Ron Artest è sempre nell'occhio del ciclone, per un motivo o per un altro…
E dai Ron! Se mai quell'idea ti ha solo minimamente sfiorato, beh, toglitela dalla testa. E' vero che ultimamente ci hai abituato a tutto, ma noi amanti di quella pallacanestro fatta di partite che sembrano battaglie, muscoli, nervi tesi al limite (e con te un po' oltre. . . . ) non possiamo pensare che tu voglia smettere, mollare tutto a neanche 28 anni.
I fatti sono questi: Corliss Williamson, ala di Sacramento, sente squillare il suo telefonino: è arrivato un sms di Ron Artest. Il testo recita più o meno così: “Sai Corliss, stavo pensando seriamente di smettere di giocare a fine stagione“.
Certo, è solo un messaggio ad un amico, niente di ufficiale tant'è vero che il giorno dopo lo stesso Artest interrogato sull'argomento ha smentito l'ipotesi di un suo prematuro ritiro, affermando che il problema è soltanto la lontananza dalla sua famiglia che vive a New York.
Ma resta comunque il timore che nella sua mente possa farsi strada quella maledetta vocina che gli dice: “Dai Ron! Ti aspettano sole, mare, vacanze quante ne vuoi e mai più stress e critiche se lasci quel mondo frenetico che spesso se la prende con te”. E questo, sommato agli ultimi avvenimenti, anzi, ai comportamenti che hanno condizionato la sua vita sportiva e non, ci fa riflettere.
In effetti è da un po' che nella sua carriera non ci sono squilli di tromba, è da un pò che non si distingue per una stagione giocata al massimo delle sue potenzialità . Da 3 anni, per la precisione.
Era il campionato 2003/2004 e Ron Artest giocava negli Indiana Pacers da un anno e mezzo, dopo che nel febbraio 2002 aveva lasciato i Chicago Bulls, la sua prima squadra. E' stata quella la sua migliore stagione, senza ombra di dubbio, tant'è vero che alla fine fu premiato come miglior difensore dell'anno.
Indiana era uno squadrone: c'erano, oltre a lui, Reggie Miller e Jermaine O'Neal solo per fare un paio di nomi. Ma anche allora qualcosa andò storto proprio sul più bello e addio titolo proprio ad un passo dalla finalissima. Un aereo preso in ritardo e un inutile fallo negli ultimissimi secondi della partita decisiva furono sufficienti per far diventare Ron il protagonista in negativo di quella combattutissima finale di Conference contro Detroit.
E vabbè, capita! Andrà meglio il prossimo anno. . . . pensarono a Indianapolis.
E invece quello che segue è l'anno peggiore della carriera di Artest, a causa della famosa rissa di Auburn Hills che lo terrà fuori fino a fine campionato.
Non solo. Ma quando sembrava che, una volta scontata la squalifica, fosse tornato sui livelli di sua competenza arrivano prima la sua stravagante richiesta alla società di un mesetto di vacanze per aiutare il suo gruppo musicale a sponsorizzare l'ultimo Cd, e poi la “sparata” contro coach Carlisle, accusato da Ron di avere un gioco così noioso da fargli desiderare di essere ceduto. Bene. Addio Indiana. E povero Larry Bird che dopo la famigerata rissa lo aveva comunque perdonato e confermato!
E così dopo tante peripezie il True Warrior, ossia il Vero Guerriero, come lo chiamano dai tempi della S. John's School approda a Sacramento all'inizio dello scorso anno.
E per la verità qui non gioca neanche male ma, complice il momento poco brillante dei kings, l'attenzione di tutta la stampa finisce inevitabilmente sui suoi comportamenti al di fuori del parquet e Ron non fa molto per farsi lasciare in pace.
La sua meravigliosa casa viene visitata con regolarità da polizia e vigili vari per i motivi più impensabili, che vanno da un suo cane salvato dal Padre Eterno (e dai vicini. . . . ) prima che morisse di fame ai tentativi della sua donna di distruggergli l'auto a. . . padellate! Ed è proprio la signora Artest che, con qualche livido addosso. . . niente di che, chiede aiuto agli agenti che arrestano il marito, poi rilasciato su cauzione.
Intendiamoci, che le acque in famiglia siano agitate ci può stare, e sono fatti loro. Inoltre viene da pensare che Ron Artest sia un marito stupendo, perchè se io vedessi mia moglie che mi sta sfondando l'auto. . . altro che qualche livido!!!
Ma, battute a parte, i problemi li ha. E cercando di capire da dove vengano i suoi tumulti interiori, in molti hanno “deciso” che la causa scatenante sia stata la sua dura infanzia a New York, sua città natale, in un quartiere-il Queensbridge-dove o sei forte dentro e fuori, o è meglio che nasci da un'altra parte. Può darsi, comunque anche questi sono fatti suoi. I fatti nostri invece riguardano la salvaguardia dei giocatori che sul parquet ci offrono spettacolo ed emozioni.
E allora lancio la mia idea per far si che il basket non perda nel nulla un talento come Ron Artest, che sarà sregolato quanto volete ma è un talento vero, un difensore che segna una generazione, garanzia di combattimento, lealtà e sudore da inzupparti la maglietta.
E poichè in tantissimi lo rivogliono su altissimi livelli, ecco la mia proposta: diamogli una squadra da titolo. Una squadra che gli faccia tornare la voglia di allacciarsi le scarpette e correre ad allenarsi perchè può diventare Campione d' America.
E un giorno, parlando del Vero Guerriero, non lo chiameranno più “quello che faceva casino”, ma diranno: “quello che prima ha fatto casino e poi ha fatto vedere chi era! “
E a questo proposito, chi lo sa che un certo Kobe Bryant, magari stufo di realizzare 800 punti a partita senza vincere nulla alla fine, non pensi che in fondo una litigata con Artest ci può anche stare se poi però Ron lo aiuta ad inseguire un sogno, lo stesso sogno dalla forma di un anello.