La bella stagione di Jamal Crawford è purtroppo finita anzitempo…
C'è proprio da piangere, e non solo perché, pare, Marbury l'ha fatto per davvero. La bomba decisiva nella vittoria casalinga, 99-93 contro i Miami Heat, sarà l'ultima istantanea di Jamal Crawford per questa stagione: una frattura da stress alla caviglia destra, precedentemente trattata come una tendinite, con ogni probabilità lo costringerà ad un'operazione non ancora fissata e a un conseguente periodo d'attesa.
Nel frattempo non c'é segnale che indichi una crescita da parte della squadra; e quindi, ora come ora ci sentiamo di dire che andrà così da qui fino al termine della stagione. Non stiamo parlando delle corsa ai playoffs ma del processi di sviluppo d'un gruppo che continua a vivere di alti e bassi.
L'ultimo esempio è arrivato al cospetto di Boston: New York ha segnato 37 punti in primo tempo in cui è riuscita ad andare a -23 prima di chiudere sul -20. Ne è scaturita un'altra sconfitta, pesante perché l'ennesima contro una squadra che non ha più nulla da chiedere a questa stagione.
Le sei sfide che avevamo indicato come fondamentali "must win game" si sono trasformate in uno spaccato dell'attuale stato dei Knicks: i blu arancio sono una squadra da 50% come indicato dal record di 17-16 dopo il tragico inizio da 9-17, come indicato dall'andamento dei risultati, uno dopo l'altro. Una squadra da 50% gioca bene una sera come naturale conseguenza della voglia di reagire alla sconfitta della sera precedente: poi si specchia, si autocompiace e ne perde un'altra. E avanti così. Una squadra da 50% ha un brutto record nelle seconde serate dei back to back (3-10, al momento di scrivere, quello di New York) fondamentali in un campionato in cui la capacità di vincere in "amministrazione controllata" fa la differenza.
Il primo tempo della partita contro i Celtics l'abbiamo già visto contro i Bobcats, contro Miami nel massacro d'un mese fa, contro i Sixers: sono le motivazioni di serata che fanno la differenza tra la New York che vince e quella che regolarmente non si conferma. Non si spiega altrimenti come una squadra possa avere un andamento così diverso da una partita all'altra, come naturale risultato degli alti e bassi nel rendimento individuale dei suoi giocatori fondamentali.
"Siamo dispiaciuti - ha spiegato Thomas che negli stessi giorni ha dovuto incassare l'infortunio di Crawford, il nuovo stop di Francis e i problemi alla caviglia di Lee - perché perdiamo il nostro giocatore per i finali caldi: siamo però un gruppo di talento e non ci lasceremo condizionare." Quentin Richardson ha ereditato il ruolo di guardia dell'ex Bull, Jarred Jeffries è tornato titolare in ala piccola, ed ha anche guidato con Marbury l'illusoria rimonta del terzo periodo.
L'assenza di Crawford e della sua "minaccia perimetrale" ha tolto spazio a Curry che ha chiuso con 16 punti. "Di solito - ha dichiarato il pivot alla fine - le difese avversarie mi concedono maggiore spazio. Crawford c'è mancato nel finale quando s'è trattato di vincere la partita." Un'ammissione che peraltro risulta un po' triste: e' comprensibile che un gruppo giovane possa soffrire la leadership di Carter e Kidd, giocatori abituati ai climi dei playoffs e delle gare decisive per qualificarsi.
E' meno accettabile vedere i Knicks andare sotto contro una squadra condotta dai 21 punti in 20 minuti di Gerald Green; proprio lui ha preso per mano i Celtics quanto i blu-arancio si sono trovati in vantaggio. "Spesso diventiamo impazienti - ha dichiarato Thomas, in riferimento al terzo periodo della sconfitta, 101-92 contro New Jersey - e non controlliamo la partita come dovremmo. Sono cose che dobbiamo imparare, facendo tesoro proprio degli errori che facciamo."
Possibile che sia così, esattamente come è possibile che chi scrive sia un impaziente con il vizio di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Però dal momento della scossa, che è stata più emotiva che tecnica, non s'è visto in che modo questo processo di crescita può andare avanti.
E' un discorso complesso che, tanto per cambiare, chiama in causa le scelte del Thomas allenatore; o le non scelte. Contro i Celtics è tornato d'attualità Malik Rose, come naturale conseguenza del buon lavoro fatto dall'ex Spurs contro Shaquille O'Neal; sfortunatamente la risposta sul campo del prodotto di Philadelhia è stata, come da lui stesso ammesso, "atroce".
S'è parlato tanto nella grande mela del duello tra Curry e "Sua Maestà " Shaq: statisticamente il pivot dei Knicks l'ha vinto, con il pariruolo di Miami limitato dalle sue attuali condizioni fisiche e dai falli di giornata.
In realtà i due si sono sfidati uno contro uno per gli spiccioli della gara; per un legittimo tentativo di tirare fuori da Curry il difensore che attualmente non è, non sarebbe stata una bestemmia sfidare il giovane a occuparsi del veterano. E' un investimento per il futuro per un giocatore che statisticamente è il più importante della squadra ma viene sistematicamente lasciato fuori quando c'è un'azione difensiva importante e deve crescere tanto in quest'aspetto.
E' un investimento sul futuro che un allenatore interessato ad un processo di crescita a medio termine dovrebbe fare. Solo che Thomas al momento ha bisogno di andare ai playoffs per legittimare se stesso, le spese sostenute e quella conferma che, a parole, sembra assolutamente certa. E così si rimane sempre a metà del guado, come da tanti anni: il solito errore che è alla base delle sofferenze degli ultimi anni.