Noah e Horford, coppia di lunghi con pochi eguali nel mondo NCAA
3 Aprile 2006, RCA Dome di Indianapolis. Florida conquista il suo primo titolo. 2 Aprile 2007, Georgia Dome di Atlanta, i Gators sono di nuovo i padroni del college basket.
E' passato un anno, la scenografia è cambiata, ma la sostanza no: Florida si è confermata campione NCAA anche quest'anno, compiendo un'impresa storica, prima squadra dal 1992 (Duke) che mette assieme un back-to-back e prima squadra in assoluto a farlo con lo stesso quintetto.
Florida ha vinto un titolo molto più difficile di quanto si possa pensare perché, nel momento stesso in cui i suoi migliori giocatori hanno deciso di tornare anche per il loro terzo anno al college, i media, il pubblico e i tifosi hanno riversato sulla squadra una quantità di pressione notevole, convinti, come d'altronde pensavano anche i giocatori, che questa stagione si sarebbe potuta considerare positiva solo se fosse arrivato il titolo.
E allora oggi, che sappiamo che effettivamente i Gators hanno vinto il Torneo NCAA anche quest'anno, possiamo guardare indietro a quella fredda serata di poco più di un anno fa a Minneapolis, prima del Regional contro Villanova, nella quale Horford, Noah e Brewer si trovarono in una stanza del loro albergo (loro che sono anche compagni d'appartamento a Gainsville) e decisero che, indipendentemente dal risultato finale del Torneo che stavano disputando, sarebbero tornati anche per il loro terzo anno di college.
E sono tornati per una stagione, questa, lunga eterna per chi non aspettava altro che arrivare al Torneo, dove tutto è sembrato, per i Gators, niente più che una tappa di passaggio verso il Torneo, per arrivare alla finale di ieri sera.
Non per mancanza di rispetto od interesse verso gli avversari della regular season, ma perché l'obiettivo, sin dall'inizio, era uno solo e molto chiaro nella mente di tutti.
In questo contesto non può che essere ancora di più elogiato il lavoro del coach, Billy Donovan, considerato, prima dell'arrivo della generazione di fenomeni del 2004 (questa) un coach bravo a reclutare che però, al momento del dunque, non riusciva a concretizzare il talento di cui disponeva.
Ora invece, dopo due stagioni perfette, dove ha costruito una squadra unita, efficace, solida, dove ha protetto i suoi giocatori, per quanto possibile, dalla pressione e dove ha dovuto ogni giorno motivarli sempre di più perché non perdessero di vista l'obiettivo finale, con tutte le chiacchiere sul loro futuro e sul loro passato, Donovan è entrato tra i grandi coach del college basket.
E il fatto che rimanga o meno a Florida, visto che si parla con insistenza di un suo approdo sulla panchina di Kentucky, non toglie niente di quello che ha fatto per la sua attuale Alma Mater.
Dall'altro lato Ohio State sa di aver perso una partita ma aver comunque disputato una bella stagione, avendo perso contro una squadra probabilmente superiore, lottando fino alla fine. La delusione comunque c'è ed è tanta, come è normale, ma questo nulla deve togliere a coach Matta e ai suoi ragazzi, e ad un programma, quello dei Buckeyes, che è resuscitato alla grande dopo anni di difficoltà .
Più che altro Ohio State, dopo aver sfruttato come nessuno la regola NBA che impedisce ai giocatori usciti dalla high school di fare il salto diretto tra i professionisti, obbligando Oden a fare almeno un anno al college, ora vede l'altra faccia della medaglia. Vale a dire che con questa regola ti viene in pratica concesso un solo anno (a meno che Oden non rimanga un'altra stagione al college, cosa improbabile) per riuscire a portare a casa il titolo.
Niente possibilità di programmazione, niente possibilità di errore, e se per sfortuna s'incontra una squadra come Florida sulla propria strada, non si può far altro che andarsene a casa con il rimorso di non aver capitalizzato al massimo quella che probabilmente sarà l'ultima ed unica annata di Oden nel college basket.
Comunque coach Matta ha la consapevolezza di aver messo su un buon gruppo, costruendosi una grande reputazione agli occhi dei nuovi prospetti che dovrà andare a reclutare nei prossimi anni, avendo da spendere un nome come quello di Ohio State che ha guadagnato prestigio in questa stagione.
Un'annata che non è stata solo Oden, ma che ha invece mostrato vari giocatori interessanti, con le buone prestazioni di Lewis, soprattutto al torneo, ma soprattutto con il figurone fatto da Mike Conley Jr che, per chi ancora non lo conosceva, si è imposto all'attenzione generale.
Di sicuro non hanno facilitato il lavoro suo e dei suoi compagni nella Finale le dichiarazioni pre partita di Ron Lewis, che aveva definito i Buckeyes una grande (great) squadra, mentre Florida era solo un buon (good) team.
La guardia di Ohio State avrebbe fatto bene a mordersi la lingua e pensare un po' prima di parlare, perché in questo modo ha dato una motivazione gratuita, come se ce ne avessero bisogno, agli avversari.
Ed ovviamente a fine gara, conquistato il titolo, non si è fatta attendere la replica dei Gators, per bocca di Richard: "Le grandi squadre non perdono mai contro le buone squadre. Non c'è bisogno di aggiungere altro. E' qualcosa di speciale, e noi siamo ora nella storia".
I Buckeyes consideravano come necessità principale, se volevano nutrire qualche possibilità di vittoria, che Oden stesse in campo il maggior tempo possibile e senza problemi di falli. Il centrone di Indianapolis è rimasto in campo trentotto minuti, ma la sua presenza non è stata sufficiente per aver la meglio su una Florida che invece aveva, come piano partita, quello di fermare principalmente il resto della squadra.
E per Oden era stata pensata una staffetta tra Noah, Holford, il ruvido Richard, definito da Oden un giocatore di football, ed anche il giovane Mareese, rispolverato per l'occasione, oltre che la difesa a zona.
Sul perimetro invece sono stati i Gators ad avere la meglio, con l'incredibile trio composto da Green, Humphrey e Brewer, con i primi due in particolare che sono stati fondamentali come sempre per aprire la difesa degli avversari grazie alla loro precisione nel tiro da tre (3/3 per green e 4/7 per Humprey,quattordici punti alla fine), confermando che una delle principali armi di Florida è la precisione dalla lunga distanza (10/18 nella finale), che permette di punire gli avversari quando collassano in area.
A fine gara erano tutti in campo a festeggiare, contenti per il titolo, con Noah che è corso sugli spalti a salutare i suoi cari, proprio lui che probabilmente con questo terzo anno di college ha perso più degli altri.
Se infatti i suoi compagni di squadra Holford e Brewer hanno alzato le sue quotazioni in vista del draft NBA, Noah le ha viste scendere, un po' per la presenza di Durant e Oden nel prossimo draft, un po' per le sue statistiche e la sua stagione al di sotto della precedente. Ma il "sacrificio" di Noah, passato inosservato ai tifosi, che hanno visto solo i suoi balletti e i suoi urli, è stato notato e apprezzato dai compagni e dall'allenatore, con il figlio di Yannick che ha dovuto sopportare tutto l'anno una pressione superiore ai compagni, senza lamentarsi e senza far pesare il fatto di aver rinunciato ad essere, probabilmente, la prima scelta assoluta del draft 2006. Ed è anche così che si costruiscono le grandi squadre e che si cementa un gruppo.
Ed impossibile, in un articolo di commento sulla finale, non spendere qualche parola anche per quello che è stato nominato miglior giocatore dl Torneo, vale a dire Corey Brewer, che ha condotto la squadra alla grande durante tutto l'ultimo mese e ha chiuso la finale con 13 punti, 8 rimbalzi e 3 recuperi con una presenza in campo e nello spogliatoio che è andata crescendo esponenzialmente nel corso dell'ultimo anno, durante il quale ha scalato posizioni su posizioni in tutti i mock draft.
Meritatissimo il riconoscimento per Brewer, è però un peccato che non si potesse dare ad ex-aequo anche ad Horford, che terminato la sua stagione con un'altra prova maiuscola (18 punti e 12 rimbalzi).
A fine gara nessuno voleva parlare del futuro, tutti si preparavano, come ha dichiarato il solito Noah, ad andare a festeggiare e divertirsi a Gainsville. Nessuno voleva parlare di quello che succederà anche perché tutti, a parte qualche disperato tifoso che ancora cantava "One More year", sanno che l'era degli Oh-Four di Florida è finita.
E allora ricordateveli questi cinque (Noah, Holford, Brewer, Green e Humphrey) perché volenti o nolenti, antipatici o simpatici, indipendentemente dalla loro futura carriera nella NBA, sono comunque entrati nella storia del college basket e di questo sport. Punto.