice la sfiga… A novembre Boozer si fece male, e fu costretto a saltare le prime 49 partite. L'asticella delle aspettative dei Jazz venne abbassata dopo questo colpo basso del destino, ma non venne certo quella di Deron.
Sloan capì presto la maturità e la leadership del ragazzo, mettendolo in campo sin da subito con il compito di dettare il ritmo della squadra.
Williams andò in doppia cifra sin dal suo debutto nel mondo dei "grandi" e nel solo mese di Novembre riuscì a giocare ben 31 minuti a sera con addirittura 13.6 punti e quasi 5 assist a serata. Non esattamente come l'inizio del nostro Andrea, la pallottola numero 8 viaggiava molto spedita.
Anche Deron però con il passare del tempo incontrò il "Rookie Wall", il momento di difficoltà in cui gli esordienti pagano il fatto di essere tali. Nei mesi di Gennaio e Febbraio infatti scesero molto sia le sue prestazioni sia i suoi minuti di presenza in campo.
Normale amministrazione, tant'è che Sloan gli affidò le chiavi dell'attacco dei suoi Jazz nelle ultime 28 partite, quando ormai l'esperienza acquisita permise a Deron di giocare ad un ottimo livello. Chiuse la stagione giocando quasi 34 minuti nelle 26 partite giocate tra Marzo e Aprile, tutte cominciate in piedi sul parquet, con oltre 13 punti ma soprattutto segnalandosi per gli assist: non tutti i Rookie riescono ad arrivare a 6.6 assistenze nell'ultimo mese del primo anno.
Le sue cifre finali parlano di 80 partite giocate (2 saltate per infortuni minori) di cui 47 partendo in pista, 28.9 minuti di gioco nei quali combina per la causa dei Jazz: 10.8 punti con il 42% dal campo, 4.5 passaggi messi nel canestro dai compagni, oltre a più di 2 rimbalzi. Ma soprattutto si è guadagnato il posto in quintetto come creatore di gioco, e il rispetto di avversari e compagni. Nessun premio particolare tranne la nomina nel primo quintetto rookie dell'anno.
Globalmente parlando il suo approcciò però non servi alla causa comune, in quanto i Jazz rimasero in corsa per la post-season fino alla terz'ultima partita, quando persero con degli spietati Mavs (chissà se nello Utah D-Wade ha molti fans dopo lo scorso Giugno) che li condannarono a finire a metà Aprile. Il record finale fu 41 W e 41 L, in risalita rispetto alla pessima annata predente. Se solo certi giocatori non avessero fatto più visite mediche che allenamenti…
Questo video testimonia come Deron Williams e il concetto di rookie in difficoltà durante il primo anno siano molto lontani…
Che sia la reincarnazione di Stockton?
Per chi potesse essersi chiesto questo dopo la visione del video precedente, relativo alle magie del primo anno di NBA del ragazzo da Parkesburg la risposta è no, in quanto il modo di giocare dei due è diverso. Questo soprattutto causa della fisicità maggiore che può mettere sul parquet l'attuale numero 8 dei Jazz. A livello di numeri / statistiche invece la risposta da darsi è un più interessante: "si vedrà ".
Al primo anno in maglia Jazz (anno 1984 – 1985) il mito vivente di Spokane infatti mandò ai posteri solo 5 partenze dall'inizio con 5.6 punti e 5.1 assist e poco più di un rimbalzo a partita. Cifre superate da Williams, che, e questo si può dire con certezza, con in squadra un lungo come Boozer può davvero provare a (ri)costruire dei grandi Jazz.
Insomma, numericamente ci siamo (anche vedendo la differenza tra i 2 al secondo anno di NBA, con le cifre di Deron che quasi doppiano quelle di Stock) bisognerà vedere con il passare del tempo e delle partite a che livello D-Williams porterà il suo gioco. Dunque i due non sono direttamente paragonabili per ora, ma il futuro è roseo.
Tornando ai giorni nostri, Sloan ha definitivamente messo le chiavi in mano al suo playmaker quando quest'estate ha scambiato Brown, McLeod e Owens con i Golden State Warriors pur di avere Derek Fisher, un veterano, per dare minuti di qualità alla squadra in assenza del playmaker titolare. Che ovviamente ha il numero 8 sulla schiena e ha fatto il college ad Illinois.
La partenza della stagione in corso ha fatto davvero sognare i tifosi mormoni. Le prime 13 partite
infatti si conclusero per ben 12 volte con una W dei Jazz, che solo in casa dei Nets non segnarono più punti degli avversari. Se la macchina funziona bene è anche merito del pilota però. Il Raikkonen in questione, Deron, ha giocato con l'acceleratore al massimo, sciorinando prestazioni da sogno con abituali doppie – doppie in punti e assist.
Al termine del mese di Novembre le sue medie parlavano chiarissimo, sentenze: 16.7 punti e 9 assist in 36 minuti d'impiego, il sogno di molti allenatori. Ma questo non fu che l'inizio, almeno a livello personale. Durante tutta la stagione le sue prestazioni andavano solo a nord, con un picco che il mese di Febbraio è arrivato a 18 punti e 11 assist tondi a partita. Anche i career high sono stati riscritti in questi mesi: 31 punti in faccia alla difesa dei Pistons e addirittura 21 assist ai derelitti Grizzlies.
Ha avuto ancora una volta ragione Sloan puntano su di lui. Dopo 67 partite su 70 possibili giocate (in cui Williams è sempre partito tra lo starting-five) il giovane playmaker dei Jazz fa scrivere ai vari statistici 16.7 punti ma soprattutto 9.4 assist, più di 3 rimbalzi e 1 rubata a partita. Il tutto con un buon 46 % quando bisogna lanciare la palla verso il canestro.
Andando a vedere le statistiche su chi è il miglior passatore umano (ovvero non canadese) il primo è lui, secondo solo a Nash per quanto riguarda la media assist. E in una lega con gente come Kidd, Paul e il Barone non è un risultato da poco.
Per quanto riguarda il rapporto assist - palle perse, sintomo della qualità di gioco di un playmaker, bè le cifre parlano sole: per ogni palla persa fa segnare ai compagni oltre 3 canestri, media assolutamente d'eccellenza per un sophomore.
Già il 25 Marzo i Jazz hanno blindato il loro posto ai playoff, impresa notevole considerando il livello della Western Conference, e sono stra-lanciati in testa alla Northwestern Conference.
Probabilmente al primo turno dei playoff incontreranno Houston, in una sfida dal pronostico molto aperto.
Ed è in questo genere di sfide, quelle che si giocano in tardo Aprile, che si inizierà a capire davvero dove può arrivare Deron Williams. Sempre che non cambi ancora squadra…