Cosa deve fare Las Vegas per avere ciò che tanto desidera: una franchigia di NBA?
A un mese dall'All-Star Game c'è stato decisamente abbastanza tempo per recuperarsi dalla sbornia di uno dei week-end più memorabili della storia sportiva americana. Mai si era tenuto un evento di questo genere nella città che come soprannomi ha "Sin City", "Il parco giochi d'america" o "La capitale mondiale dell'intrattenimento" e che fa della frase "What happens in Vegas Stays in Vegas" il suo motto e filosofia di vita.
Una città che ha come sindaco un ex-avvocato che ha difeso varie famiglie mafiose e che quando è arrivato a Las Vegas con sua moglie, nel lontano 1964, aveva soltanto 87$. Il suo nome è Oscar B. Goodman e gli piace definirsi "il sindaco più felice del mondo". Chi potrebbe negarlo? Vedendolo sempre in giro con due ballerine ben (s)vestite?
Per tutte queste ragioni e molte altre ancora, è inutile dire che Las Vegas è una delle città più stravaganti, bizzarre e controverse del pianeta. Molti la amano, molti altri la odiano. Ma nel mondo della NBA, essendo un mondo di affari, contano i soldi e la città del Nevada è senza dubbio un piatto appetitoso.
Da anni la città cerca di accaparrarsi i favori della lega (leggasi David Stern) per avere una franchigia nel prossimo futuro, per questo il fine settimana delle stelle era visto da molti come una sorta di "esame", di "prova generale" per un'eventuale franchigia stabile nella capitale del poker, delle roulette e delle slot machine.
Alla luce dell'All-Star e non solo, può Las Vegas ambire ad avere nei prossimi anni una squadra della NBA? E' quello che cercheremo di capire in questo articolo, ma ci concentreremo più sul come può piuttosto che sul se.
Gioco d'azzardo
Il primo grande problema di Las Vegas è la sua stessa essenza e ragione di esistere: il gioco d'azzardo. Sin da quando la città si è espansa e da sola meta turistica è diventata una vera e propria metropoli con più di 1'200'000 abitanti stabili, il grande ostacolo da superare è stata la non-inclusione delle partite di NBA nei "menu-scommesse" dei casinò e degli allibratori. Dapprima Stern, come i suoi colleghi delle altre maggiori leghe americane, si è mostrato impassibile: o scommesse o franchigia, per dirla breve.
La verità è che il tempo però ha cambiato le cose. Se un anno fa Stern pronunciava queste parole: "Non manderemo una squadra lì mentre ci sono scommesse sulla NBA", ora il discorso è cambiato. "Credo ci sia bisogno e si possa negoziare".
Goodman, ovviamente è della stessa opinione e si è già riunito con i proprietari dei casinò e gli allibratori per cominciare a preparare la strategia per trattare con la NBA e raggiungere un compromesso. Inoltre spera che la "Board of Governors" (l'organo formato dai proprietari delle squadre che prende le maggiori decisioni in materia d'espansione e trasferimenti di squadre) inizi a discutere la questione nella sua prossima riunione, il 23 aprile. Come era da aspettarsi, il "sindaco più felice del mondo" è ottimista: "I proprietari con cui ho parlato questo fine settimana sono tutti entusiati di Las Vegas".
La sensazione nell'ambiente NBA è che continuare ad essere inamovibile su questo argomento non è più nè saggio nè intelligente dal punto di vista economico.
Prima di tutto bisogna considerare che al giorno d'oggi si può scommettere su decine di siti Internet e che quindi togliere le scommesse sulla NBA dai casinò di Las Vegas non sarebbe certo la soluzione a questo problema. D'altra parte, come dicevamo prima, il richiamo del dollaro proveniente dal deserto del Nevada è sempre più forte e arriverà un momento in cui non si potrà più dire di no. Un "no" che, tra l'altro, non spetterebbe nemmeno a David Stern.
"Questa lega è controllata dai proprietari – dichiarava il commissioner – io non mi opporrei se loro votassero a favore di Las Vegas". Anche se si permettessero le scommesse sulla NBA? "La decisione spetta a loro [i proprietari]. Un'altra soluzione potrebbe essere togliere soltanto le partite della franchigia cittadina, una soluzione intermedia" rispondeva nella stessa intervista.
Tra le righe si può leggere chiaramente che le scommesse non sono più un ostacolo così grande per l'arrivo di una squadra a Las Vegas.
Criminalità
Se il gioco d'azzardo è stato e sarà comunque un punto focale della questione, non si può certo lasciarsi sfuggire un sottoprodotto dello stesso: la criminalità .
Non se ne sente parlare spesso o almeno non se ne sentiva parlare prima dell'All-Star, ma la verità è che Las Vegas, sotto quest'aspetto, è una città da tenere d'occhio. In una classifica delle aree metropolitane più pericolose d'America, quella della "Sin City" si piazza all'ottavo posto.
Le cifre del week-end non sono certo invitanti all'ottimismo: decine di risse tra tifosi (e non) ubriachi, 403 arresti e almeno due sparatorie che hanno lasciato tre feriti gravi. Tutto questo ammettendo che non ci sia altro (probabilmente crimini minori) che per interessi vari (leggasi economici) non è stato pubblicato nè mai lo sarà .
"A Las Vegas non c'è polizia per strada" sosteneva Al Harrington in un' intervista, raccontando della sua vacanza estiva nella città del peccato. Per quanto sorprendente possa sembrare, è una sensazione che hanno avuto quasi tutti coloro che hanno messo piede in città nei giorni intorno all'All-Star. Basta leggere alcuni articoli per accorgersi che è un problema che si è fatto notare durante tutto il week-end.
"La città ha sbagliato a non riempire le strade di poliziotti o guardie di sicurezza, sperando che tutti si comportassero bene", scriveva Bill Simmons, giornalista della ESPN, in uno dei suoi articoli.
"Non si tratta del colore della pelle o della musica che c'era in giro – scriveva Brian Windhorst nel 'Cavaliers Blog' – il problema era la mancanza di legge [lawlessness], gente che fuma erba nei corridoi degli hotel, camminare tra la folla in un casinò e sentire varie conversazioni su vendita di droga, uomini che molestano donne sconosciute, persone che mostrano pistole in pieno giorno…" e il giornalista non si fermava qua: "Non c'era polizia in giro che potesse arrestare nessuno per qualsiasi crimine".
Anche i giocatori non si sentivano troppo comodi a Las Vegas. "Mi sentivo molto insicuro – affermava Rafer Alston, play degli Houston Rockets – non lasciavo l'hotel a meno che non fosse per andare a qualche evento specifico, non uscivo nemmeno per mangiare. Era l'atmosfera in generale che non dava buone sensazioni".
Tutto questo non è certo passato inosservato agli occhi che vedono tutto del commissioner David Stern. Il "commish" non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale, ma una fonte ha dichiarato al New York Daily News che Stern "sta davvero meditando su cosa potrebbe succedere se ci fosse una squadra lì e che tipo di gente porterebbe in città , dopo aver visto cosa è successo nel week-end, soprattutto considerando l'elemento 'gansta' (sic) che l'evento ha attratto".
Il sindaco Goodman, prima dell'evento aveva fatto una dichiarazione d'intenzioni: "Non permetterò a qualche 'gang-banger' di rovinare la festa", evidentemente, più che parlare in questo caso avrebbe dovuto agire. Nonostante ciò, il celebre sindaco negava l'evidenza. "Nessuno ha rovinato la festa. Ci stanno attribuendo una brutta reputazione che non meritiamo".
Arena
Se fosse una qualsiasi altra città d'America, l'Arena sarebbe il requisito numero uno per ambire ad avere una squadra di una qualsiasi lega maggiore.
Il Thomas & Mack Center, palazzetto dell'università UNLV, ha ospitato l'All-Star Game, ma nessuno crede possa nemmeno lontanamente aspirare ad essere la futura casa di una squadra NBA.
"Il Thomas & Mack non è equipaggiato per ospitare eventi della NBA" affermava il commissioner in una delle centinaia di interviste rilasciate nell'arco del fine settimana.
Il problema quindi diventa trovare 400 milioni di dollari, che è il costo stimato di una eventuale nuova arena. Goodman sa già che non potrà certo farla pagare ai cittadini, per questo l'attenzione di tutti è rivolta a quelli che, in fondo, controllano davvero la città : i Casinò.
"Noi siamo favorevoli a qualsiasi espansione di qualsiasi genere per Las Vegas – dichiarava Alan Feldman, vice-presidente del MGM Grand – ma non permetteremo che ci offendano dicendoci che l'unico modo di portare qui una squadra sia facendoci pagare una nuova arena. Se le autorità vogliono che partecipiamo dovranno essere pronte ad aprire il libretto degli assegni".
Insomma, è tutt'alto che sicuro che i proprietari dei lussuosi Hotel-Casinò siano pronti a sborsare i soldi. Tuttavia Goodman afferma di avere cinque gruppi pronti ad investire. "Non capisco perchè se ne parla. Non è in discussione. Faremo costruire una nuova arena, questo è poco ma sicuro".
Espansione o trasferimento?
Qualcuno ha detto Las Vegas Kings?
Non è certo un segreto che i fratelli Maloof, proprietari dell'hotel Palms di Las Vegas e dei Sacramento Kings, stiano pensando da anni alla città dell'intrattenimento come una possibile meta se dovessero (o forse dovremmo piuttosto dire: se gli permettessero) andarsene dalla capitale della California.
Il problema è che non sembra che la NBA sia interessata a lasciare Sacramento, nonostante i problemi che ci sono con la nuova arena. "E' un gran mercato per la NBA – dichiarava Stern – e sono convinto che la lega debba fare di tutto per mantenere la relazione che ha con Sacramento. Quindi, il mio consiglio ai Maloof, se davvero vogliono stabilirsi a Las Vegas, sarebbe di vendere la franchigia e cercarne un'altra da portare lì".
Più facile a dirsi che a farsi. Certo ci sono alcune squadre che da anni spuntano fuori ogni volta che si parla di trasferimento, come i Sonics (che stanno cercando di farsi approvare dal comune di Seattle il progetto per una nuova Arena), i Grizzlies (che non hanno risvegliato un grande interesse nella città di Elvis, come testimonia il FedEx Forum, quasi sempre semivuoto) o gli Hornets (indecisi tra rimanere nella loro nuova e accoglientissima casa ad Oklahoma City o tornare nella tormentata Nuova Orleans).
Tuttavia nessuna di queste franchigie ha mai pensato (almeno fin'ora) ad uno spostamento in Nevada e non è nemmeno detto che i Maloof riuscirebbero a prendere il controllo di una di queste (in questo caso sono i Grizzlies i candidati numero uno, visto che stavano per essere venduti questo stesso inverno).
E l'espansione? Aggiungere una nuova squadra alla lega?
"Credo che la mia raccomandazione ai proprietari sia quella di scartare una possibile espansione – affermava convinto David Stern – sono dell'opinione che 30 squadre siano abbastanza".
Di nuovo, tra le parole diplomatiche di Stern bisogna leggere un chiaro e netto rifiuto ad espandere una lega che sta già soffrendo molto per il talento fin troppo distribuito, quasi rarefatto.
Quale futuro?
Una volta analizzati quasi tutti i punti "caldi" della questione capirete che Las Vegas ha ancora molto lavoro da fare per riuscire ad avere una franchigia NBA. E non abbiamo nemmeno nominato i vari problemi "minori", come l'affluenza all'arena, per esempio. Quante persone seguirebbero una squadra (che tra l'altro nei primi anni sarebbe da lotteria) in una città in cui non mancano mai le possibilità di intrattenimento ad ogni ora del giorno e la notte?
Shaquille O'Neal riassumeva la questione in modo molto chiaro in una dichiarazione rilasciata alla ESPN: "Gli conviene prendere subito un giocatore che attragga gente all'arena perchè altrimenti la gente andrà a fare altro. Qua a Las Vegas c'è un sacco di roba da fare dalle 7 in poi di sera. A Miami, per esempio, è diverso. A quell'ora ci sono solo gli Heat, è soltanto dopo che comincia tutto il movimento a South Beach. Ma qua? C'è il Cirque du Soleil, i Casinò…".
Per non parlare del fatto che, per quanto grande, Las Vegas rimane una città isolata nel deserto, con un' area metropolitana ristretta. Il che si rifletterebbe negativamente anche sugli ascolti TV, in un mercato che già adesso è tra i meno appetibili d'America (si piazza al numero 48 nella classifica americana).
Un altro problema potrebbe essere la "disciplina" dei giocatori della franchigia. Vi immaginate Ron Artest tutto l'anno a Las Vegas? La NBA non è una lega in cui si impongano regole troppo ferree ai giocatori nel tempo libero, come un "coprifuoco" (solo Sloan ha delle regole simili), ma probabilmente a Las Vegas sarebbe necessario imporre qualche limite ai componenti del roster.
Tuttavia "money talks" come si dice in America e, se la città fa i compiti, prima o poi, una possibilità a Las Vegas verrà data.
Potete scommetterci.