A… difesa dei Suns

Amare Stoudemire è pigro in difesa, ma quando va su fa paura…

Nell'immaginario collettivo di noi “cestofili” quando si pensa alla franchigia dell'Arizona vengono - automaticamente – in mente due cose: Steve Nash… e come logica conseguenza, uno stile di pallacanestro offensiva paradisiaco.

Quando invece si discorre in merito alla retroguardia dei Suns - tutto d'un tratto – si ritorna tra i comuni mortali; del resto come si fa ad elogiare una difesa che subisce più di 100 punti a partita?

Se po fà  , se po fà  …

Come esclamerebbe un “coatto” fuoriuscito da un film di Verdone di qualche tempo fa…

I primi Phoenix Suns del binomio D'Antoni-Nash (04-05) erano titolari di un reparto arretrato perlomeno svagato, ma quella era una squadra costruita per giocare fino a maggio inoltrato e non oltre.

Lo scenario nella “Valle del sole” - però – mutò repentinamente.
Nell'estate del 2005 arrivarono due mastini di razza quali Raja Bell (uno dei difensori più assatanati del panorama Nba) e Kurt Thomas (all'unanimità  il miglior difensore in pivot-basso del lotto).

In più grazie all'imperizia della dirigenza dei Falchi di Atlanta arrivò anche Borìs Diaw, un talento non solo capace di assistere i compagni meglio di parecchi point-men , ma soprattutto in grado di inscenare un'efficace difesa su tutti e cinque i ruoli previsti da questo gioco che ci piace tanto.

Il risultato è quello sperato; nel giro di qualche mese Phoenix si trasforma da una difesa porosa, ad una capace di limitare anche avversari di tutto rispetto: prima del ko di “Dirty Kurty” si insinuano addirittura come settima miglior difesa.

Ma i miglioramenti non si esauriscono qua: con il ritorno di Thomas - l'anno scorso finì la sua stagione a febbraio per la frattura del piede – e quello di Stat - lievemente migliorato come intimidatore – la retroguardia dei vice-campioni del West è diventata ancora più affidabile.

Si, ma…

Ma subiscono ancora 100 punti ad uscita! 103 per l'esattezza…

Certo; ma ciò è inevitabile se - come chiede il loro allenatore – il team spinge a tavoletta sull'acceleratore per tutti - o quasi - i 48 minuti di gioco: il 75% dei canestri di quelli dell'Arizona è realizzato - infatti – entro i 15 rintocchi dell'orologio dei 24.

Tutta questa premura genera molti più possessi (e quindi tiri) a disposizione non solo di se stessi, ma - giocoforza – anche degli avversari di turno.

L'unico metodo affidabile per valutare l'efficacia difensiva di una squadra che predica il “run-and-gun” è perciò quella di badare alla percentuale concessa dal campo alla concorrenza.

Il dato in questione è il 45.55%; non troppo distante dal 44.88 concesso da Dallas, una delle difese che - all'unanimità  – è considerata tra le meno penetrabili della lega.

L'aspetto più interessante della vicenda è rappresentato - però – dal sistema utilizzato dai Suns per difendere il proprio canestro.

Racconta Jeff Van Gundy (non certo uno sprovveduto in materia):

Si fa un gran parlare del loro attacco; ma sono veramente pochi coloro che apprezzano la bontà  del loro sistema difensivo. Riempiono l'area colorata per impedirti di trovare facili incursioni a canestro o comode ricezioni in vernice; l'aspetto inquietante è che pur “scoprendosi” sul perimetro, sovente riescono comunque ad “uscire” in tempo per contestarti il tiro.

Tale metodo rappresenta sostanzialmente un “unicum” nell'attuale mondo Nba.
Analizzandolo a dovere - tuttavia – risulta meno Machiavellico di quanto possa sembrare.

I dettami del “baffo di Mullens” sono semplici quanto logici: essendo più piccoli dei nostri avversari sappiamo di soffrire in vernice; cosa fare allora?
Si intasa l'area colorata con continui raddoppi, sia in post-basso che medio e si “sporcano” le linee di penetrazione: preziosissimo a riguardo l'operato di Nash.

Tra i sei e gli otto metri dal canestro concediamo “open looks” a volontà , ma grazie alla maggior reattività  dei nostri quintetti abbiamo sempre - o quasi – ottime chances di riuscire a sporcare le conclusioni altrui.

Cosa fare nei “giochi a due”?
La tattica è sempre quella di cambiare, non importa se spediamo un lungo su un esterno o un piccolo su un giocatore interno; ciò che conta è mantenere sempre alto il livello dell'aggressività .
Lo stesso piano si attua - inoltre – nelle “uscite dai blocchi” degli esterni.

Chiaramente si rischia; ma ancora una volta la versatilità  del personale a disposizione di D'Antoni è tale da riuscire - il più delle volte - ad ottenere notevoli vantaggi.

E la transizione difensiva?
Essendo l'attacco dei Suns il migliore della lega - sia per prolificità  (oltre 110 ad uscita) che per precisone (49.4 dal campo) – i rischi di farsi sorprendere dal contropiede avversario sono calcolati.
E anche in questo caso la rapidità  del quintetto offre sempre una marcia in più per “rientrare” tempestivamente, in modo tale da non dover subire l'onta della contro-offensiva della concorrenza.

Accenni di Zona?
“La usiamo di rado - racconta Mike - più che altro per scombussolare i piani dell'avversario di turno e rifiatare un po' “.

L'intera filosofia difensiva è basata su un dato oggettivo: la penuria di grandi - e soprattutto rapidi – tiratori che nell'Nba attuale è paragonabile a quella di precipitazioni sopra il cielo di Phoenix.

Sicchè il rischio c'è, ma è ponderato: "Se trasformiamo le partite in gare di tiro, spesso ne usciamo vincenti” è il motto del coaching staff.

Già ; e i dati son li da guardare:
Dopo gli speroni, i vincitori della Pacific sono il team che concede meno viaggi in lunetta di tutto il campionato; dimostrando così di patire le penetrazioni e gli uno-contro-uno avversari il “giusto”.

La difesa sul perimetro - pur assai dispendiosa – è ugualmente efficace: prime dieci della lega.
E – come accennato – anche la transizione difensiva appartiene all'èlite del campionato.

Specie contro avversari di rango -quando i maggiori stimoli… incrementano l'intensità  difensiva- possiamo ben dire che la retroguardia di Phoenix è senza dubbio alcuno tra le prime cinque-sei del lotto.

Naturalmente qualsiasi sistema non è esente da pecche:
Il tallone d'achille della squadra del deserto è quello dei rimbalzi, specie quelli che gravitano al di sotto del proprio tabellone.

Nella partita tipo dei Suns è impossibile non notare come - di sovente – vengano generosamente concesse agli avversari non poche carambole.

Il dato non è da sottovalutare se si pensa che quasi sempre, quando si concede all'attacco un'altra opportunità  per andare al tiro, si subisce poi inesorabilmente un canestro.

Tale aspetto acquista ancora maggior importanza a seguito di questa eloquente statistica: in questa stagione, nelle ventisette occasioni – su 70 incontri disputati – in cui Phoenix non ha perso la lotta a rimbalzo, solo due volte si è vista sfuggire la “doppia-vù” (ed una delle due è la deludente gara di domenica a sacramento)…

Non serve neanche aggiungere che nel caso in cui Amarè e compagni – “Stat” è spesso il più pigro in questo particolare aspetto del gioco – riuscissero a risolvere tale annoso problema, sarebbe perlomeno probabile l'approdo di Mr.Stern dalle parti di “Down-town” Phoenix in occasione della prossima notte di Halloween…

Del resto, come ammoniscono i soloni del gioco: “No rebounds; no rings”…

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